Da Barcellona a Biarritz con Honda per il Wheels&Waves
Mettiamoci d’accordo sulle parole. Se ci sono finti motociclisti vuol dire che ci sono veri motociclisti e se ci sono veri motociclisti vuol dire che ci sono dei metri di giudizio per credere di essere veri oppure no. In base a cosa? Chi li decide? E poi, ghettizzare e separare, visti i tempi che stiamo vivendo, siamo sicuri che vada bene?
Altro giro, altro discorso: se esistono motociclisti modaioli significa che andare in moto può rappresentare ancora una moda e anche in questo caso, se consideriamo i tempi (e il mercato), siamo proprio sicuri che non vada bene? Ebbene sì, siamo stati al Wheels&Waves, e ci siamo fatti queste domande. Che inevitabilmente ci hanno portato a riflettere su qualcosa che va al di là dell’evento in sé e di quanto il mondo custom e l’hipsterismo consequenziale sia o no al suo apice. Un po’ perché a Biarritz ci siamo arrivati con le Honda CB1000R e 650 da Barcellona passando per i Pirenei, e in viaggio, si sa, si riflette e si pensa ai massimi sistemi.
Il viaggio sui Pirenei
Innanzitutto il viaggio, quindi. Diviso in due. Da Barcellona a Castejon il primo giorno, da Castejón a Biarritz il secondo. Proibitivo? Abbastanza, se sei un italiano che ha bramato il sole per due mesi e quando finalmente esplode te ne vai sui Pirenei. Perché se i primi 300 km li abbiamo fatti con giacca di pelle e jeans tecnici, per i restanti 300 del secondo giorno ci siamo dovuti coprire perché la pioggia ci ha accompagnati per tutto il viaggio. Mappatura Rain delle Honda (qui e qui i nostri test rispettivamente di Honda CB1000R e CB650R) e via, velocità di crociera per goderti le curve e il paesaggio insieme, erogazione facile facile, soste per pause shooting e caffè volanti.
Otto ore di viaggio che ti fanno quasi dimenticare la destinazione e quando in uno dei pochi tratti di autostrada vedi la scritta Biarritz dici: ah ok, il Wheels & Waves. Ecco perché sono venuto qui. Per rispondermi alla domanda: ha ancora senso il W&W?
Wheels&Waves, ottava edizione
Wheels&Waves è arrivata all’ottava edizione, la prima è datata 2012. In 8 anni è diventato uno degli eventi più importanti del settore, 50 espositori, molte Case, brand di nicchia, musica, fiera, esposizioni, corse in salita (la Punk’s Peak), il Deus Swank Rally, il Flat track con El Rollo.
Ma quest’anno è successo qualcosa: una scissione. Il customizzatore El Solitario, della vecchia guardia, ha pubblicato una lettera dove ha dichiarato: il Wheels&Waves è morto. Troppo business, troppa politica, si è perso lo spirito delle origini, e se ne è andato in Portogallo per un giro in fuoristrada anti media. In tutta risposta l’organizzazione attuale, nella cover del magazine gratuito con il programma e le novità del 2019, gli ha fatto trovare un dito medio e la scritta: Back to the Roots. Risvolti di tutto questo? Solo quelli dei jeans.
Nessuno pareva risentirne. In questa edizione è tornato tutto nei pressi di Biarritz. Il villaggio del W&W è sull’Oceano: piccolo, due palchi, due vie, un backyard con il giro della morte by Indian, una rampa di skate. E soprattutto l’Oceano lì davanti. Minaccioso, inquieto, nonostante a Biarritz sia arrivato il sole, anche se i local ti dicono che non ti devi fidare: qui il meteo cambia anche quattro volte in un giorno. Ne approfittiamo per fare un giro-shooting con una Honda Four originale del 1969. Pochi chilometri che bastano per capire quanto fossero fuori di testa quei piloti che con questa moto ci pestavano così com’è, con pochi freni, poco minimo però con tanto spirito e stile e passione, vuoi mettere? E anche qui la domanda sorge spontanea: loro erano più veri di quelli veri di adesso? Questione di tempi, questione di stili, questione di libertà. E qui di libertà se ne respira un bel po’.
La vita perfetta di Biarritz
È d’accordo il nostro compagno di viaggio Massimo Guadalupi, aka The Marquis (si pronuncia Marquìs), direttore creativo, blogger e instagrammer. «Alla fine la gente che viene qui vuole stare bene, ci viene per godersela e delle polemiche e dei vari protagonismi a chi interessa?». E poi aggiunge: «L’importante è che ognuno faccia ciò che più gli piace, senza nuocere agli altri, e che lo faccia al meglio». Il sole è uscito definitivamente, il vento è calato e la Punk’s Peak, la gara di salita, finisce alle 16.
Quindi riprendiamo le CB1000R e andiamo lungo la costa per 40 minuti: quarta marcia, filo di gas e ammiri le città, i porti, l’Oceano, i castelli vista mare, i viali alberati che ti rinfrescano e poi ci sono i surfisti, quelli con i monopattini, in bici, tutti con un’aria fricchettona che riassumono proprio ciò che diceva The Marquis: io sono qui, faccio ciò che mi piace, sto scalzo, non do fastidio a nessuno, fatemi continuare così. È quasi vacanza, è quasi la vita perfetta. E diciamo quasi solo per lasciare un margine, ché un margine va sempre lasciato.
Il villaggio sull'Oceano
Ce la prendiamo comoda, troppo forse, perché quando arriviamo tra le curve della Punk's Peak la gara in salita è già finita e allora ritorniamo indietro, in mezzo a orde di motociclisti e moto custom made. Al rientro il villaggio del W&W si è riempito, è partita la musica rockabilly, allo stand Honda godiamo delle moto esposte: c’è la Monkey, ci sono le 12 CB1000R Special per i 50 anni del motore quattro cilindri in linea lanciato proprio con la Honda Four 750 del 69 guidata poco prima (qui le 12 special).
Poi facciamo un tour negli altri stand, tutti sotto le tende militari, da Triumph e da BMW, con la nineT sidecar, in quello Husqvarna con le Svartpilen e nella zona di Moto Guzzi, tra tutti gli espositori ci fermiamo da due brand per hipster sofisticati, Apache Kitone e Clutch.
Veniamo presi dalla tentazione di acquistare una camicia a maniche corte e tema floreale, l’hipsteria è totalizzante, talmente tanto che il fotografo del team Honda, Zep Gori, si sfoga: «Mi aspettavo di più da questo movimento, sono quasi tutti vecchi, l’età media è alta, tra qualche anno qui si porrà un problema di ricambio generazionale, credevo che dagli hipster potesse nascere qualcosa di buono, come fu per il punk, ma questi sono comodi, agiati, perché altrimenti questi capi o queste moto, col piffero che te li puoi comprare e mantenere». Il discorso ha il suo senso. Il punk è nato dalla privazione, dalla fame, da un regime politico conservatore, qui invece c’è tutto il contrario. E non è un male, sia chiaro, è proprio un’altra cosa. La sera infatti i ristoranti di Biarritz sono pieni, le moto ovunque: in un angolo, buttate lì davanti a una panchina ci sono tre Brough Superiore, 180mila euro parcheggiate in strada, olé, l’atmosfera si scalda, i residenti si lamentano o lo stanno per fare perché i motori si accendono e si fanno sentire fino alla mattina, si avverte una attesa verso il weekend, quando ci saranno ancora più gente, ancora più moto, ancora più adrenalina e le strade saranno murate di persone e le gomme delle moto e pure delle auto strideranno sull’asfalto, infumicheranno con i burnout gli applausi e le urla dei presenti che occuperanno qualsiasi centimetro stile finale dei mondiali.
Ed è guardando queste scene che capisci una cosa fondamentale: ci potrà sempre essere chi critica alle derive del business, chi si assoggetta alle mode, chi va in moto solo al bar, chi solo d'estate e chi invece non la molla mai e macina chilometri sotto inverni mai troppo freddi per fermarsi, chi abbina le scarpe al colore del serbatoio e chi invece di tutto questo non gliene è mai importato niente, ma alla fine, in ogni caso, in ogni mondo, in ogni realtà parallela, chi va in moto è più felice. Punto. Lo vedi. Che ognuno ci vada come preferisce, come il sesso, come chi canta, stonando, sotto la doccia.