Alessandro Botturi vince il Merzouga Rally e fa il punto
Ad Alessandro Botturi mancava una vittoria. È arrivata, alla fine della stagione al Merzouga, il rally che tradizionalmente segue a ruota l’ultima prova di campionato del mondo, e subito dopo il ritiro per un problema tecnico al rally del Marocco.
Botturi ha vinto e… convinto, tra l’altro mettendosi dietro piloti in gran forma come Gerard Farres e Stefan Svitko al termine di una cinque giorni di gara impegnativa e piuttosto “selettiva”. Il Merzouga è servito anche, non solo a Botturi, per rifinire il lavoro di preparazione delle moto, e anche da questo punto di vista il rally si è prestato benissimo a fornire ai piloti e ai team partecipanti un ottimo banco di prova per il materiale e per le configurazioni tattiche da immaginare a settanta giorni dal via della Dakar.
Avendo “vissuto” per quasi un mese in Marocco, prima al OiLibya del Marocco e poi al Merzouga Rally, Botturi ha potuto farsi un’idea precisa dello stato di forma degli avversari già proiettati nello scenario della Grande Battaglia, e noi ne approfittiamo per decifrare il contesto generale delle forze in campo e “mappare”, da questo punto di vista, la prossima Dakar Argentina-Bolivia che sta per entrare nel vivo.
Merzouga Rally 2016. Stage 5! Vediamo come è andata.
Posted by Moto.it on Mercoledì 21 ottobre 2015
Alessandro, un ritiro sfortunato al OiLibya, ma poi ti sei rifatto vincendo il Merzouga. Una bella differenza, direi. Bene così?
«Bene sì. Sono contento perché mi ero accorto già al OiLibya che il mio passo è buono, e così la navigazione. Sfortunato in Marocco, e va bene, ma anche da quella circostanza ho preso il buono, ovvero la consapevolezza che c’ero anch’io. Una tappa quarto, una ottavo, e l’ultimo giorno ancora la possibilità di ottenere un bel risultato, almeno di giornata. Poi il guasto. Piccole cose, problemini da sistemare, ma poi al Merzouga mi sono rifatto, e la vittoria è venuta bene. I primi giorni c’era anche competizione. C’era Sunderland, Walkner, che insieme a Barreda sono i più veloci, e tenere il loro passo era un bel lavoro. E c’era quel tale Svitko. Il suo non è un nome troppo noto da noi, ma alla fine è uno che tutto da solo nelle ultime tre Dakar ha sempre centrato un risultato eccellente. E poi Pain, Laia Sanz, Farres che tornava dopo la vittoria in Turchia. Mancavano i Piloti Honda, d’accordo, ma qualcuno con cui competere c’era e la battaglia non è certo mancata».
Parliamo della tua moto
«La nuova Yamaha Rally mi da molta convinzione. Ogni volta che salgo in sella mi pare di andare un po’ più veloce, di migliorare. Mi piace. Dobbiamo ancora testare un po’ di materiale, perché siamo un “pelino” in ritardo, ma se consideriamo la gara, vediamo che abbiamo rotto delle cavolate. Il piantone della strumentazione, per esempio, non è un guaio vero, e la pompa della benzina di Helder, beh, c’è dietro una piccola storia che non vi sto a raccontare, ma è stata davvero una stupidaggine che sono certo non si ripeterà».
Aiutaci a fare il punto delle forze in campo. Da chi partiamo?
«Da Matthias Walkner, il nostro nuovo campione del Mondo. Lo vedo davvero competitivo, in un anno soltanto è cresciuto tantissimo. Non cade mai, forse non è il più veloce in assoluto, non come Barreda per esempio, ma è sempre molto equilibrato nell’azione. Per la verità avrei voluto iniziare da Sam Sunderland. Sfortunatissimo. Credo che salterà la Dakar. Il problema è che alla fine si è “mangiato” un pericolo 3 perché, pur partendo tra i primi e aprendo la pista, andava troppo forte. Mi dispiace, la frattura scomposta del femore non è una cosa che si rimedia in settanta giorni, quanti ne mancano alla partenza della Dakar! Mi spiace tantissimo perché è un bravissimo ragazzo ed era in una condizione di forma strepitosa, non solo perché aveva vinto il Rally del Marocco. ci sono altri piloti che non si possono ancora decifrare, ma che potrebbero avere un certo peso, anche se non credo nell’immediato. Penso a Ivan Cervantes, che è un campione indiscusso, o a Pierre-Alexandre Renet, anche se l’infortunio al Marocco credo che gli peserà in modo determinante».
E Antoine Meo, come lo vedi?
«Bene! Guarda, ti dico che secondo me nel giro di tre anni diventa il Pilota di riferimento. Si è ritirato anche lui dal Merzouga, ma non perché gli sia successo qualcosa. Sì, aveva rotto la strumentazione in una caduta, ma in verità si è ritirato per tornare in Italia e vincere gli Assoluti d’Italia di Enduro».
Hai sentito la storia di Jeremias Israel? Ufficialmente è stato lasciato a casa per una questione di sponsor e di non corretto utilizzo dell’immagine Honda. Questa è una delle campane, ma manca ancora la sua. È strano, “Jere” è solito mettere subito in piazza le sue storie. Che ne pensi?
«Boh, non ne so molto. Ho visto il comunicato Honda che lo esclude da tutti i loro programmi. In verità non capisco Honda, nel senso che non so che strategie stanno mettendo a punto».
E del nostro amico Joan Barreda che pensi?
«Ci siamo già spiegati molte volte. Barreda è veloce, su questo non si discute, ma non c’è una volta che non combina un casino. Non so, magari poi questo sarà proprio il suo anno. Ma se devo dirti quello che penso, vedo più competitivo Walkner, o il suo compagno del Team HRC Paulo Gonçalves. Mi pare che siamo d’accordo, no? Alla fine Gonçalves è il pilota meno appariscente, ma anche per la Honda è sempre il più concreto, quello che non esagera mai, non si da mai per vinto e che ottiene sempre qualcosa di buono».
Nel frattempo, tra le file del Team HRC, è arrivato anche Paolino Ceci… ti pare una bella mossa?
«Penso proprio di sì. Il “lavoro” che gli hanno affidato, il portatore d’acqua, lui lo sa fare benissimo, ed è proprio quello che mancava alla struttura del Team di Honda. Inoltre, dopo che hanno perso Helder Rodrigues, a loro mancava quell’uomo che sa fare tutto ed è capace di intervenire sulla meccanica. Ricordiamoci che alla Dakar di quest’anno, Helder ha cambiato tre motori durante la tappa marathon. Da solo!»
A proposito di Rodrigues, è lui, adesso, al centro dello sviluppo della nuova Yamaha. Pensi che abbia fatto sentire il peso della sua esperienza?
«Senz’altro sì. È lui che opera le scelte tecniche, e che pianifica lo sviluppo. In fondo è lui che ha “modellato” la Honda che va così bene adesso. Ci parliamo spesso, ci scambiamo moltissime informazioni. Anche durante il Merzouga gli ho passato quasi quotidianamente il mio “report” tecnico. E la nostra moto adesso va veramente bene. È molto bilanciata, si guida benissimo, e va forte».
Come pensi che si svilupperà, dal punto di vista agonistico, la prossima Dakar?
«Vedo, vedo. Non so esattamente, la Dakar è una corsa troppo speciale per avventurarsi in pronostici chiari. Vedo, comunque, che potrebbero giocarsela Walkner, Gonçalves, Barreda e Quintanilla. Li vedo davvero competitivi. Dopo di loro ci sono sei, sette piloti, e mi ci metto dentro anche io, che non hanno la velocità massima ma possono contare su un ritmo regolare, che definirei intelligente. Tra questi metterei Helder, Svitko, Pain, anche Pedrero. Il problema è che vedo anche una prima settimana di Dakar molto “scalmanata”, e lì possono succedere i guai! Vorranno partire tutti a manetta per prendere il posto di Coma, ma non c’è dubbio che la cosa migliore è pensare ad una gara d’attesa, usare testa e regolarità. Aspettare il momento buono e solo allora sferrare l’eventuale attacco».
E come vedi lo sviluppo della storia della Dakar, alla luce degli ultimi eventi?
«Secondo me qualcosa sta cambiando. I primi anni il Sud America era un “paradiso” per la Dakar. Adesso si è tirato indietro il Cile, poi il Perù. Non so dove possa andare negli anni futuri».
Come ti prepari adesso, fino alla data fatidica?
«Soprattutto fisicamente. Palestra, molta bici, e solo una sessione di test, ma soprattuto di Road Book, in Marocco. Manca poco, e bisogna andare con i piedi di piombo per non farsi prendere dall’agitazione e rischiare di farsi male. Penso ancora a Sunderland. Per ora sono riuscito a seguire quasi perfettamente la tabella di marcia della stagione che sta per finire. Ho cercato di crescere gara dopo gara. Mi sento anche mentalmente forte, e psicologicamente preparato anche a stare davanti».