Dakar 2023. Finish Line. La Leggenda di Zacck, Iader e Picco
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Dammam, Arabia Saudita, Gennaio. Zacck è appena nato e i genitori hanno deciso: Cesare. Nome epico. Nell’euforia del momento Zacck scappa dalle braccia della mamma e si lancia nel vuoto. Suono agghiacciante di craniata. La mamma si china già traboccante di disperazione, fa per prenderlo tra le mani… e Zacck ride. Se la ride a crepapelle. Mamma pensa: centralina fulminata. Ghiaccio sul trauma. Zacck è adagiato fuori dalla porta sul davanzale innevato.
La gente passa, accosta e vede Zacck, accarezza il piccolo che ride sempre, lascia una mela, una razione di emergenza o un tramezzino e va via. Così Zacck passa il suo primo inverno. La mamma lo vede felice e non ha il coraggio di riportarlo dentro casa. L’inverno in quella culla di ghiaccio e neve forgerà per sempre, dietro alla faccia perennemente sorridente, lo chassis d’acciaio del dakariano. E un giorno è Dakar. E un altro giorno è due Dakar. È evidente che in moto Zacck ci sa andare. Non così forte, non così tecnico, non così fuoriclasse. Ma ci sa andare. Il resto è in quel sorriso, periscopio di uno stato d’animo demolitore
Lo trovi al freddo in partenza, e se la ride, in mezzo a un guasto, e se la ride, insabbiato o impantanato in mezzo a cento disperati, e se la ride, si tira fuori e tira fuori gli altri. ASO, che è alla continua ricerca di stravolti e drammi per filmare il pathos della disfatta e della resurrezione, Zacck lo evita. Perché è l’immagine fuorviante della Dakar ovvia, della Dakar infradito e long drink. Si fa così e cosà, si fa. Che problema c’è?
Iader parte per la sua prima Dakar come un condannato, all’esilio o peggio. ASO, che dimostrerà di capire il giusto, l’ha già rifiutato per la Dakar 2022. Gli danno due tappe, massimo tre. Secondo altri la matematica dice chiaramente che non arriva alla fine della prima. Ai totalizzatori l’arrivo alla giornata di riposo paga un bilione a 1, la conclusione a Dammam il travaso degli averi di un oligarca russo. Ma nessuno scommette su Iader. Andare a vedere se Iader c’è diventa accademia del thè delle cinque. Ma Iader c’è. Magari per gli spaghetti di mezzanotte, Iader c’è! Giorno dopo giorno eccolo lì, ai margini del fotogramma, lo riconosci. Mai invadente, Iader entra nella pellicola da un lato, discretamente, scarruffato e incappucciato come Igor, anzi Ygor, insomma il leggendario “Aigor” di Mel Brooks. Nessuno si cura di lui, lui interviene casualmente, mai tronista a ridersela con Zacck, a piangersela con Tiziano, a disperarsi in aiuto di Picco al muro di fango. La cosa ganza è che Iader è capace di vedersi da fuori, di traslarsi nel pieno dell’azione che svuota anche l’anima, e tornare a casa, dai suoi, di vedersi in mezzo a questa follia e prenderla così, lasciandosi lo spazio per pensare ad altro. Questa è la forza dimostrata di Iader. Se sei preso mille-per-mille ti corrodi e disintegri, se hai la forza di sdrammatizzarti da fuori ce la fai a pescare energie fresche dai pensieri, ce la fai a darti dei consigli come se li stessi dando a un altro. E si sa, tanto meno cose e persone ci riguardano, e tanto più siamo migliori giudici.
Picco è alla 29ma Dakar. Non ne ha mai vinta una, anzi ne ha buttate via, di vittorie. Nella classifica dei secondi è… secondo, dietro solo a Jordi. Avesse avuto allora il cervello di oggi Picco sarebbe stato il fuoriclasse dei fuoriclasse, l’icona, il simbolo del Super Campione Dakariano. Ma Picco era un istintivo, genuinamente appassionato e generoso. Non aveva quel lato furbo che ti fa travolgere e vincere alla faccia di tutto e di tutti. Era solare e… Pilota, per questo la gente tifava per lui. La gente continua a tifare per lui perché Picco oggi è la leggenda sempre verde, l’invidia di chi alla sua età può competere solo a briscola e scopa. Perché ad ogni nuova impresa Picco trascina. Gi dai una moto, un quad, una locomotiva, un carrello elevatore, Picco sarà sempre al traguardo della Dakar, dell’Africa Eco Race, delle sue Corse. Come dice lui “Un chilometro alla volta, vediamo di farli tutti!”. Un giorno, l’ultimo dell’ultima Dakar, Picco è intrappolato in quel fango di cui sopra: “Siamo nella merda!” Non lo dice come chi scopre, a metà caffè o doccia, che è finito lo zucchero o lo shampoo. La sua è un’imprecazione arricchita, la constatazione che fino a lì l’uomo c’è arrivato, ma oltre non può. L’uomo no, ma Picco sì. A little help from my friends, la scoperta di un’energia di riserva sopita e sconosciuta che scatta come una molla. L’uomo è oltre, il Pilota è oltre, Picco è oltre, al traguardo. Che diamine!
Ecco, questi sono rifrulli di pensiero. Storielle un po’ arrangiate che mi hanno colpito per la forza dei protagonisti, per i quali ho visto crescere a dismisura diverse forme di stima e di ammirazione, e che riporto perché riferiscono, e ribadiscono, di quale materia è fatto un Dakariano!
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...ma queste, purtroppo, sono Splendide eccezioni....