MX. Stefan Everts racconta Jeffrey Herlings
Di Jeffrey Herlings, il motocross ne sforna col contagocce. Prima Stefan Everts, poi un Antonio Cairoli ancora proiettato nella sua serie di successi, e ora l’olandese della KTM che sta bruciando le tappe a suon di record e di titoli iridati, il secondo dei quali conquistato nella MX2 in Repubblica Ceca con ben tre prove in anticipo. Incurante che il suo albo d’oro possa essere sgretolato dai due campioni della Casa austriaca, Everts ci ha parlato di come è Herlings dietro la facciata sportiva che tutti vediamo in gara, forte della stretta relazione che ha con lo scavezzacollo olandese per il quale funge da team manager nonché da consultore.
«Era venuto assieme ad un gruppo di altri olandesi con un viaggio organizzato dalla filiale dei Paesi Bassi della Red Bull ad uno di quei corsi che mio padre Harry tiene in Spagna – spiega Stefan ritornando con la mente al 2008 quando notò per la prima volta Herlings in sella ad una Suzuki 85. – Vidi subito che era diverso dagli altri, per la bella guida già molto simile a quella che ha oggi: aggressiva, energica, dotato di una buona tecnica e molto dinamica. Dall’altra parte era giovanissimo e combinava già un sacco di guai, in hotel, nel gruppo, ecc., per cui capii già dal primo momento che pasta era fatto questo ragazzino ».
Dopodiché?
«Avemmo qualche incontro per verificare la possibilità di una eventuale collaborazione. Lui voleva fare l’Europeo 250, stavamo per fare un contratto quinquennale quando ci fu qualche incertezza per via dell’offerta della Casa giapponese, ma poi ci mettemmo d’accordo e prima sul finire del 2008 facemmo l’accordo. Prima di firmare provò a Genk una 250 del team di Jacky Martens, e il primo approccio fu impressionante nonostante provenisse da una 85. Rimasi stupito per quanto tempo rimase in sella alla moto, sembrava non volesse più fermarsi. Il primo anno di Europeo, nel 2009, lo passò lottando con Christophe Charlier che aveva tre anni più di lui. Il campionato lo vinse il francese ma Jeffrey andò molto bene considerando che aveva solo solo quattordici anni, cosicché a fine stagione decidemmo di metterlo nel team ufficiale».
Da allora iniziasti a seguirlo anche come atleta.
«Esattamente, ma specie all’inizio non fu affatto facile. Era una ragazzino iperattivo, a volte non era neanche facile dirgli le cose nella dovuta maniera perché le sue reazioni erano molto scostanti, ma cercai di andare avanti senza scoraggiarmi. Per fortuna i risultati sportivi arrivavano facilmente, addirittura il primo GP della stagione si correva in Olanda e lo vinse, per poi fare una serie di podi che confermarono le sue doti
straordinarie. L’anno dopo contese la tabella rossa MX2 con Ken Roczen per buona parte della stagione, ma a un certo punto mollò mentalmente perché non era ancora pronto per diventare campione. Ne ebbi la conferma in Germania, dove quando perse il titolo si mise a piangere come un bambino, fu un momento molto emozionale che però servì a farlo crescere. In quel periodo io lavoravo già per la KTM, per cui io cercai di essere il più neutrale possibile dando ad ognuno di essi le stesse possibilità di riuscita e i consigli di cui avevano bisogno, e fu una bella esperienza anche per me».
Anche se non deve essere stato facile, visto che loro due avevano un carattere diametralmente opposto.
«Ken è stato solo un anno con noi in Europa, era un pilota molto buono ma è stato difficile riuscire ad entrare nella relazione che c’era tra lui e il padre. Molte volte invece di venire con noi in Belgio rimaneva in Germania, e spesso le cose che gli dicevo per cercare di cambiare non avevano effetto perché non ascoltavano preferendo fare di testa loro per cui la relazione con Jeffrey era per forza più intensa. L’unico scopo di Ken era andare negli Stati Uniti, ed infatti dopo aver vinto il titolo non ci ha pensato due volte ed è partito senza tanti rimpianti».
Come è maturato Jeffrey in queste ultime due stagioni?
«I primi tre anni con lui non sono stati facili per via della mentalità con cui è stato allevato, di fianco ha avuto solo la madre che ha cercato di fare il possibile sostituendo anche il ruolo del padre ma la situazione ottimale per crescere è avere entrambi al proprio fianco. Mi sono reso conto che nella sua educazione c’erano degli aspetti irrisolti, per cui abbiamo cercato di essergli vicino mantenendo però un certo rigore che faceva fatica ad accettare in quanto abituato a fare tutto da solo e quello che voleva. Fortunatamente un po’ alla volta ha iniziato a capire che non era però possibile fare sempre tutto di testa propria, e che era meglio contornarsi di gente in gamba su cui poter fare affidamento in grado di fare del lavoro per te. Un altro problema era che non accettava i rimproveri diretti, anche se però li memorizzava e ne teneva poi conto. Ne ho avuto spesso la riprova, anche cose detto un anno prima che sembrava lo avessero fatto solo arrabbiare quando sono rivenute fuori ha avuto modo di dare prova che le aveva assimilate alla perfezione. Da questo punto di vista è molto intelligente, e devo dire che da quando ha preso la patente ed è diventato più indipendente è migliorato tanto ed è andata verso una direzione più giusta anche se deve ancora maturare perché non va dimenticato che in fondo ha solo diciotto anni».
Come ha raggiunto una tale superiorità rispetto ai suoi avversari?
«E’ una domanda a cui non è facile rispondere, la mia sola conclusione è che è talmente dotato di talento e che guidare così gli viene così naturale che per lui essere così veloce gli viene facile come ha dimostrato sin dall’inizio. Inoltre ha un corpo massiccio e muscoloso che gli permette di girare a lungo senza stancarsi, e ossa forti che almeno in un paio di occasioni lo hanno salvato da fratture che sarebbero state sicure per un pilota normale. In definitiva ha una struttura compatta che col passare degli anni e degli allenamenti si è ulteriormente perfezionata e che migliorerà ulteriormente col tempo».
Il suo talento è uguale sulle piste tradizionali che in quelle supercross?
«Non l’ho seguito molto sulle piste artificiali, un inverno ha passato tre settimane oltreoceano ad allenarsi ma ha fatto alcune pesanti cadute ed quando è tornato in Europa non era così entusiasta. Tempo fa parlò della possibilità di andare a correre negli Usa, ma credo che quando è il momento di decidere veramente se è il caso di andare laggiù sceglierà di rimanere da noi».
Cosa ti soddisfa di lui e cosa non ti piace?
«La cosa che non mi ha fatto piacere sono alcuni fatti successi in passato, che sarebbero dovuti rimanere confidenziali e che invece ingenuamente Jeffrey li ha spiattellati ai quattro venti. Quello che invece mi entusiasta è la sua determinazione nel lavorare duro, quando l’anno scorso vinse il titolo nonostante sapesse che Tommy Searle che era stato l’unico suo forte avversario andasse nella MX1 ha mantenuto un allenamento invernale intenso se non di più di quello della stagione precedente facendo una forte pressione su se stesso per non abbassare la guardia. Così ha passato di nuovo tantissime ore sulla moto, anche perché lui ama guidare e non senza fare questo rischierebbe di annoiarsi».
Com’è Jeffrey quando è lontano dalla moto?
«Quando sei viso a viso con lui è un ottimo ragazzo, si parla di molte cose ed è sempre interessato a scoprire cose nuove, sa anche molte cose della mia carriera, ma quando è con i suoi amici olandesi gli piace essere il clown del gruppo, dice un sacco di idiozie ed è quello che non mi piace di lui perché ritengo che dovrebbe sempre rimanere lui stesso senza fare lo stupido per dare spettacolo».
Ha anche un debole per le ragazze….
«Effettivamente le ragazze gli piacciono, e non poco, tanto che ne ha un bel po’, anche questa è una cosa che non mi fa impazzire ma riguarda la sua vita personale e non mi riguarda finché non interferisce col suo lavoro, se succederà di sicuro non gliela mando a dire».
Nel 2014 sarà ancora al via della MX2, ma pensi sarebbe già pronto per correre nella MX1?
«Il fatto che in KTM abbiamo la 350 rende senz’altro più facile il passaggio di classe soprattutto a livello fisico, e potrebbe essere già in grado di battersi coi ragazzi della 450. Mentalmente gli serve un altro anno per essere pronto a sfidare i protagonisti della classe regina, anche per via della sua giovane età, in ogni modo vuole fare un altro anno nella MX2 e rispettiamo la sua volontà».
Come vedi il suo futuro?
«Pensando a lungo termine non sono sicuro che correrà ancora quando avrà trent’anni, sta facendo così tante ore sulla moto che quando ne avrà abbastanza chiuderà direttamente il libro. Ma ha ancora molti traguardi da raggiungere, anche perché gli piacer infrangere i record, come quello di vincere tutte le gare della stagione. Ha avuto anche già degli infortuni pesanti, come la frattura alla spalla di Loket del 2012, dai quali è rinvenuto velocemente e forte come prima, per cui il suo futuro lo vedo consistente e qui in Europa a lottare per il titolo MX1 già tra due anni».
Lo trovi simile a qualche altro pilota del passato o del presente?
«Direi di no, ho seguito la crescita nel Mondiale sia di Roczen che di Jeffrey, e devo dire che per quanto riguarda la velocità lui è un passo avanti rispetto al tedesco. Per quanto riguarda il contesto di vita Ken ha però un modello più stabile, Jeffrey ama un tipo di vita più frenetica della quale non può farne a meno, ma è un sistema che deve cambiare se vuole crescere anche come uomo perché ritengo che più vivi con un certo rigore e più ottieni migliori risultati. Entrambi sono comunque due fuoriclasse, atleti dal grande talento con molte cose che accomunano i grandi campioni ad iniziare dall’istinto di vittoria e dall’intelligenza che esprimono sulla moto. E’ davvero impressionante vedere cosa sono capaci di fare».
A Herlings manca qualcosa per essere perfetto?
«Quando è sulla moto direi di no, a parte qualche piccolo dettaglio come la tattica di gara ancora da mettere a punto in quanto a volte è troppo irruente nel cercare di recuperare delle posizioni quando invece io gli dico di prendersi tutto il tempo per rimontare e di non prendere rischi inutili nella foga di migliorare posizioni nelle prime fasi di gara perché ci sono 35 minuti per farlo. Ad esempio in Germania quest’anno ha avuto una guida troppo aggressiva nei confronti di Tixier durante i primi tre giri, e gli ho detto che ha avuto un comportamento stupido perché ha rischiato di cadere e di farsi male per nulla visto che avrebbe potuto scavalcarlo comodamente nell’arco della manche. E in fondo non c’era nulla di male se lasciava al proprio compagno di squadra l’orgoglio di stare davanti per qualche giro. Un altro esempio viene dal GP di Svezia, tempo prima gli avevo detto di tenere sempre d’occhio la scivolosità della prima curva, e neanche a farlo apposta a Uddevalla si è steso come un salame: da allora prima della partenza mi chiede sempre se deve andare a vedere la prima curva e io sorridendo gli faccio segno di si con la testa….».
Ora una cosa te la dico io: sai che in 32 anni di GP non mi era mai capitato di ridere mentre fotografo i piloti durante un GP? Ho iniziato l’anno scorso a Lierop, vedendo Jeffrey doppiare quasi tutti i suoi avversari, un vero spasso anche se ero concentrato nel mio lavoro…..
«Quella giornata è stata incredibile, così come quello che fece poco dopo al Nazioni. Sulla sabbia è il numero uno al mondo, penso proprio che ci farà godere di altri fantastici momenti di motocross…».
Talento...
questo Herlings...