Dainese e AGV: storia della protezione Parte 4. L'airbag
All’inizio è stato il casco integrale. Poi la tuta di pelle, poi il paraschiena, le protezioni rigide, gli slider, e tante importantissime innovazioni che però, se vogliamo, hanno avuto un impatto relativamente incrementale sullo standard della protezione. Al contrario, l’arrivo dell’airbag elettronico ha costituito una vera e propria rivoluzione nella storia della sicurezza motociclistica, tanto da poter dire senza timore di smentita che se ne possa parlare tanto come presente che come futuro di una protezione che però non smette mai di evolvere.
L’airbag chiude il cerchio anche per questo motivo: così come per il paraschiena, anche per l’airbag Lino Dainese è stato ispirato dalla natura. Nel 1994 due gravi incidenti segnano il mondo dello sport: a Imola muore Roland Ratzenberger, mentre a Garmisch rimane uccisa la sciatrice Ulrike Maier, entrambi deceduti per rottura delle vertebre cervicali. Proprio per questi due episodi Dainese si convince della necessità di trovare il modo di proteggere il collo: caso vuole che nell’estate successiva Lino, durante un’immersione, gonfi il GAV e percepisca immediatamente un senso di protezione.
Lino schizza fuori dall’acqua, e come nel caso di alcune altre grandi intuizioni, deve fissare immediatamente l’idea sulla carta. Agguanta un tovagliolo di carta dal bar della spiaggia e inizia a disegnare il primo schizzo di quello che diventerà il D-Air, nato per difendere zone del corpo irraggiungibili dai protettori tradizionali. Nel 1996, al Salone di Colonia, viene presentato uno dei primi prototipi, corredato da una delle prime animazioni 3D della storia.
All’epoca l’idea era di far uscire un sacco dal casco, soluzione impraticabile per l’aumento di peso e la diminuzione della sicurezza intrinseca del casco stesso. Il team, allora chiamato Total Safety Group e composto da Aldo Drudi, Luigi Ronco, Paolo Pretto, il già citato Marc Sadler e Lino Dainese stesso, si rimette al lavoro.
Avanti veloce fino al 2000, quando Dainese incontra una società israeliana da cui riesce a procurarsi una tecnologia militare all’epoca rivoluzionaria: la piattaforma inerziale. Che adesso sarà anche integrata in qualunque smartphone, ma all’epoca era riservata ad aerei militari e navicelle spaziali.
Nasce quindi un altro prototipo, ben più raffinato e pronto per la produzione. Che però in produzione non ci va, perché nei test risulta troppo pesante, costoso e incapace di attivarsi in caso di scivolata. Un altro fallimento, quindi, commercialmente parlando, ma tanta altra esperienza accumulata. Qualche altro anno di pausa, ricerche estenuanti con i produttori di airbag automotive, ma anche qui non si va da nessuna parte.
Insomma, bisogna farsi tutto in casa. In Dainese iniziano a collaborare con il professor Vittore Cossalter, uno dei maggiori esperti mondiali di dinamica del veicolo, e da questo sodalizio esce il primo algoritmo del D-air Racing. Assieme a Cossalter, in Dainese iniziano a misurare, a valutare tutto quello che succede sulla moto, e a confrontarlo con quello che succede al pilota, operazione mai svolta prima, per le ovvie resistenze delle Case costruttrici a lasciar montare qualsivoglia sensore su un mezzo da corsa. Con Aprilia e Ducati si svolgono un sacco di test, notando come la dinamica della caduta, l’innesco, non coincide esattamente su moto e pilota ma è comunque comparabile. Tutta la logica si sposta quindi sul pilota, e nasce il primo D-air Racing.
Nel 2006 ad Adria uno stunt-man si butta per terra e fa attivare il sistema, che agisce regolarmente. E’ il momento della verità, perché a quel punto in Dainese si era molto vicini al mollare tutto. E invece, si procede. Più o meno un anno dopo, nel 2007, a Valencia, cadono Simoncelli, Ranseder e Grotzkyj. Il D-air, che all’epoca era ancora un sistema esterno, si attiva correttamente e protegge tutti e tre.
Naturalmente, da qui a convincere tutti i piloti ad indossare l’airbag, soprattutto quello esterno, voluminoso e poco elegante, ce ne passa. Nasce l’evoluzione successiva, per idea di Luigi Ronco, che fra 2008 e 2009 si inventa il sacco monofilamento, step vitale per il progetto, e lo integra all’interno della tuta.
Nel frattempo si prosegue nella sperimentazione per ottenere un prodotto stradale. Impresa niente affatto facile, perché la dinamica delle cadute in pista e quella degli incidenti stradali hanno un’area di sovrapposizione, ma non certo totale. Anche se, naturalmente, si parte già da un punto avanzatissimo anche solo per la disponibilità del sacco a microfilamento utilizzato nel D-air.
Ma perché è tanto importante il sacco a microfilamento? Perché consente di controllare con precisione millimetrica il gonfiaggio sulle diverse aree del corpo. In assenza di questo controllo il sistema diventa pericoloso, perché evidentemente un sistema capace di arrivare al gonfiaggio completo del sacco in pochi millisecondi può arrivare, invece di proteggerlo, a causare traumi al corpo del pilota.
In secondo luogo la tecnologia monofilo Dainese fa si che il sacco stesso si comporti come un paraschiena, risultando rigido alla pressione esterna invece di scaricarla su altre aree, come farebbe un pallone da spiaggia. Per questo in quel di Vicenza amano ripetere che proteggere è diverso dal gonfiare palloni: i sacchi automotive nascono per altre applicazioni, e si attivano secondo logiche diverse. Ma sono sostanzialmente dei palloni, che non devono avvolgere il pilota, ma semplicemente fornire una superficie morbida che attutisca l’impatto.
Al contrario, il sacco Dainese è pensato specificamente per l’impiego umano: l’averlo sviluppato internamente ha consentito ai tecnici vicentini di ottenere un oggetto straordinario, dalle caratteristiche di resistenza elevatissime. Una caratteristica che si porta dietro un peso maggiore rispetto ad applicazioni automotive, che però ha di fatto costretto Dainese a realizzare centralina e sensori più leggeri per contenere il peso complessivo.
Missione compiuta, perché da sempre i capi Dainese dotati di airbag sono considerati fra i più leggeri a pari tecnologia, il tutto senza considerare il calo di peso di oltre il 30% della versione più recente.
Ma torniamo indietro: i test condotti da diverse entità e Case dimostrano subito la protettività del sistema in tempi utili, anche nelle condizioni più difficili per l’architettura del veicolo, come ad esempio gli scooter, che hanno il sensore molto indietro rispetto alla sagoma. E’ qui che serve avere tempi che superino gli standard - 45 millisecondi invece degli 80 ritenuti il minimo per garantire protezione in caso di impatto. Perché anche quando la logica del sistema è in condizioni sfavorevoli e impiega più tempo a rendersi conto di cosa stia succedendo, le prestazioni del sistema Dainese compensano questo ritardo. E al momento, il sistema D-air street è il più veloce al mondo, oltre ad essere diventato anche sensibilmente meno costoso grazie a razionalizzazioni ed economie di scala.
Gli scettici rimangono tali per poco, perché anche i più conservatori fra i piloti si trovano davanti a statistiche schiaccianti. Da quando esiste il sistema D-air, i piloti Dainese hanno visto calare dell’80% le fratture alle clavicole, e quella alla spalla è sparita del tutto. Ecco perché la FIM, assieme a Dorna, ha deciso nel 2015 di iniziare il processo per rendere obbligatoria l’adozione della tecnologia airbag in MotoGP. In un momento in cui, regolamento alla mano, sarebbe teoricamente stato possibile entrare in pista con una tuta divisibile e senza paraschiena. Nel giro di tre anni la normativa è stata aggiornata, con l’obbligatorietà dell’airbag - tecnologia che Dainese offre in licenza gratuita ai produttori di tute che non ne sono dotati.
Anche perché - e qui torniamo al discorso del miglioramento del prodotto di serie - più piloti assistiti significa una maggior mole di dati raccolti, più esperienza, e un sistema che diventa più efficace, ma anche razionale.
Siamo a 26 anni di sviluppo del sistema. Sono 26 anni per buona parte dei quali Dainese ha sviluppato, affinato e perfezionato quell’algoritmo nato con Vittore Cossalter a inizio millennio, arrivando a quella migliaia di versioni che ha portato a quella montata sulla terza versione della piattaforma elettronica, nella quale alle cadute (sia in highside che in lowside) è stata aggiunta la protezione dall’impatto da fermo, ovvero il tipico tamponamento in caso di uso stradale. Un vantaggio incolmabile per tutti, come può ben capire chiunque abbia esperienza di sviluppo informatico.
Un vantaggio perché, per garantire la protezione richiesta da un sistema elettronico, è impensabile che la centralina inizi il processo di attivazione solo quando si innesca la caduta o l’incidente. E’ necessario che invece inizi a prepararsi non appena identifica tutti i segnali precursori di questi fenomeni, controllando costantemente che in effetti si stia verificando la caduta o l’incidente.
E si tratta di un processo logico fondamentale, perché la prima regola di un sistema di questo tipo dev’essere per forza quella di evitare attivazioni non richieste, dei misfiring del sistema, quando la persona non è effettivamente in pericolo. Un aspetto importantissimo perché, come vedremo, un prodotto come la nuova Smart Jacket, che rappresenta una vera rivoluzione nel mondo della protezione airbag, si rivolge a un pubblico estremamente ampio e più casual rispetto all’appassionato duro e puro. Ma anche perché la nuova frontiera del D-air non è (necessariamente) la protezione del solo motociclista.
Da protezione dell’atleta a protezione dell’uomo. Se è vero che il sistema D-air è nato sulle moto e si è poi esteso allo sci (dove è adottato da tutti gli atleti di primo piano, e alcune federazioni come quella austriaca lo impongono addirittura alla propria nazionale) il futuro, attraverso D-air Lab, è ampliare ancora il perimetro della protezione.
Anziani, epilettici, trasporto dei bambini in auto, protezione dei lavoratori in altezza - c’è un progetto in collaborazione con ENEL - sono solo alcune delle frontiere a cui la tecnologia airbag Dainese sta puntando. E poi, ancora, la protezione del ginocchio degli sciatori, la riabilitazione: ci sono progetti avanzatissimi, che richiederanno ancora qualche anno prima di poterne vedere i primi frutti.
Da quella prima tuta di Dieter Braun, insomma, di strada se n’è fatta tantissima. C’è una finestra, nel Dainese Archivio, da cui si vedono le tute di Braun e Agostini. Un modo per dimostrare, appunto, quanto si sia progrediti nella ricerca della sicurezza, e allo stesso tempo quanto servano le competizioni motociclistiche. I piloti, per Dainese ma anche per tutti gli altri produttori che hanno contribuito a portare la sicurezza ai livelli a cui sono oggi, non sono quattro matti da usare come veicolo pubblicitario, ma veri e propri pionieri ai quali si demanda la sperimentazione dei sistemi di sicurezza che, domani, proteggeranno le categorie di cui sopra.
E come ricorda giustamente Vittorio Cafaggi, nessun altro, a suo tempo, ha voluto farlo: perché tutti i produttori di sistemi airbag, a suo tempo, hanno risposto picche quando si trattava di lavorare in questa prospettiva. C’è voluta Dainese, assieme ai suoi piloti e ai suoi atleti di tutte le altre discipline, per rendere possibile l’idea di un airbag che proteggesse l’uomo. Altro che delinquenti, brutti sporchi e cattivi…