Dakar, prima di partire un po’ di storia
Buon Anno a tutti. Nessun altro modo è altrettanto pertinente per incominciare, gli auguri prima di tutto. “Buona Dakar!, anche”. È di diritto nell’augurio di tutti noi, “lievemente” appassionati. Ed una Buona Dakar non potrà che far parte di un Anno Buono. Di cuore, Buon Anno e Buona Dakar, dunque, e… dentro dentro la prima!
Trasposizione sincrona di eventi ed avventure di epoche e luoghi diversi, la Dakar è piombata, un giorno di fine anno del 1978, per rivelarsi geniale sintesi moderna nell’interpretazione del suo geniale inventore, Thierry Sabine. I Raid storici del pionierismo automobilistico, come la Pechino-Parigi vinta dall’Itala di Scipione Borghese ed Ettore Guizzardi nel 1907, Le Carrera Sudamericane degli anni 50, autentiche “cannonball” come la mitica Carrera Panamericana, i Raid militari/esplorativi africani tra, durante e dopo le grandi guerre dei Berliet, le prime corse africane, come la Abidjan-Nizza immediatamente antecedente. Sono queste le linee ispiratrici di quella che si è imposta come la più grande corsa-avventura dei nostri tempi, la Parigi Dakar oggi alla 32ma edizione. Con una grande differenza rispetto ai “precursori”, quella di essere spinta da una gigantesca operazione mediatica. Sabine era un appassionato motociclista (si era perso nel deserto con la sua XT500 durante una Abidjan-Nizza e, trasformato dall’avventura, aveva dato vita al suo grande evento), senz’altro un genio ma, prima di tutto, quello che oggi definiremmo un uomo di comunicazione, un pioniere dell’arte di comunicare appena diventata “scienza”.
Il 26 dicembre 1978, dunque, dalla Piazza del Trocadero antistante la Tour Eiffel, partiva la prima Parigi-Dakar. Perché no Parigi? E perché no Dakar? Perché un limite qualunque? No, nessun “freno” all’immaginazione trasformata in realtà. Due continenti dalle attitudini antitetiche ed un mare da attraversare e da affrontare, in un raid prima di tutto contro se stessi, misurandosi con i propri limiti per superarli, se possibile. Diecimila chilometri attraverso Francia, Algeria, Niger, Mali, l’allora Alto Volta ed il Senegal, per scoprire la spiaggia del Lago Rosa, pochi chilometri a Nord di Dakar. Una formula rivelatasi magica, che consegnò immediatamente Thierry Sabine, la Parigi-Dakar ed il suo primo vincitore, Cyril Neveu, 21 anni, in sella ad una XT 500, alla storia della passione. Un’autentica, irripetibile avventura che ha cambiato la vita a tutti quelli che l’hanno affrontata, e non necessariamente vinta, lasciandosi ammaliare da qualcosa di sensazionale, di grande.
La “Dakar” di oggi è cambiata, anzi, è cambiata più volte ridisegnando la mappa delle emozioni che suscita. Non è più la corsa avventurosa della solitudine, dei cieli africani e del deserto come luogo infinito. Oggi percorre le “pampa” e le magnifiche piste sudamericane sempre a “tiro” d’asfalto ed è seguita a “bordo pista” da migliaia di spettatori da tenere sotto controllo. Non ha più il suo circolo di sponsor fedeli alla filosofia ma può contare sui milioni di dollari dei governi di Argentina e Cile. Un po’ più supermercato dell’avventura e business politico-sociale, non di meno resta l’evento motoristico e l’avventura idealizzata ed assoluta di chi vi partecipa, ed un “sogno per quelli che restano”. Ha cambiato luogo di partenza, spostandosi da Parigi verso Sud in Europa, ha spostato il proprio traguardo altrove, Al Cairo, in Sud Africa o addirittura… a Parigi, finalmente ha cambiato completamente scenario, spostandosi in Sud America dopo la discussa edizione del 2008, annullata per faccende politiche e di sicurezza.
È passata dall’avventura dell’”esploratore” con nient’altro che bussola, carte geografiche ed una moto improbabile, dalle XL/XT alle BMW da… strada, alla corsa ipertecnologica delle strumentazioni satellitari e delle Formula 1 del deserto, dall’avventura del “privatone” con la sua moto al Gran Premio del Deserto dei migliori specialisti ormai professionisti, dei mezzi ufficiali e delle Case ingaggiate nel Rally. 170 partenti alla prima edizione, meno di 50 moto in quella del rischioso minimo storico del 1993, quando a guidare la corsa era Gilbert Sabine, padre di Thierry che era morto cadendo con il suo elicottero durante l’edizione del 1986, e 170 moto (oltre alle auto ed ai camion) sono oggi alla partenza dell’edizione 2011 della “Dakar”, la terza che si disputa in Sud America tra Argentina e Cile e 32ma della storia dell’Evento diventato icona del raid-avventura-corsa. 33 anni struggenti, di esaltazione di imprese stratosferiche e di tristezze infinite, come la scomparsa di tanti piloti e amici, ed il pensiero non può che andare a Fabrizio Meoni, indimenticabile vincitore elle edizioni 2001 e 2002.
Prepariamoci dunque a vivere per due settimane ed oltre una grande avventura, ed avviciniamoci con pazienza alla corsa, così come i piloti che, dopo un anno di preparazione e tre giorni di sfinenti peripezie burocratiche e di rifinitura della loro partecipazione, lasciano finalmente Buenos Aires lungo l’Avenida 9 de Julio, il giorno dell’Indipendenza argentina. Dopo aver superato il loro primo punto cospicuo, l’Obelisco, salutano la Città tra due ali di centinaia di migliaia di spettatori, e si dirigono verso Victoria con un trasferimento di 377 chilometri, senza cronometro. La prima tappa è infatti di due giorni. Il primo fino a Victoria, un buon modo per scrollarsi di dosso il non-motociclismo in un primo tu per tu con la propria cavalcatura, ed il secondo, il 2 gennaio, con il lunghissimo trasferimento di 566 chilometri (che inizia alle quattro del mattino) fino a Rio Cuarto e, finalmente, la prima speciale di 192 chilometri che porterà i concorrenti alla porte di Cordoba.
Intanto l’”Africa” sudamericana ci ricorda che un altro Rally si corre parallelamente in Africa e sul percorso delle Dakar “originali”. È l’Africa Eco Race, organizzata da quei “ragazzacci” di una volta e con a capo René Metge. Vogliono una Dakar che torni alle origini, hanno non molti iscritti ma privilegiano l’atmosfera ed il legame tra organizzatore e concorrente, “fenomeno” in pratica sparito nella Dakar sudamericana. Tengono duro da tre anni, e stanno facendo crescere il Rally, richiamando pian piano i fedelissimi della Dakar in Africa e tutti coloro che hanno sognato e continuano a sognare la corsa africana di Thierry Sabine. Quest’anno è tornato a correre anche Hubert Auriol, ma in auto, con un buggy Predator, a sostegno della campagna umanitaria Chaine de L’Espoir per sostenere un ospedale a Dakar. Dopo quattro tappe la corsa, che attraversa Marocco e Mauritania e si concluderà sulla spiaggia del Lago Rosa di Dakar il 12 gennaio, ha raggiunto Oueld Chebeika. In testa Willy Jobard e, tra le auto, il mito Jean-Louis Schlesser con l’ultima evoluzione del suo Buggy “Monster”.
Piero Batini
agli albori rally dakar...
Dio che delusione che sta diventando il mondo motociclistico (quello agonistico) per gli spettatori che hanno un minimo di passione.
ora anche queste limitazioni di cilindrata, ma chi ha queste idee?
vorrei tanto saperlo, come l idea di mantenere il nome dakar facendo questa gara, anzi, questo pezzo di storia motociclistica, in tutt'altro continente!
dio che delusione vedere la storia sgretolars! è pur vero che nell'andamento della storia ci si evolve, ma questa, più che un'evoluzione, è un disfacimento sempre più totale di tradizione motociclistica, madre di una corrente nata negli anni 70 che ha portato a vendere moto che hanno fatto la storia come la xt, l'africa twin etc etc..