Dirk Gruebel (KTM): “Che gioia il titolo di Herlings”
Dirk Gruebel è il coordinatore sportivo di KTM del settore motocross. Ecco la sua intervista.
«Come per molti anni in questo ambiente, dopo essermi divertito con la moto da cross la mia carriera è iniziata facendo da meccanico ai miei amici che correvano - spiega l’affabile Dirk Gruebel - poi ho smesso ed ho iniziato a lavorare in ambito automobilistico ma rimanere sempre nello stesso posto mi stava stretto, finché nel 2001 incontrai l’amico Harry Nolte che lavorava per la WP il quale mi disse di contattare la KTM perché stava cercando diverse figure professionali. Non avevo nessuna raccomandazione ma spedii ugualmente il mio curriculum, piacque e diventai il collegamento tra il team del motocross statunitense e quello dei GP».
Cosa facevi esattamente?
«Preparavo tutti i pezzi ufficiali da provare e seguivo tutti i test, andavo alle gare supercross e National, cercavo di far crescere la squadra e nel 2003 abbiamo vinto il campionato nazionale con Grant Langston. E’ andata avanti così per cinque anni, poi nel 2008 sono stato assunto dalla BMW per seguire il progetto enduro ma dopo due stagioni è stato cancellato per cui mi sono ritrovato disoccupato. Mi stavo guardando attorno per capire cosa avrei potuto fare, quando mi ha chiamato Pit Beirer che nel 2011 mi ha ripreso in KTM in veste di direttore tecnico a fianco di Stefan Everts che ricopriva il ruolo di team manager. Ho continuato così finché Stefan ha lasciato, lasciandomi il posto di team manager della classe MX2».
Come si svolge il tuo lavoro?
«Ultimamente quello principale lo si fa a casa, gli ordini e l’organizzazione del materiale, il coordinamento dei meccanici e del bilico per andare alle gare, la preparazione dei documenti per quando si fanno viaggi al di fuori dell’Europa, scadenzare tutti i test. Non è un lavoro molto tecnico, rispetto al passato ora uso molto poco le mani….».
La parte più difficile?
«Formare un buon gruppo di lavoro, avere un gruppo preparato di meccanici che lavori in armonia, mantenere una buona atmosfera. Inoltre devi coltivare il rapporto con ogni singolo pilota, che ha una sua propria personalità. Il motocross infatti è uno sport singolo, è vero che si è in un team ma non va dimenticato che combattono uno contro l’altro e a volte non è facile mantenerli calmi quando concorrono per la prima o la seconda posizione e combattono per la vittoria. E’ ovvio, cerchi di trattarli allo stesso modo, ma a un certo punto hai un pilota favorito dalla classifica e da quel momento le cose si fanno più complicate».
Quindi bisogna essere anche psicologi…
«La psicologia va usata molto qui alle gare, e ogni tanto bisogna ripassarla bene per non fare errori…».
Quale è stato il pilota più difficile con cui hai avuto a che fare?
«Non è stato un pilota, ma il padre, quello di Mike Alessi. Tutte le volte si inventava una cosa sulla moto, aveva sempre un’opinione diversa rispetto a tutto il team e non è stato facile da gestire. Anche perché Mike non era cattivo né come ragazzo né come pilota, ma era fortemente condizionato da suo padre».
Quello più malleabile?
«Uno dei ragazzi più piacevoli con cui ho lavorato negli USA è stato Ryan Hughes, era alla fine della sua carriera ed è stato adorabile, mentre nei GP Jonass è molto semplice e accondiscendente, così come Prado anche se lui è appena arrivato in questo sport. Herlings migliora stagione dopo stagione, 5 anni fa era molto più difficile ed ancora oggi è più esigente degli altri ragazzi ma è rimasto coi piedi per terra e ci si lavora molto bene».
Com’è l’evoluzione tecnica ai GP?
«I giorni della gara non facciamo sviluppo, ma ci limitiamo a provare i pezzi messi a punto durante la settimana o nei test antecedenti».
L’anno prossimo Jeffrey Herlings correrà nella MXGP, come sarà la struttura che lo seguirà?
«Come quest’anno, di diverso c’è solo la moto, che sarà sotto la stessa tenda a fianco di quella di Jorge e Pauls».
Sicuramente sia la 450 che la MX2 saranno fantastiche
«Senza alcun dubbio, entrambe avranno qualcosa di diverso. Nella MXGP i campioni che ci sono già saranno stimolati dall’arrivo di Jeffrey e Max Anstie, mentre nella 250 ora che Jeffrey, Max e Ferrandis sono fuori diventa più paritaria e darà più grinta ai piloti rimasti».
Concordi nel dire che KTM è stata molto abile nello sfruttare la porta che le hanno lasciato aperto i giapponesi?
«Possibile, d'altra parte noi ce l’abbiamo messa sempre tutta facendo notevoli investimenti, ad iniziare dalla MX2 dove siamo riusciti ad avere la leadership dei 4 tempi dopo anni di tanti sacrifici e grazie anche ai bravi piloti che hanno seguito il nostro cammino. Poi ci siamo concentrati anche nella classe regina dove non eravamo mai riusciti a primeggiare, e anche li i nostri sforzi sono stati ripagati, accompagnati anche dalla fortuna visto che quando abbiamo preso Cairoli con noi non pensavamo potesse fare così tanto in poco tempo. Ai giapponesi non sarà certo piaciuto che abbiamo letteralmente dominato, visto i cinque titoli a fila, ma penso proprio che loro non ci abbiano regalato niente».
Come sono i rapporti con KTM America?
«Molto buoni, ci scambiamo tante informazioni ad iniziare dai report di gare, agli sviluppi che stanno portando avanti, ai risultati che si ottengono. E’ davvero una relazione molto buona e intensa, specie con Roger De Coster che grazie alla sua professionalità ed esperienza ha aperto un capitolo completamente nuovo da quando è stato inserito nell’organico, formiamo veramente un bel gruppo e quando andiamo a correre negli Stati Uniti ci fanno sentire come a casa, come fosse il tuo identico team. Una decina di anni fa invece era più difficile….».
Ci sono conflitti col brand Husqvarna?
«In pista a dire il vero sì. Ovvio, abbiamo gli stessi obiettivi, vogliamo sviluppare delle moto veramente buone e lavoriamo entrambi nella stessa direzione anche perché le moto condividono molte parti. Ma il venerdì comincia la competizione e ognuno di noi vuole battere l’altro così d’altronde come ogni altra squadra concorrente, ma poi a casa durante la settimana ci si scambiamo senza problemi tutte le informazioni con l’obbiettivo di crescere tutti».
Quale saranno i principali sviluppi delle moto per il 2017?
«I miglioramenti sono continui, facciamo test durante tutta la stagione senza interruzioni, a volte sono solo dei piccoli step ma che possono fare una grande differenza per il pilota. Affiniamo continuamente le sospensioni, abbiamo fatto qualche passo sul telaio, c’è sempre qualcosa anche se non ci sono più grandi passi in avanti come era una volta perché oggigiorno le moto sono tutte molto buone».
Invece la moto del 2020 come sarà?
«Probabilmente simile a questa, una moto per il fuoristrada ancora con due ruote… Scherzi a parte, ritengo che sarà drasticamente diversa da quella di adesso. Molti spingono per il propulsore elettrico, ma non credo che nel nostro sport arriverà così in fretta. Servirà un po’ più di tempo per migliorare la tecnologia delle batterie, attualmente sono ancora molto pesanti e poi la durata non è ancora lunga abbastanza se si vogliono mantenere moto potenti come quelle di adesso, per cui sarebbero più pesante di un terzo e a nessuno piacerebbe».
La soddisfazione più grande della tua carriera?
«Per me lo è tutti gli anni quando vinciamo il titolo iridato, però quello di quest’anno è stato particolarmente soddisfacente in quanto arrivato dopo due anni veramente difficili, in cui Jeffrey ha sofferto molto dolore, rotture, delusioni, ed è stato davvero molto bello vederlo gioire come prima di questo periodo».
Il tuo sogno?
«Un giorno non vedere più nessun aeroporto, viaggiare meno, che è la cosa che mi piace meno del mio lavoro. Mi basterebbe fermarmi ad un certo momento, e semplicemente stare seduto in spiaggia bevendo un cocktail e guardando il mare».