Eddie Lawson & Ben Spies, faccia a faccia
Il bel documento video realizzato da Yamaha è diviso in due spezzoni a loro volta titolati dagli argomenti trattati dai due campioni americani. Eddie Lawson e Ben Spies se la raccontano un po’, scambiandosi sensazioni ed opinioni sul mondo che li accomuna: quello delle moto e delle corse.
- Eddie Lawson e Ben Spies
Di seguito potete trovare la sostanza del colloquio tra Eddie e Ben, nonostante il talvolta incomprensibile slang di Texas Terror, decisamente più ostico di quello del grande californiano.
Parte prima
La tecnologia, ieri ed oggi
E.L. – Io amo la tecnologia, quindi apprezzo molto le novità in questo senso. Mi piace star li a guardarmi per bene una nuova moto ferma sul cavalletto, sia essa una R1 piuttosto che una MotoGP. E mi viene da sorridere, perché ai tempi fui il primo in assoluto a provare una forcella a steli rovesciati, e a provarla su una moto da Gran Premio, laggiù in Giappone. Quella forcella era talmente rigida da mettere in difficoltà il telaio: aveva sicuramente un potenziale notevole, ma fino a quando non fosse arrivato un telaio all’altezza, sarebbe stata inutile. Tuttavia guardai quella moto e pensai: però sono stato il primo a provarla! E ne fui davvero compiaciuto.
B.S. – Per me è stato incredibile il progresso da quando correvo nel campionato AMA Superbike, diciamo verso il 2004/2005, a quando sono arrivato nel mondiale Superbike, l’anno scorso: il modo di correre era completamente differente, non so se anche quando correvi tu, mettiamo tra l’86 e l’88, le cose fossero cambiate in questo modo.
La strada per la vittoria
E.L. – L’altro giorno stavo chiacchierando con Wayne Rainey: io e lui siamo piuttosto invidiosi delle persone con cui stai lavorando oggi e dei mezzi che stai usando, perché…se ai nostri tempi avessimo potuto godere di un simile potenziale penso che avremmo potuto vincere più titoli. Yamaha oggi si sta davvero impegnando moltissimo in MotoGP….
B.S. – Si, è vero. In Moto GP, ma anche in Superbike, negli ultimi cinque anni è stato chiaro che in Yamaha fossero determinatissimi a vincere, non si sono fatti mancare nulla per poterci riuscire.
Riguardo all’attuale Yamaha R1
B.S. – Per l’utilizzo stradale questa moto è molto aggressiva, ci hanno messo parecchia della tecnologia presa dalle competizioni, e questo è importante. Come il nuovo albero motore “crossplane”, che ne ha fatto una moto…molto potente e performante, si, ma anche così dolce…Non è facile fare una top bike sportiva che sia così divertente e facile da guidare anche su strada. Questa moto ha quattro cilindri ma si comporta quasi come una bicilindrica, è molto differente dalle moto che avevo usato precedentemente. Non mi sono mai divertito così in pista con una moto stradale.
E.L. – Sai, ho chiesto alla Yamaha una R1, e mi hanno risposto che alla mia età sarebbe stato sufficiente uno scooter Vino…mi hanno fatto davvero arrabbiare!
B.S. – (sghignazzando) Beh, cosa vuoi che ti dica…riprovaci…
Parte seconda
La competitività
E.L. – Io credo di essermi reso conto di avere uno spirito competitivo quando iniziai a praticare il dirt track: ero giovanissimo: avevo dodici anni, ma ero davvero molto, molto carico, e volevo assolutamente battere tutti gli altri ragazzi. In effetti sono arrivato ultimo per molto tempo, tuttavia sapevo che ci sarei riuscito. Lo volevo fermamente, non so se per te è stato così, quando eri piccolo…
B.S. – Per me è stato qualcosa di simile. Sapevo che sarei riuscito ad ottenere buoni risultati in ogni cosa che avrei fatto, anche giocando a basket o che altro. E non ho mai sopportato che qualcuno mi battesse. E non lo sopporto nemmeno ora, per esempio quando esco con un paio di amici in bicicletta che, specialmente in salita, sono più forti di me.
E.L. – Si, è successo anche a me: solitamente mi allenavo con dei crossisti, che all’inizio mi dissero: «oh, tu sei uno che corre in pista, roba da femminucce…». Bene, quella era la cosa più sbagliata da dirmi, non se ne sono mai pentiti abbastanza, perché migliorai costantemente ogni santo giorno finché non riuscii a tener loro testa. Si, è stato così anche per me, assolutamente…
La celebrità
B.S. - Mi piacciono i tifosi, fin da quand’ero ragazzino, e vorrei conoscere un pilota, specialmente di quelli al top, che non la pensi così. Mi è abbastanza difficile credere che i tifosi mi sarebbero così affezionati se io non li ricambiassi. E quando li vedo applaudirmi, agitarsi e a volte quasi piangere per me, penso «cavolo, che bella cosa”, mi sento felice, mi carica molto, quasi come correre in moto. Questo è uno degli aspetti positivi della celebrità.
Secondo me, chi fa esattamente quello che gli piace fare, lo fa al meglio: io, per esempio, ho il privilegio di guidare una moto da corsa ad alto livello, e questa è davvero una gran cosa. Ma il guaio è che la celebrità comporta anche impegni mediatici con la stampa e con gli sponsor, che sono certamente importanti, ma spesso molto impegnativi. A qualcuno piacciono molto, ma per me sono questi obblighi il vero, duro lavoro, non girare in moto su un circuito il più velocemente possibile.
E.L. – Beh, per me le cose erano più facili allora, perché probabilmente il carico di lavoro era, diciamo, la metà rispetto al vostro, e anche con la stampa era tutto molto più facile.
Come si diventa campione del mondo
E.L. – Mi è stato chiesto spesso come si fa a vincere un titolo iridato. Wow, è una tale alchimia di cose… Mamma mia, se vuoi guadagnarti un titolo hai un milione di piccoli particolari da far combaciare ad ogni singola gara, da quando di svegli la mattina fino allo sventolare della bandiera a scacchi! Mi è difficile entrare nei dettagli, magari tu riesci a spiegarlo molto meglio…
B.S. – Per me lo scorso anno è stato duro. Credo che tutti abbiano quanto i guai e la sfortuna ci abbiano bersagliato. È stato tutto molto differente rispetto a come ero abituato, perché non avevo mai lavorato così tanto sulle moto come nel mondiale SBK: il cambiamento è stato enorme. E poi ho trovato nuovi avversari, contro i quali non avevo mai corso. In buona sostanza, comunque, essere sempre “consistent” (come diceva sempre il grande Wayne Rainey, ndr) è senza dubbio la cosa più importante per arrivare al titolo.
E.L. – Si, si, vincere è davvero una fortunata combinazione di tantissime cose…Per esempio, sarà capitato anche a te, sei in testa, gomito a gomito con qualcuno ma davanti per un soffio, mettiamo…tre decimi: tu spingi come un matto e mancano cinque giri alla fine e pensi «non so che c…o altro fare per andare più forte di così, non so se riuscirò a tenere questo passo per altri quattro giri». Però stringi i denti, stai davanti e vinci! Questo significa essere un campione del mondo: riuscire a star davanti con le unghie e con i denti, e magari fare il miglior tempo proprio all’ultimo giro. Io l’ho fatto, e sicuramente l’avrai fatto anche tu. È questo deve fare un campione del mondo.
Due ragazzi con la moto nel sangue.
Da come l'ho conosciuto era' una persona molto cordiale e disponibile , corretta nei rapporti di lavoro , tecnico nel collaudare abbigliamento e moto , vinse ancora altre tre volte il campionato del mondo calsse 500cc.
Non conosco la nuova generazione di piloti quali Ben Spies ma mi e' piaciuto subito il suo stile di guida veloce e la correttezza con cui si e' battuto in pista andando fortissimo e dimostrando il suo potenziale diventanto campione del mondo SBK , dal mio punto di vista questo lo portera' molto in alto anche nella moto GP.
Due campioni a questo livello sono speciali il primo per la sua esperienza e per quello che ha dimostrato e fatto , il secondo per la sua prima avventura vincente e per una futura carriera in ascesa ,
buona continuazione a tutti e due ragazzi....... con la moto nel sangue.
Gianni Scanavacca.