I Racconti di Moto.it: "Più dei diamanti, una moto è per sempre"
Provarci è fatica sprecata. Perché, la passione non passa. Non quella per le moto. Non si sa come e perché viene, in genere da piccoli, per «eredità» o «imitazione» ma più spesso - così - senza una ragione vera e spesso contro tutto e tutti. Come tutti gli amori del resto. E da quel momento coverà dentro come una agrodolce ossessione. La vita, per ragioni belle (i figli, una famiglia) o ragioni brutte (gli impegni, il portafoglio), può portare - al massimo - ad accantonare, spostare, procrastinare. Volendo si mette una sorta di sordina più per non disturbare se stessi che gli altri, se mi sono spiegato nel bisticcio logico-lessicale. Ma tanto prima o poi risorge più forte e prepotente di prima, come l'araba fenice in acido. Stiamo parlando di roba vera non di mode o della comodità di trovar parcheggio o di fare il figo da un bar all'altro o di aver soldi uno sproposito da esibire.
Si capisce che è roba vera quando non sopisce e non si attenua. Un amico di un secolo fa aveva una teoria. Siccome all'epoca tutti i ragazzi amavano le motine a marce di 50cc. lui diceva che per capire se era passione vera e non transeunte (vabbé, non diceva transeunte) bastava portar qualcuno come passeggero in un lungo giro. Poichè la pratica era illegale l'esperimento veniva fatto su sterrati e strade per finta, a velocità oltre ogni codice e buon senso. Se il tipo al rientro aveva un aspetto luminoso, non vedeva l'ora di ripetere la cosa, era disposto a mettersi a studiare per convincere i genitori e quasi quasi caldeggiava scippi alle vecchiette per racimolare il necessario, beh, era un motociclista che sarebbe rimasto tale anche quando, ai diciotto, avrebbe potuto avere un vano su 4 ruote e metterci anche una fidanzata dentro con buona pace di mamme e zie e odioso vicinato.
Perchè si è motociclisti non solo sempre ma anche ante. Cioè prima di possederne una. Lo si capisce dai gesti, dai pensieri, dalle parole. Lo si capisce se si è disposti a saltar su quella incustodita dell'amico rompendo sia l'amicizia che il naso nella zuffa seguente, se si aspettano i saloni più del Natale, se non si temono gli acquazzoni e il freddo, se una abrasione sulla coscia fa meno male di una leva rotta in una scivolata.
Nel garage del motociclista una moto c'è sempre, anche se non c'é.
Se c'è perché si è riusciti ad averla e a non venderla (ho visto gente ispida non solo di barba affranta al momento del passaggio) e magari - per millemila motivi - non si usa, sta sotto una coperta e ogni tanto la si accende per sentire come sta. Si trovano le scuse «per scendere giù» dove, chissà come, ci sono sempre lavori da fare e cose da riassettare. Una volta entrati nella «condizione motociclista» non se ne esce. E' un fatto filosofico ed esistenziale comune - forse - a poche altre passioni. Mi viene in mente il volo, non so perché.
O forse sì.
In un'intervista Maddy (eggià, la Corvaglia...) e il comico Migone parlando del mestiere che li portava a star lontani parlando della loro casa dicevano: «...e poi lì ho la moto». Rappresentavano così quel groviglio di emozioni e sensazioni da astinenza psicologica e anche fisica. Irrazionale? Sì. E chissenefrega.
Resta il fatto che una moto è per sempre e una racchetta da tennis no. In questo la moto somiglia più ai diamanti. Ma i diamanti a chi scrive non danno emozioni di sorta, sono generalmente più brutti e hanno la pessima abitudine per cui una volta infilati al dito se ne vanno con la donna proprietaria del dito. Anche per questo non sono affatto «per sempre».
Le moto invece sì.
Giuseppe Cadeddu
C'è poco..
a me questa passione