on the road

USA, te la do io la moto

- Parliamo degli Stati Uniti di America. Viaggi, business, supercross e super... girls. Tutto in chiave due ruote e tutto rigorosamente decorato a stelle e strisce. Ce ne parla Pietro Ambrosioni
USA, te la do io la moto

Ciao a tutti e ben trovati. Facciamo un po’ di presentazioni: appassionato di moto da sempre e pilota “fallito”, mi sono trovato quasi per caso a fotografare il Mondiale di Motocross classe 500 nel 1989 proprio nel suo tempio principale, ovvero la Citadelle de Namur, in Belgio. Da quella volta, tra alti e bassi, fughe e ritorni al primo amore, non ho praticamente più smesso. 

Dal 2005 seguo il Supercross americano e dal 2008 mi sono trasferito negli USA
, prima a Los Angeles per un paio di anni e poi ad Atlanta, dove ho aperto il mio studio fotografico. Viaggio per gli States in lungo e in largo, in moto, in macchina e purtroppo anche in aereo (che odio e del quale ho ancora una paura atavica…) e non smetto mai di osservare, imparare e scattare foto. In queste mie righe vi parlerò dunque di viaggi, show, business, burocrazia e stranezze, tutto in chiave “due ruote” e tutto rigorosamente decorato a stelle e strisce

Quando si parla di moto negli USA vengono immediatamente in mente i grandi spazi, la Route 66, le Harley-Davidson e, almeno a me, il Supercross. Ma uno dei paradossi di questa enorme nazione, che copre un intero continente, è che nonostante i quasi 320 milioni di abitanti, le moto sono vendute in numeri quasi ridicoli.
La cifre diffuse dal MIC (Motorcycle Industry Council - in sostanza l’ANCMA americana) parlano chiaro: i veicoli venduti fino alla fine di settembre 2013 erano 328.000 circa, di cui poco più di 29.000 scooter. Ci sono poi altre 55.000 moto offroad e circa 165.000 ATV, ma vedete bene che i totali sono quantomeno sorprendenti. 

In moto a New York
In moto a New York


Osservando il mercato e l’ambiente delle moto in generale, si possono vedere due trend ben precisi: il primo è che le due ruote in America sono semplicemente un giocattolo, ovvero un mezzo con il quale divertirsi nel weekend o magari per una breve vacanza. Nonostante il traffico sempre più congestionato ed impossibile di città come New York, Chicago, Los Angeles o Miami, le moto e gli scooter non sono utilizzati per il cosiddetto “commuting” ovvero il tragitto da e per il lavoro.
Le motivazioni sono diverse, ma io, che la moto la uso il più possibile, ne individuo principalmente una.

La moto qui, per il codice della strada, è considerata alla stessa stregua di un’automobile. Solo in California si può passare tra le macchine in coda (quello che chiamano “lane splitting”), mentre in tutti gli altri stati le moto devono farsi la coda e basta. Non si può condividere la corsia, non si può superare anche se non si oltrepassa la linea mediana, pioggia o sole assassino che ti fa bollire il cervello sotto il casco si sta in coda e basta. Idem per i parcheggi, una moto occupa lo stesso spazio di un’automobile, paga lo stesso costo e non ci sono parcheggi dedicati o riservati alle moto. Addirittura le moto non sono ammesse nei silos  multipiano, con la scusa che sono più soggette delle auto a prendere fuoco (?). Personalmente, gli unici parcheggi dedicati a moto e scooter che ho visto in giro li ho trovati a Key West, in Florida.

La moto qui, per il codice della strada, è considerata alla stessa stregua di un’automobile. Solo in California si può passare tra le macchine in coda

L’altro trend, che secondo me è ancora più preoccupante, è legato all’età media dei motociclisti americani.
Quello che sto vedendo negli ultimi tre o quattro anni non mi fa sperare in niente di buono per l’industria: non ci sono giovani motociclisti, manca “carne fresca”.
Vado a circa 15 fiere di settore all’anno, la maggior parte delle quali sono motoraduni come il BMW MOA Rally o l’Americade e ormai l’età media dei partecipanti supera abbondantemente i 50 anni. Per un periodo ho creduto che la situazione fosse solo “l’onda lunga” della crisi economica del 2009 ma recentemente mi sono reso conto che le radici stanno altrove. Le Case, Honda e Kawasaki i  primis, hanno buttato fuori nuovi modelli relativamente interessanti ed economici per attirare i giovani e farli salire in moto. Manca ancora uno sforzo reale per dare agevolazioni finanziarie a chi non abbia cinque e seimila dollari da “buttare” in una moto, ma qualcosa si sta muovendo anche li.


Il vero problema, secondo me, è che la moto qui non è più “cool”.
I ragazzi guardano altrove, vogliono l’iPad e il MacBook Air, risparmiano per pagare le rate della Camaro e non gliene importa un accidente del Caballero di turno, come succedeva ai miei tempi.

La generazione di “On Any Sunday” o “Easy Rider” sta invecchiando tanto quanto le pellicole di quei bellissimi film, e con quella generazione se ne stanno andando anche tanti sogni a due ruote.
Spero di sbagliarmi!


Pietro Ambrosioni  

  • Piero1429
    Piero1429, Bologna (BO)

    Tutto vero, ma...

    Complimenti Pietro per il bell'articolo, che ha anche il merito di esplorare una realtà poco conosciuta.
    Anch'io ho frequentato attivamente gli States, un paese che amo e nel quale - prima che questa maledetta crisi togliesse ogni velleità in tal senso - mi piaceva trascorrere le ferie, da appassionato motociclista, mi sono chiesto molte volte per quale motivo l'americano-tipo mostrasse così scarsa propensione all'impiego delle due ruote.
    Tutto sommato, andavo riflettendo insieme ad un compagno di viaggio mentre passeggiavamo per le pendenze di San Francisco, i rapporti corti del vespone 125 dei miei sedici anni non sfigurerebbero affatto in una città del genere, e renderebbero senz'altro meno faticoso lo scalare quelle belle collinette... Così come senz'altro faciliterebbero non poco la circolazione per le vie congestionate di New York o Los Angeles.
    Ora, sono convinto che le grandi case automobilistiche abbiano fatto del loro meglio per dissuadere e scoraggiare la grande utenza dall'investimento in mezzi a due ruote; e ciò sin dagli anni '50, quando con accurata precisione si è andata costituendo un'immagine edulcorata del quadro sociale americano, proponendo, direttamente o meno, l'automobile come garanzia di tranquillità familiare e/o del raggiungimento di un qualche successo economico.
    Attraverso la pubblicità tradizionale, ma anche manovrando gli investimenti attraverso il finanziamento di pellicole di successo (non si pensi che la scelta di una vettura per un film sia casuale: esattamente come avveniva per la reclame di sigarette in Italia, le politiche d'immagine sono frutto di complesse negoziazioni di ordine economico), si è proposta e consolidata nel tempo l'immagine stereotipata dell'autovettura quale centro di gravitazione della famiglia-bene.
    Si potrà obiettare che sono molti i film che hanno motociclisti per protagonisti, ma non è difficile rilevare come essi siano perlopiù caratterizzati come soggetti "drop-out", marginali o comunque eccentrici rispetto alla società - emblematico il caso di Easy Rider, che fu peraltro il primo caso rilevante di film prodotto per via indipendente dalle majors ad ottenere un successo mondiale. Marginali, quando non apertamente ostili al vivere civile ed alle sue regole: pensate a quanti motociclisti assassini e fuorilegge abbiamo visto commettere le loro "prodezze" sui grandi schermi!
    Per chi non l'avesse ancora fatto, e desiderasse esplorare l'argomento attraverso lo studio realizzato da un grande giornalista (motociclista), consiglio a tutti "Hell's Angels", di Hunter Thompson; riassumendo la tesi che appare in controluce, Thompson, che ha trascorso due anni in mezzo ai motociclisti MC più famosi del mondo, sia pur lungi dal giustificarne le intemperanze (vere), demolisce però il mito (falso) dei barbari saccheggiatori, mostrando come esso sia stato artatamente costruito dalla stampa, nel corso degli anni '60, soprattutto al fine di sviare l'attenzione dell'opinione pubblica dai guai della politica internazionale USA del tempo - guerra in Vietnam, crisi petrolifera, progressiva erosione del valore del dollaro ecc.
    Senz'altro anche a seguito di tutto ciò, una strisciante prevenzione nei confronti delle moto e dei motociclisti ha finito per prendere piede, tanto che a tutt'oggi la moglie americana di un amico, vedendo il marito rientrare a casa in sella ad un fiammante Harley Davidson, non ha potuto che commentare, tra il serio ed il faceto "...ma è una moto da teppista!" (vera!)
    Data la situazione, le case giapponesi, la cui principale risorsa risiede nella possibilità di rendere la moto oggetto di un consumo di massa, dopo aver inizialmente tentato di penetrare un mercato reso difficoltoso anche dal complesso sistema protezionistico in vigore, hanno finito per investire in altre zone del mondo; ora Ducati rinnova il tentativo, ma sono convinto che i risultati non saranno migliorativi, malgrado la messa a punto di modelli evidentemente orientati al gusto statunitense più che non a quello nostrano (si pensi alla Diavel, roadster direttamente concorrente del modello jap relativamente più diffuso negli USA, la Yamaha V-Max). Non casualmente, forse, il target economico di riferimento del management di Borgo Panigale, pare assai lontano da quello costituito da un'utenza media, come avviene in Italia, per concentrare lo sforzo su soggetti con ben altre disponibilità... Mette conto ricordare come la maggioranza dei cinquecento esemplari di "Superleggera", commercializzata alla modica cifra di 66.000 euro, sia finita oltreoceano, a far bella ostra di sé nei garage di qualche Tycoon o star hollywoodiana.
    Da ultimo, anche so non possiedo certezze in merito, varrebbe la pena di concentrare l'analisi sulle modalità di concessione della patente A negli Stati Uniti. A quanto mi è dato di sapere, pare sia piuttosto difficile ottenere il certificato, e questo contribuisce forse a rendere la formazione e diffusione di una cultura della moto ancora più problematico.
  • pmorettone01
    pmorettone01, Roma (RM)

    Route 66 e Harley forever!

    Per personale esperienza, a seguito del mio coast to coast in sella ad una mitica Electra glide con la mia signora al seguito, alla ricerca della mitica e frammentata route66, effettivamente posso asserire che il 99% delle moto negli States sono Harley, e guidate certo non dai pischelli.
    Credo che per chi é motociclista da 40 anni come me non sarebbe minimamente immaginabile fare un Trip come quello che ho fatto io con una macchina, Mustang che sia, ma credetemi con una touring Harley ha tutto un'altro SAPORE 4000miglia di paesaggi incredibili.
    Quindi per come la vedo io, la cultura americana non prevede ne jap ne tantomeno scooter, ma only Harley!
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