125Stradali: Tamanaco in Europa, sogno realizzato
La mia passione per le moto è nata, da quattordicenne, quando era in voga la Parigi-Dakar e in tivù si vedevano ogni tanto i mitici spot della Cagiva Lucky Explorer.
Ne era protagonista un fotomodello macho di 2 metri e almeno 90 chili, con lo sguardo truce e la pelle cotta dal sole, alla guida della mitica Elefant attraverso il deserto rosso americano, e quando si fermava a fare benzina spuntava una benzinaia tutta curve in hot pants che lo guardava estasiata… Beh, quello è stato il mio “imprinting” motociclistico e dopo tanti anni da quegli spot indimenticabili (erano i tempi in cui la Cagiva rivaleggiava con Honda e Yamaha nella Parigi-Dakar), il marchio “Lucky Explorer” esercita ancora un enorme fascino su di me.
E anche se viviamo in un periodo in cui ormai la “Dakar”, e più in generale l’avventura in moto, hanno certamente un appeal minore che in passato, sento tuttora impellente il bisogno di avventura e il desiderio di scoprire posti nuovi in moto, per realizzare il sogno che rappresentavano quei leggendari spot degli anni ’80.
Per questo motivo, dopo vent’anni di inattività motociclistica, appena oltrepassata la fatidica soglia dei 40, ho deciso di dedicare parte del mio tempo libero alle “avventure in moto” con la due ruote che ho desiderato (senza averla) a 16 anni: una Cagiva Tamanaco Lucky Explorer.
Procuratamene una in ottime condizioni, e ringiovanito di vent’anni appena salitoci su per la prima volta, ho capito che non c’era più tempo da perdere. Era giunta l’ora di realizzare finalmente il mio sogno adolescenziale: un viaggio attraverso l’Europa con la mia 125 preferita! Armatomi di atlante, cartine e Google Maps , ho studiato un itinerario adatto a una 125 (che riducesse quindi al minimo indispensabile i tratti autostradali, peraltro noiosi e forse anche pericolosi per una moto così piccola) e alle mie esigenze (abitando in Sicilia, era da escludere la risalita dell’intera Penisola, che anche il grande Annibale preferì evitare), combinando un tratto in nave (da Palermo a Genova), una serie di tappe attraverso alcuni dei luoghi più belli e interessanti dell’Europa occidentale (la Costa Azzurra, la Provenza, le Alpi, la Foresta Nera, le Ardenne, le Fiandre) e una meta finale, simbolica e “motivante”, da raggiungere con un ultimo sbarco.Procuratimi i ricambi essenziali per la moto e rimessomi in forma durante l’inverno in modo da esser pronto ad affrontare adeguatamente un’impresa del genere, giunto il momento delle tanto sudate ferie è scattata finalmente l’Operazione Tamanaco Selvaggio.
“Mi sento come se camminassi a fianco del destino, e come se tutta la mia vita sia stata soltanto una preparazione per questo momento e per quest’impresa”.
La citazione è indubbiamente un po’ esagerata (Churchill pronunciò quelle parole nel giorno in cui prese le redini dell’Impero Britannico nell’ora più drammatica della sua storia), ma, nel mio piccolo, attraversare mezza Europa in due settimane con una moto di soli 125 c.c., per giunta due tempi (quindi col rischio di grippare ad ogni piè sospinto), di quarta mano e con 27 anni sul groppone, senza avere un’idea precisa di dove andare a dormire o di cosa fare in caso (molto probabile, a detta del mio stesso meccanico) di panne, mi sembrava un’impresa paragonabile a quella che si accingeva ad affrontare il grande statista britannico durante la seconda guerra mondiale. In generale, seguendo la mia passione per la storia militare (anche nella scelta di alcune delle località da visitare), ho concepito quest’avventura un po’ come un’operazione bellica, mettendomi in marcia ogni giorno alle prime luci dell’alba e tenendo ritmi da “guerra lampo” in modo da vedere quanti più posti (e scattare quante più foto) possibile, per cui la meta finale del viaggio – l’Inghilterra – ho voluto raggiungerla con un “mezzo da sbarco”, godendomi la vista delle sue bianche scogliere, come non era riuscito all’Invencible Armada ed a (quel criminale di) Hitler.Beninteso, è stato solo un giretto in moto, e, tanto per usare un’altra citazione, non è certamente consentito paragonare le cose grandi alle cose piccole, però mi sono divertito un sacco, ho visto nel giro di pochi giorni una ventina di posti che desideravo vedere da molti anni (cosa che con un viaggio in auto o in aereo non sarei mai riuscito a fare), e ho riportato a casa – sostanzialmente indenni – la pelle e la moto preferita.
Per quanto si possa riassumere in poche righe un’esperienza “on the road” durata due settimane e vissuta intensamente, ogni giorno, dalle prime luci dell’alba fino alla frenetica ricerca, giunto il tramonto, di un alloggio per me e per la mia fedele “Veterana”, posso dire di essermi goduto alcuni dei posti più belli e interessanti del nostro Continente, seguendo un itinerario concepito appositamente per minimizzare i trasferimenti tra le varie attrattive del viaggio, tutte concentrate lungo l’asse Genova-Londra.
Ho iniziato visitando la costa ligure, che, come ho appreso dall’amico Andrea che è venuto ad incontrarmi per un fugace saluto, costituisce una location frequentemente utilizzata negli spot di automobili per la bellezza delle strade, specie nella zona attorno a Savona. Ho poi proseguito il cammino lungo la Costa Azzurra, dopo aver incontrato brevemente l’amico Luca sulle alture che sovrastano il Principato di Monaco. Nizza, Cannes, Antibes, Saint Tropez sono belle proprio come le ho immaginate, e ho persino trovato, a Cap d’Antibes, una spiaggia chiamata proprio come la mia moto.
Il tratto da La Ciotat a Cassis della strada dipartimentale D141 mette davvero i brividi perché si snoda in cima ad alte scogliere a strapiombo sul mare, con panorami da mozzare il fiato: provare per credere!
Immediatamente sopra la Costa Azzurra/Costa Blu c’è la stupenda Provenza, che conoscevo già in parte per averci trascorso un anno accademico una decina d’anni or sono. Graziato dal bel tempo, ho girato in lungo e in largo la regione del Luberon (ad Ovest del fiume Durance), con i suoi caratteristici “villages perchés” (abbarbicati su colline e montagne), tra cui almeno un paio classificati come patrimonio dell’umanità dall’Unesco (credo si tratti di Bonnieux e di Les Baux de Provence, ma a me è piaciuta moltissimo anche Gordes). Ad Est del fiume Durance si trova invece uno dei paradisi naturali più belli della Francia: le Gole del fiume Verdon. Da visitare assolutamente se si ama andare in bici o in moto in mezzo alla natura! Lì ho scattato decine di foto, perché il panorama è davvero stupendo e molto vario e comprende villaggi pittoreschi e imperdibili come Moustiers-Sainte-Marie.
Finito il giro dell’Alta Provenza con una sosta a Digne-Les-Bains, mi sono diretto verso la Savoia e l’Alta Savoia, con l’intenzione di scalare i passi alpini resi celebri dal Tour de France, tra cui il mitico Col du Galibier e il più alto in assoluto: il Col de l’Iseran (2.770 metri s.l.m.). Condotto un po’ garibaldinamente, e con un certo sprezzo del pericolo (gli stretti tornanti a quelle altezze non hanno ovviamente parapetti e sono spesso avvolti da una fitta nebbia), il Tamanaco è riuscito a guadagnarsi l’ammirazione dei centauri tedeschi, invariabilmente armati di GS 1200 o di “bestioni” consimili, che sono rimasti letteralmente (non esagero) a bocca aperta nell’apprendere, arrivati a destinazione, che la moto che aveva fatto la salita con loro ha un decimo dei loro centimetri cubi.
Completata l’esplorazione della Savoia e dell’Alta Savoia con una breve giro del delizioso lago di Annecy (a proposito di delizioso, chi ama i formaggi francesi troverà lì un paradiso: ci sono paesini che profumano di reblochon, un formaggio squisitissimo, inebriando letteralmente i visitatori… passando per Lanslebourg non ho potuto resistere a quel profumo invitante e mi son fermato per gustare un indimenticabile pranzetto a base di patate e reblochon), mi sono diretto verso Ginevra per andare a salutare una mia carissima ex compagna di liceo. Ginevra non l’ho trovata irresistibilmente bella, ma è ordinata e a misura d’uomo. Ho costeggiato il lago omonimo fino a Vevey (sede della Nestlé) per poi incamminarmi lungo la statale per Berna e Basilea, attraverso una sfilza interminabile di ridenti paesini ciascuno dei quali dotato di fontane dall’acqua purissima (che ad esempio mancano quasi dappertutto in Francia). Autostrada vietata, non solo dal buon senso (si vedono solo TIR e auto, e non c’è nulla di più noioso di un nastro d’asfalto) ma anche dal costo della “vignette” che dev’essere obbligatoriamente acquistata ed esposta sul mezzo se si vuole proprio evitare la statale. Molto meglio quest’ultima, facendo comunque attenzione ai radar (lì gli autovelox li chiamano così) e alla severissima polizia elvetica.
Tra Basilea e Friburgo si trova la Foresta Nera, che va assolutamente visitata da ogni mototurista che si rispetti. Bellissime strade (tenute benissimo) in mezzo ai boschi, un’assenza di auto piacevole e per certi versi sorprendente (se si considera che ci si trova pur sempre in Germania), un sacco di pittoreschi Gasthaus lungo il cammino, ma anche un bel lago e tanta, tanta quiete. Unico neo (ma dipende dai punti di vista): il rischio di perdersi se non si dispone di mappe accuratissime. Non c’è anima viva per chilometri e chilometri, e le strade sono talvolta veri e propri dedali. Vi ho trascorso una giornata intera, anche a causa delle condizioni meteo avverse che mi hanno rallentato parecchio. Ho dormito a Bad Krozingen, dove ho gustato una delle colazioni migliori della mia vita, a base di salumi, formaggi e pane tipici del luogo. Da mille e una notte!
Dopo aver visitato en passant Friburgo ho voluto attraversare il Reno per giungere a Strasburgo passando dall’Alsazia e non da Kehl (ossia dalla Germania), così ho potuto vedere Colmar, e ne è valsa la pena.
A Strasburgo sono arrivato di domenica, e la presenza di una miriade di turisti ha reso molto più difficoltoso il mio accesso in moto nella zona della magnifica Cattedrale (è off-limits per i veicoli a motore, ma avevo intenzione comunque di violare il divieto per scattare alcune foto da incorniciare, come poi sono riuscito a fare comunque) e nel quartiere della Petite France (dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità, mi par di ricordare, con le sue caratteristiche case in legno e pietra).
Ho poi visitato brevemente il Lussemburgo, andando a trovare un carissimo amico che lavora lì.
La tappa successiva mi ha portato in “zona di guerra” (fortunatamente una guerra combattuta nel secolo scorso), ossia nelle Ardenne, vero paradiso per gli appassionati di storia militare come il sottoscritto. Vi si è combattuta infatti l’omonima battaglia nel dicembre del 1944, a seguito di una violentissima controffensiva a sorpresa scatenata dai tedeschi con le loro ultime riserve di carri armati, bestioni dalla potenza impressionante ma con i serbatoi quasi vuoti a causa della penuria di carburante ormai irrimediabile, per la Wehrmacht, negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale. Di conseguenza, i carristi partirono all’assalto delle postazioni americane muniti di tubi di gomma, allo scopo di svuotare i depositi e/o i carri nemici di carburante per travasarlo nei loro assetati veicoli. L’operazione fallì, grazie al Cielo, e pertanto molti di quei carri armati furono abbandonati dai loro comandanti perché rimasti senza benzina nei boschi o nei villaggi delle Ardenne, e giacciono ancora oggi, a disposizione di appassionati o semplici curiosi, esattamente nei luoghi in cui furono abbandonati 70 anni fa. Il sottoscritto ha quindi girato in lungo e in largo per le Ardenne (tra Bastogne, Houffalize, La Roche en Ardenne, Malmedy, St. Vith, Stoumont e La Gleize), scattando bellissime foto che ritraggono la sua fedelissima Veterana accanto a un paio di paciosi Sherman americani, che recano ancora i fori dei proiettili sparati dai più potenti (ma fortunatamente meno numerosi) carri tedeschi, nonché a un paio di Panther e a un terrificante Koenigstiger tedeschi. Le Ardenne ospitano anche il famoso circuito di Spa-Francorchamps, che è proprio immerso nella foresta nella strada tra Malmedy e Liegi.
Ero indeciso se fermarmi nella “Cité Ardente” per la notte o se osare un po’ e concedermi, dopo tante “battaglie”, un meritato riposo del guerriero nella castissima Amsterdam. Ho alla fine optato per questa seconda soluzione, e mi sono lanciato in una corsa spericolata per giungervi prima che facesse (troppo) buio. Per questo, ho dovuto purtroppo rinunciare alla visita prevista della cittadina di Arnhem, anch’essa molto significativa per un appassionato di storia militare come me (ve ne risparmio il motivo).
Sul mio soggiorno nella capitale olandese preferisco sorvolare per carità di patria, ma se dico che me ne sono capitate di tutti i colori non mi allontano troppo dal vero. “Riposatomi” adeguatamente tra i canali di Amsterdam, ho iniziato la discesa lungo la costa olandese, per godermi la vista dei polders e del Mare del Nord, fino alle Fiandre. D’obbligo naturalmente la visita di Bruges, con le sue casette sui canali e la sua splendida piazza. Anche qui, ovviamente, foto a gogo…
Altra sosta “storico-militare” nella cittadina francese di Dunkerque, tra Ostenda e Calais. È dalle sue spiagge (precisamente da Zuydcoote e Leffrinkoucke) che l’esercito britannico riuscì ad imbarcarsi a rotta di collo nel giugno del 1940 sfuggendo così in extremis all’annientamento da parte dell’esercito tedesco. La spiaggia, le dune e i bunker sono ovviamente off-limits per i mezzi a motore, e ci sono appositi sorveglianti devo dire abbastanza zelanti. Il loro zelo, encomiabile, è però servito a ben poco, come dimostrano le foto che sono riuscito a scattare ciononostante…
Tirata fuori la Veterana dalle dune (del resto, da brava Lucky Explorer, è stata progettata appositamente per andarci, o no?), giungeva finalmente l’ora dello sbarco nella “Perfida Albione”, come la chiamava qualcuno… Già, perché ho voluto concedere alla Veterana il privilegio di riuscire là dove avevano fallito l’Invencible Armada e quel criminale coi baffetti che strillava come un matto e mangiucchiava i tappeti, giungendo sul suolo inglese via mare. Anche perché così ho potuto finalmente ammirare le tanto decantate bianche scogliere di Dover.
Dopo una breve visita a Canterbury, ho raggiunto Londra dove abita e lavora un mio carissimo amico. È la quarta volta che vado a trovarlo lì, e ogni volta ci proponiamo di andare a visitare assieme il museo della guerra più grande e importante del mondo (l’Imperial War Museum). In quest’occasione ribadiamo entrambi l’intenzione fermissima di andarci costi quel che costi, e ci diciamo disposti rispettivamente a prendere un giorno di ferie e a rinunciare a un giro in moto nella campagna inglese. Ma entrambi sappiamo bene, in fondo, che neanche questa sarà la volta buona… per cui avrò la scusa per andarlo a trovare per la quinta volta. Abituatomi senza troppa fatica alla guida a sinistra (il che significa che, esattamente come facevo sulle strade del Continente, metto le ruote dove ritengo sia più sicuro in base alle circostanze – ossia talvolta a destra e talvolta a sinistra – cercando in qualche modo di evitare di sbattere contro gli altri veicoli), realizzo che non c’è tempo per visitare, come avrei voluto, la Cornovaglia e il Norfolk e ripiego per una gita nei Cotswolds, la regione dei cottage color miele compresa tra Oxford e Cheltenham. L’Inghilterra ha purtroppo una caratteristica che la differenzia enormemente dalla Francia, oltre alla guida a sinistra. Quando in una città il centro storico è area pedonale (come accade spesso anche in Francia, nelle città d’arte), significa che è davvero area pedonale. Senza possibilità di sgarrare, e ciò grazie alla diffusione capillare di telecamere, che non perdonano un [censored] a una mosca. Ce ne sono letteralmente ad ogni incrocio, a prescindere dal fatto che vi sia un semaforo o meno. Risultato: Oxford è bellissima, ma assieme alla mia Veterana ho potuto farvi soltanto la (deprimentissima) foto del cartello stradale di benvenuto in città.Meglio dirigersi verso la campagna, che però mi ha deluso un po’, forse perché per superficialità non mi sono preoccupato di informarmi su dove andare esattamente, limitandomi a girovagare nella speranza di trovare qualche bel posto da vedere. La verità è che avevo studiato il percorso nei minimi dettagli solo per quanto riguarda Francia, Belgio e Germania, ma non mi ero (pre)occupato molto dell’Inghilterra, per la semplice ragione che in fondo ero convinto che non sarei mai e poi mai riuscito ad arrivarci.
Morale della favola, ho visto davvero poco dell’Inghilterra nei tre giorni che vi ho trascorso, il che significa che dovrò tornarci, stavolta armato di cartine e di almeno una settimana.
Le ferie stanno infatti per finire, ed è tempo di ritornare sul Continente, prendendo ora (tanto per cambiare) l’Eurotunnel. Il ritorno avviene di proposito per strade diverse da quelle percorse all’andata, in modo da vedere quante più cose possibile. In breve, sono andato a visitare Reims, semideserta nel week-end, e la cui magnifica cattedrale era purtroppo in fase di restauro nella sua parte frontale, per cui le foto più belle che ho scattato ritraggono uno dei suoi lati.
La discesa è proseguita l’indomani nella regione Champagne-Ardenne e poi attraverso Langres, Besançon e Losanna, rientrando in Italia attraverso il passo del Gran San Bernardo (che offre panorami talmente spettacolari da distrarre pericolosamente i guidatori, tanto che a un certo punto noto un enorme cartello sul bordo della strada che raffigura due occhi e il monito “Gardez les yeux sur la route!” a caratteri cubitali).
Pernotto ad Aosta e l’indomani, dopo la foto di rito davanti all’Arco di Augusto, seguo il consiglio dell’albergatrice, aostana doc, e mi incammino verso Cogne, La Thuile, Pré-Saint-Didier e il Parco del Gran Paradiso, entrando poi ancora una volta in Francia attraverso il Piccolo San Bernardo.
Affascinato dal paesaggio, mi lascio prendere un po’ troppo la mano e ridiscendo le Alpi dal lato francese intenzionato a raggiungere nuovamente la Costa Azzurra, fino a quando mi rendo conto che non c’è più tempo (devo prendere la nave in serata a Genova) e mi decido a rientrare in fretta in Italia per le vie brevi, ossia attraverso il Tunnel del Frejus. Quest’ultimo, lunghissimo, mi costa la bellezza di 28,80 euro, ma sono davvero in ritardo e rischio di perdere la nave, per cui non ho altra scelta. Lì dentro fa un caldo enorme, e la carburazione della moto ne risente abbastanza. In più, è impossibile superare, e mi ritrovo a fare l’intero percorso sotterraneo, con la temperatura del motore e del sottoscritto alle stelle (ho ancora la tuta antipioggia che avevo indossato in mattinata), dietro a un enorme TIR del quale non c’è stato modo di sbarazzarsi neanche volendo fare i furbi. Esasperato dal caldo, una volta uscito dal Tunnel mi libero finalmente del TIR e do briglia sciolte alla Veterana per farla raffreddare un po’ ad alta velocità, quando all’improvviso… un colpo secco e il motore si spegne. Penso subito al peggio (il grippaggio è sempre in agguato con una moto due tempi dalle notevoli prestazioni, e sono partito con la carburazione giusta giusta…), ma, una volta scampato il pericolo (mi trovo in autostrada – peraltro vietata alle 125 – e fermarsi all’improvviso in corsia di sorpasso non è un esercizio molto salutare…), realizzo che si è “semplicemente” spezzata la catena di trasmissione. L’unica cosa da fare è chiamare e aspettare il carro attrezzi, con la consapevolezza che la nave non sarei più riuscito a prenderla, quella sera.
Mi soccorre un’officina di Oulx (in Val di Susa), la quale però, essendo un’officina per auto, non è in grado di risolvere immediatamente il problema. Serve una catena nuova, e quella posso comprarla solo l’indomani (i negozi erano ormai chiusi). Pazienza. Del resto, in un viaggio del genere (6.800 chilometri percorsi a passo da raid con una moto di quarta mano, prodotta quando erano ancora in auge i Duran Duran) un piccolo inconveniente ci può anche stare. Peraltro, personalmente ho la coscienza a posto, perché la catena, soggetta inevitabilmente ad allungamento a causa del chilometraggio e degli stress particolarmente notevoli di un viaggio del genere, l’avevo fatta prudentemente controllare e “tirare” a Londra da un meccanico, il quale s’era però dimenticato di serrare bene i registri sul forcellone, per cui dopo neanche 2.000 chilometri era nuovamente a terra!
Risolto il problema tecnico in tarda mattinata (alla catena che avevo acquistato inizialmente mancava la falsa maglia – quando si dice la sfortuna – e una volta accortomene aprendo il pacco in officina son dovuto ritornare in negozio a Susa, in treno, per farmela cambiare…) e riprenotata la nave per la sera, attraverso (eccezionalmente) a ritmo di crociera la Val di Susa (la scritta e gli adesivi NO TAV si trovano letteralmente a ogni piè sospinto) e mi rendo conto che rischio ancora una volta di perdere la nave (c’è ancora un bel tratto di strada da fare e, per i passeggeri con veicoli, il check-in è previsto due ore prima della partenza effettiva). Per non correre rischi inutili, decido di fare uno strappo alla regola infilandomi in autostrada, tanto è improbabile che la Stradale mi fermi, visto che la mia mastodontica moto, specie caricata di bagagli com’è adesso, ha tutto fuorché l’aspetto di una piccola 125.
Mentre mi dirigo verso Genova per prendere la nave che mi avrebbe finalmente riportato in Sicilia (non dovrei dirlo, ma dopo due settimane di “campagna motociclistica in giro per l’Europa” inizio a sentire la stanchezza e la nostalgia di casa), percorrendo l’autostrada A26, vengo sorpassato da una volante della Stradale. Gli occupanti si piazzano davanti alla mia moto per un bel po’ a bassa andatura, evidentemente studiando il da farsi. Finalmente, come inizio a paventare, spunta la paletta e quindi accosto per andare incontro all’inevitabile multa per l’uso della rete autostradale, tuttora (e forse per poco tempo ancora) vietato alle moto con motore di 125 c.c. Uno degli occupanti della pattuglia scende, mi spiega che sono in contravvenzione e a quel punto voglio togliermi la curiosità e gli chiedo come abbia fatto a capire che la mia moto – che viene spesso scambiata per una moto di grossa cilindrata – è di soli 125 c.c. Il verbalizzante, persona molto gentile e spiritosa, mi risponde con un sorrisino: “ne aveva una uguale un mio compagno di scuola”. È quindi andato “a colpo sicuro”, come suol dirsi, e il ritardo nell’estrarre la paletta, come poi mi ha spiegato, era solo dovuto alla preoccupazione di raggiungere prima un’area di sosta dove sarebbe stato più sicuro per entrambi fermarsi e stendere il verbale. Pur riconoscendo che l’agente ha fatto il suo sacrosanto dovere anche nel mio interesse, mi sono però voluto “vendicare” simpaticamente subito dopo, quando ha voluto spiegarmi la ragione del divieto dicendomi che le 125 sono moto “piccole” a cui manca la potenza necessaria per completare un sorpasso difficile o per far fronte a possibili situazioni di pericolo. Mentre mi spiegava ciò, ho estratto dalla tasca la macchina fotografica e gli ho chiesto di guardare sul display le foto che avevo scattato solo pochi giorni prima con la mia “piccola” moto sulle rive del Tamigi, a 2.800 metri di quota sulle Alpi, ad Amsterdam, in Svizzera, in Francia, Belgio, ecc. La contravvenzione mi è costata 28 euro e 2 punti in meno sulla patente, ma vedere la faccia dell’agente mentre guardava le foto della mia “piccola” 125 in giro per l’Europa mi ha regalato una soddisfazione indimenticabile!
125 lampeggi a tutti!!!
In collaborazione con 125stradali.com
io a 16 avevo il Gilera Arizona , la ricordo pesante e fiacca.Se avessi avuto l'RSV4 che ho adesso sarei stato molto piu' contento.
Sono ignorante in materia, ho sempre pensato che girare, già solo in italia, dove un pò ognuno fa come gli va, con un 2 tempi sia a rischio di farsi bloccare per strada, figuriamoci andare fuori dall'italia... forse non si è passati dalla Svizzera per quel motivo? ;-)
Lo chiedo solo per curiosità, sono tentato dal comprarmi un 125 due tempi stradale ma ha frenato sempre il fatto di immaginare di non poter circolare da nessuna parte ormai... ma quanto margine reale c'è?