In moto in salute: i traumi fratturativi del piede
Cari motociclisti,
cerchiamo oggi di approfondire le casistiche dei traumi fratturativi da incidente sulla moto, in particolare per quanto riguarda il piede negli incidenti stradali e di vederne per alcuni tipi i trattamenti.
I traumi del sistema muscolo-scheletrico, ovvero che coinvolgono muscoli, tendini, ossa o articolazioni, sono in generale i più frequenti in caso di incidente motociclistico. All’interno di questi sono particolarmente frequenti i traumi fratturativi a livello degli arti inferiori, con maggior incidenza di coinvolgimento delle ossa della gamba (tibia e perone).
In una casistica condotta da uno studio in Inghilterra nel 2004 analizzando specificamente i traumi del piede a seguito di incidente motociclistico su strada per un periodo di sei anni consecutivi, sono stati riportati traumi a livello del piede nel 4.3% dei casi, nella stragrande maggioranza a carico del guidatore. Nel 50% circa dei casi i traumi hanno coinvolto le ossa metatarsali, nel 26% l’astragalo e con minor frequenza altre ossa. Frequenti sono stati i traumi associati (41,5%) ovvero con coinvolgimento di più strutture (fratture associate di caviglia, tibia e perone, degli arti superiori e in alcuni casi del bacino). In questa casistica tutti i pazienti hanno richiesto un trattamento chirurgico.
Il dato da rilevare è tuttavia che circa il 20% dei pazienti ha dovuto in seguito modificare la propria attività lavorativa da manuale a sedentaria a causa del trauma! Queste conseguenze di disabilità a lungo termine sono sicuramente legate alla severità del trauma, ma è altrettanto importante un corretto trattamento ed adeguato percorso di recupero per ridurre al minimo la disabilità a seguito dell’incidente.
Approfondendo il caso di lesione delle ossa metatarsali (le ossa lunghe centrali del piede con le quali si articolano le falangi delle dita), la più frequente nella casistica riportata, le fratture possono interessare la testa, il collo, la parte centrale (diafisaria) o la base del metatarso stesso. Le fratture possono poi essere classificate come trasversali, oblique o spiroidi, composte o scomposte in base alle loro caratteristiche. In caso di frattura composta (cioè senza disallineamento dei monconi ossei fratturati) il trattamento può essere conservativo ovvero con una immobilizzazione gessata per 3-4 settimane, ma nella maggioranza dei casi la scomposizione dei frammenti richiede un trattamento chirurgico. La stabilizzazione della frattura viene effettuata con fili metallici posizionati all’interno dell’osso o con l’uso di mini-placche e viti. Tra le fratture metetarsali a minor gravità, che possono essere associate in particolare ad un banale trauma distorsivo della caviglia, ricordiamo la frattura della base del 5° metatarso sulla quale si inserisce il tendine del muscolo peroneo (muscolo laterale della gamba) che contraendosi bruscamente può favorire il distacco osseo della base metatarsale. In questi casi il dolore persistente laterale al piede deve far porre il sospetto di possibile coinvolgimento osseo, altrimenti a volte misconosciuto e interpretato come semplice trauma distorsivo.
In ogni caso è importante che si associ ad un corretto trattamento chirurgico un adeguato
trattamento riabilitativo finalizzato ad un precoce ed il più possibile completo recupero di mobilità articolare, limitando al minimo necessario il periodo di immobilizzazione e scarico. Molto utili le mobilizzazioni manuali passive ed attive graduali in scarico, l’uso della cyclette e della fisioterapia in acqua, le applicazioni di magnetoterapia o altre terapie fisiche laddove indicato. Il percorso riabilitativo sotto la supervisione di personale qualificato procede attraverso tutte le fasi della riabilitazione ed è mirato al recupero della funzione, che può richiedere in alcuni casi anche diversi mesi di trattamento.
Per limitare la gravità dei traumi è necessario agire sulla prevenzione: oltre alle ovvie raccomandazioni sul rispetto del codice stradale, in particolare dei limiti di velocità e sulla prudenza in particolare nelle strade trafficate, ai fini della prevenzione è fondamentale l’uso di calzature adeguate, come stivali o scarpe alte rinforzate e con protezioni dedicate anche, e forse soprattutto, per gli spostamenti di brevi tratti in zone molto trafficate.
Lorenzo Boldrini
Referenza bibliografica: Jeffers et al. Journal of Orthopaedic Trauma, 2004
In risposta ad un precedente quesito di un lettore: l’utilità della idrokinesiterapia.
L’idrokinesiterapia, ovvero la ginnastica in acqua assistita da un fisioterapista, è una metodica molto utilizzata nella riabilitazione degli infortuni per i numerosi vantaggi che può offrire. In particolare in acqua alta è possibile effettuare movimenti con ridotto carico su ossa e articolazioni grazie al sostegno del peso del corpo, facilitando il recupero di gesti funzionali come il cammino. In caso ad esempio di lesioni degli arti inferiori o della colonna è possibile effettuare precocemente movimenti che sarebbero in alternativa difficilmente esercitabili in palestra, limitando i compensi posturali. Un altro vantaggio è che la temperatura dell’acqua calda, in genere tra 32 e 34 gradi, aiuta la mobilità articolare, il rilassamento e l’allungamento muscolare, riducendo in alcuni casi il dolore. L’ambiente acqua favorisce inoltre la circolazione riducendo il gonfiore periferico; allo stesso tempo può essere un ottimo mezzo di rinforzo muscolare grazie alla resistenza che è possibile sfruttare in alcuni movimenti ed esercizi. Infine può portare ad un recupero più veloce, in particolare per gli sportivi.
Viene quindi di norma impiegata nei programmi riabilitativi dopo infortunio laddove non vi siano particolari controindicazioni (ad esempio ferite non ancora ben guarite, allergie ai disinfettanti della vasca, idrofobia,…).