EICMA 1997: Aprilia ed MV lanciano la sfida!
Ben 700.000 appassionati visitarono la 55esima edizione di EICMA, che nel 1997 occupava ancora gli storici padiglioni della Fiera di Milano, adiacenti alle più recenti strutture espositive di Fiera Milano City, al Portello. 700.000 persone che brulicavano freneticamente in lungo e in largo, per ammirare le meraviglie esposte in quei locali dove per la prima volta filtrava la luce del sole settembrino. Si, perché gli organizzatori di EICMA avevano vinto il braccio di ferro con la concomitante Fiera tedesca, che in quegli anni si teneva a Monaco di Baviera, accordandosi per tornare alla logica alternanza annuale (Monaco negli anni pari, Milano nei dispari) anziché continuare con un’assurda concomitanza che non faceva che gravare economicamente sui numerosi espositori.
La 55a EICMA - peraltro contemporanea alla nascita di Moto.it - preludeva ad un’annata particolarmente felice per il nostro magico mondo con due ruote e un motore. Il 1998, infatti, segnò un notevolissimo incremento globale delle vendite, tornate al livello del lontano 1982: infatti furono immatricolati 235.003 veicoli (236.453, nell’82), sebbene suddivisi in 89.093 moto e ben 151.910 scooter, contro le 133.354 moto e i 103.099 scooter di 16 anni prima. Il grafico che potete trovare nella gallery evidenzia chiaramente l’andamento del mercato motociclistico dall’82 al 1998: un arco rovesciato che mostra come le moto avessero toccato il fondo nel 1996 (50.336 immatricolazioni), mentre per gli scooter il minimo venne registrato nel 1990: solo 10.890 pezzi!
Il nostro grafico vuol essere una sorta di augurio per l’attuale situazione economica: nel 2013, infatti, sono stati immatricolati 153.863 veicoli (52.724 moto e 101.109 scooter: 33.500 in più rispetto al 1997!). Pur rendendoci logicamente conto dell’estrema gravità dell’attuale crisi mondiale, ci piace quindi sperare di trovarci come un po’ come nel 1994, anno che segnò l’inizio della ripresa. Sperando ovviamente che ciò avvenga un po’ più rapidamente di allora. Intanto, ci sembra già di buon auspicio lo speranzoso +10,2% di incremento medio globale (15,2% per le moto, 6,5% per gli scooter) nell'immatricolato di febbraio di quest'anno.
C’era gran fermento, insomma, in quel settembre del 1997, perché le novità esposte erano tantissime. E due delle più eclatanti erano sofisticatissime supersportive italiane: l’ardita Aprilia RSV Mille (proprio in lettere, non in cifre), potente bicilindrica con motore V2 costruito da Rotax, e la stupenda MV Agusta F4 750 Serie Oro, magnifica creatura del geniale Massimo Tamburini, che Claudio Castiglioni oculatamente aveva scelto di far diventare la moto della rinascita di MV Agusta, anziché una nuova supersportiva Ducati, marchio ceduto proprio l’anno prima. Queste, e non solo secondo noi, erano le vere regine di quell’edizione di EICMA, alle quali però affianchiamo senza alcun dubbio anche una reginetta giapponese: la prima, formidabile Yamaha YZF-R1 1000. Ma, come già detto, di “ciccia” quell’anno ce n’era anche tanta altra. Vediamo quindi le principali novità, in ordine alfabetico.
Aprilia
Gran bel pezzo, la RSV Mille! La prima maximoto della Casa di Noale, allora ancora appartenente a Ivano Beggio, era corposa ma snella, molto curata, con un telaio e un forcellone davvero belli e ottimamente rifiniti, e con sotto un motore V2 stretto a 60° da 997,6 cc, con distribuzione bialbero a 8 valvole, doppio contralbero di bilanciamento, e frizione con antisaltellamento di tipo pneumatico PPC (Pneumatic Power Clutch). L’Alimentazione a iniezione contava su due corpi farfallati da 51 mm con singolo iniettore, e la potenza dichiarata era di 128 cv a 9.250 giri, con coppia massima di 10,5 kgm a soli 7.000 giri e una velocità massima dichiarata di oltre 270 km/h. Quest’ultimo dato risultò poi pessimistico, tant'è che quando io stesso mi occupai dei rilevamenti strumentali della RSV spuntai ben 281 km/h....Pur con il netto sospetto che la moto in prova non fosse propriamente standard, cosa peraltro abbastanza comune (più che altro per le moto italiane, ma non solo...) in quegli anni in cui le prestazioni massime erano la prima cosa che un lettore sfegatato andava a cercare....
La RSV 1000, il cui prezzo fu stabilito in circa 23 milioni di lire (11.900 euro, più o meno) venne presentata alla stampa la primavera successiva sul magnifico circuito spagnolo di Montmelò: una presentazione assolutamente professionale, con una moto ed un meccanico a disposizione di ciascun tester, per i necessari aggiustamenti durante una lunga giornata in pista. Con somma gioia di tutti, naturalmente!
Bimota
Undici anni dopo aver centrato il titolo F1 con Virginio Ferrari e la YB4 con motore Yamaha FZ750 a 20 valvole, la factory riminese scelse Suzuki come partner per realizzare la moto deputata a tentare l’assalto al titolo mondiale Superbike. A Milano venne dunque presentata la corposa SB8R, spinta dal motore V2 da 998 cc della Suzuki TL1000R opportunamente modificato nella parte termica e nel gruppo iniezione. Il tutto per ottenere 145 cv circa. Il suo massiccio telaio bitrave - derivato da quello della SB6R a 4 cilindri, ma in questo caso composito alluminio+carbonio - vantava un’interasse da media cilindrata - solo 1.395 mm – pur mantenendo un forcellone piuttosto lungo. Questa special realizzata in piccola serie era quotata oltre 39 milioni di lire, circa 20.000 euro. La SB8R in effetti partecipò sporadicamente al mondiale delle derivate di serie, e fu nel 2000 che a Phillip Island vinse addirittura la prima manche sul bagnato, per merito del gran manico del fortissimo quanto incostante australiano Anthony Gobert. In suo onore, ovviamente, Bimota realizzò poi la bella versione Gobert Replica.
Al Salone milanese del ‘97 Bimota presentò anche una versione parzialmente ristilizzata dell’estrosissima naked DB3 Mantra motorizzata Ducati Monster 900, modificata più che altro nel musetto, a doppio faro incastonato in logo del prominente faro quadro del modello originario, disegnato nel ’95 dal francese Sacha Lakic.
BMW
Dopo aver mostrato al Salone automobilistico di Francoforte il prototipo del particolarissimo scooter cabinato C1, ecco che a Milano a tener banco nello stand bavarese fu l’ambiziosa e interessante R1200C, la prima custom della storia BMW, che però era già stata presentata a in Germania due mesi prima. Moto ovviamente tutt’altro che convenzionale, la nuova boxer tedesca rappresentava una ventata di novità pur in un mondo – quello delle custom, appunto – dove l’estro e l’inventiva la fanno da padroni, e dove secondo noi faceva davvero la sua gran figura, anche perché manteneva i canoni ciclistici lanciati nel ’93 con la R1100RS, cioè la sospensione anteriore Telelever e la posteriore monobraccio Paralever. Prezzo: appena oltre i 26 milioni di lire (13.500 euro).
Buell
Erano piuttosto apprezzate dagli amanti delle moto particolari, le creature dell’estroso ingegner Erik Buell, che a Milano propose una magnifica versione tutta bianca della sua S1: la White Lightning, appunto, dotata di nuove testate ad alta tubolenza denominate “ Thunderstorm High Flow”, che portavano la potenza del V2 Harley small block a 91 cv, con una coppia di ben 12 kgm a circa 5.500 giri.
Cagiva
Da Schiranna invece arrivò l'inedita Canyon 900, gemella maggiorata dell’omonima monocilindrica da 500 cc (poi diventati 600), ma dotata dell’arcinoto motore Ducati Desmo bicilindrico ad L da 904 cc (quello della Monster 900, insomma), da 70 cv a 7.500 giri, per un peso a secco dichiarato in 218 kg. Bella e molto divertente, la nuova Cagivona vantava un ottimo telaio composito in acciaio con motore sospeso e forcellone in alluminio con sospensione progressiva, ed entrò in listino col nome Gran Canyon, al prezzo di quasi 17 milioni di lire (circa 8.800 euro). La Gran Canyon, della quale nel ’98 furono vendute 185 unità, venne prodotta fino al 2000, dopodiché, cessando la fornitura dei motori da parte di Ducati – venduta l’anno prima dai Castiglioni al Texas pacific Group – l’interessante Cagiva bicilindrica cambiò il nome in “Navigator”, e acquisì l’ottimo bicilindrico Suzuki mutuato dalla TL1000S.
Molto interessante per i ragazzini la nuova Planet 125 (più avanti rinominata Raptor, come le grosse naked omonime): messa in opera dopo una lunga gestazione iniziata un paio d’anni prima, la piccola naked ispirata alla cuginona Monster (e quindi opera di Miguel Galluzzi) sfoggiava praticamente il telaio della Mito, con tanto di forcella a steli rovesciati, per un prezzo di poco inferiore agli 8 milioni (circa 4.000 euro).
Ducati
Oltre alle versioni rinnovate delle Monster da 620, 750 e 900 cc, da Borgo Panigale era arrivata a Milano una 900SS Final Edition, versione limitata di un modello in fase di pensionamento. Tutta argentea e rigorosamente monoposto, la SS F.E. sfoggiava ruote nere, svariate parti in fibra di carbonio, dischi freno anteriori flottanti e scarichi rialzati.
Ma la sorpresa vera fu la nuova, controversa 900SS, disegnata dal quel Pierre Terblanche che peraltro aveva convinto con la bellissima Supermono 550. Gli arditi canoni stilistici con i quali lo spilungone designer sudafricano definì la nuova SS, fecero invece storcere il naso agli ultras ducatisti più legati alla tradizione, almeno quanto l’introduzione dell’iniezione sul suo bicilindrico Desmo raffreddato ad aria. Comunque sia, il Desmodue a iniezione, montato in un telaio a traliccio identico al precedente ma modificato nella geometria di sterzo, erogava 80 cv a 7.500 giri, con una coppia di 8,1 kgm a quota 7.000.
La nuova 900 SS andò in listino a 19,5 milioni di lire (10.070 euro), affiancata dalla versione semicarenata, che costava 500.000 lire in meno (e più avanti anche dalle omologhe versioni da 750 cc).
Gilera
La novità del Gruppo Piaggio marcata Gilera per la stagione 1998 era uno scooter, ma di quelli birichni, realizzato in due versioni con motori a due tempi raffreddati a liquido, da 125 e 180 cc: si trattava del Runner, nato come “cinquantino” e decisamente appetibile per i ragazzini, ma ora anche per i giovanotti più infoiati. Se il Runner 125 sviluppava i canonici 15 cv, il 180 (175,8 cc effettivi) ne sfoderava invece 21 a 8.500 giri, superava i 120 km/h e costava circa 5,8 milioni di lire (3.000 euro). Uno scooter aggressivo, il nuovo Runner 180, per il quale venne istituito un pepatissimo Trofeo Monomarca, e che nel 1998 partecipò addirittura alla mitica Pikes Peak International Hill Climb, in Colorado, iscritto nella classe fino a 250 cc: l'ardita operazione nacque da un'idea del compianto Maurizio Virtuani, ex collega allora collaboratore del mensile Tuttomoto, che ne fu protagonista assieme a Cristian Mattei e al pilota/giornalista americano Jimmy Lewis, collaboratore del magazine americano Cycle World.
Quella fu la prima volta che degli scooter calcavano la celebre pista mista (asfalto+sterrato, oggi però totalmente asfaltata) che sale al Pikes Peak per 20 km con 156 curve e tornanti, per un dislivello di 1.439 metri, e con una pendenza media del 7% e massima del 10,5%. E gli scooter Gilera arrivarono tranquillamente in cima senza sfigurare. Da notare che il Runner è tutt’oggi in listino, nelle cilindrate 50 a 2 tempi e 125 a 4 tempi; ma anche che è (tristemente) rimasto l’unico modello a due ruote rimasto nel listino Gilera, affiancato solo dal “tre ruote” Fuoco 500.
Honda
In attesa della nuova VFR 800, che sarebbe stata presentata al successivo Salone di Parigi, Honda portò a Milano l’edizione leggermente rivisitata della Fireblade 900, con motore da 919 cc, alleggerita a 180 kg a secco e lievemente potenziata per raggiungere i 130 cv a 10.500 giri, con coppia massima a 9,4 kgm/8.750 giri.
La vera novità milanese fu però l’inedita Deauville 650, versione GT da 220 kg a secco della naked NTV 650 Revere, quindi dotata di telaio a doppio trave in alluminio con sospensione posteriore monobraccio, e con l’ormai celebre motore V2 a 52° con testate a 3 valvole, accreditato di 56 cv a 8.000 giri e 5,7 kgm di coppia a 6.000. La Deauville era una moto molto interessante per chi ambisse ad una vera tourer senza doversi svenare: era molto confortevole, quel motore era notoriamente un mulo, la trasmissione ad albero una garanzia in fatto di affidabilità, e la moto, quasi completamente carenata, era dotata di borse incorporate non gigantesche.
Ma volendo c’era anche un voluminoso top case dedicato, e una versione più capiente delle stesse moto valigie. La Deauville costava circa 14,6 milioni (7.540 euro), e nel 2005 venne ridisegnata e divenne “700”, acquisendo il nuovo motore maggiorato a 680 cc poi montato sull’ultima versione della Transalp.
Altre novità Honda furono la CB500S, versione semicarenata della nota naked bicilindrica, e lo scooter Pantheon 125 e 150: ovvero il Foresight con motore a 2 tempi, anziché a 4 tempi da 250 cc. Ma anche i sorprendenti X8R-S (stradale) ed X8R-X (entro-fuoristrada), aggressivi scooterini con motore a due tempi elettronicamente limitati a 45 km/h (il che fece storcere il naso a tutti i ragazzini di allora), la cui mirabile ed esclusiva peculiarità consisteva nell’esclusivo telaio costituito da un’ampia monoscocca in alluminio pressofuso, realizzato in Giappone.
Husqvarna
Oltre alle notevoli rivisitazioni all’intera gamma a 2 e 4 tempi, da 125 a 360 cc, il marchio ex-svedese di Casa Cagiva proponeva la nuova TE610E, evidentemente ispirata alle Husky da gara ma nata da un progetto completamente nuovo, per poter gratificare l’utente non specializzatissimo con una moto più versatile e facile da usare - vista anche la presenza dell’avviamento elettrico - ma comunque tranquillamente utilizzabile per un fuoristrada anche impegnativo. Quindi sella più bassa di ben 45 mm, pedane anche per il passeggero, telaio ridimensionato per facilitare la guida, e motore (da 577cc) qui dotato di contralbero di bilanciamento e con un’erogazione più dolce. Il tutto per soli 132 kg dichiarati a secco. La Husky TE610E venne a costare circa 12,8 milioni di lire (6.600 euro).
Kawasaki
Era tempo di rinnovare profondamente le supersportive Ninja, ed ecco apparire all’EICMA la nuova ZX-9R, mentre la presentazione della ZX-6R era stata riservata al successivo salone parigino. Moto nuove in tutto e per tutto, col telaio diventato portante (la doppia culla inferiore smontabile era stata eliminata) e con geometrie anch’esse ridefinite a favore dell’agilità di guida. Il nuovo motore – ovviamente sempre un 4 cilindri in linea, bialbero a 16 valvole, ma più compatto e leggero, e con carburatori Keihin CVK da 40 mm – era accreditato di 143 cv a 10.500 giri, con 10,3 kgm di coppia a 9.000. Il tutto con un peso dichiarato nettamente inferiore rispetto alla ben più corpulenta versione risalente al ‘93: 183 kg a secco contro 218.
Il prezzo fu fissato in circa 22 milioni di lire, equivalenti a oltre 11.300 euro.
KTM/Husaberg
Già ristilizzata la gamma delle “2 tempi”, dotata di sopensione posteriore PDS e arricchita dal nuovo modello da 200 cc, a Milano furono le “arancioni” a 4 tempi a presentarsi graficamente rivisitate. Inoltre era presente anche la affascinante Rally 660, accreditata come principale avversaria delle debuttanti BMW di pari cilindrata nelle massacranti maratone nei deserti. La vera novità del gruppo di Mattighofen arrivava invece dall’acquisita Husaberg, che presentava la FE501S Enduro 2, prezzata a “ben” 17 milioni (8.700 euro).
Italjet
L’allora attivissima azienda bolognese, capitanata dal mitico quanto estroso Leopoldo Tartarini assieme ai figli, portò a Milano il Torpedo 125, scooter a ruote a raggi da 16" con motore a 2 tempi ad aspirazione lamellare, e curiosamente caratterizzato da una struttura tubolare esterna che avvolgeva la parte bassa della carrozzeria.
Il Torpedo fu presentato anche nella simpatica versione Rossoblù, scooter ufficiale del Bologna calcio. Mentre il cinquantino Formula Air Cooled venne addirittura adottato dalla squadra del Chelsea F.C. londinese.
Ma la novità più importante fu la presenza della versione definitiva del cattivissimo e assolutamente anticonvenzionale Dragster 50, superscooter con telaio a traliccio in tubi d’acciaio e sospensione anteriore monobraccio.
Laverda
Eh già: nel 1997 all’EICMA c’era ancora la Laverda, acquisita nel 1993 dalla società I.MO.LA S.p.A. fondata dall’imprenditore veneto Francesco Tognon e con sede a Zané, a pochi passi dalla storica fabbrica di Breganze, dove ancora si tenevano i ricambi. La nuova proprietà, che nel ’97 fatturò ben 32 miliardi di lire vendendo 1.500 moto principalmente all’estero, espose nuove versioni dei vari modelli già esistenti da qualche anno, ma equipaggiati con il nuovo motore da 747 cc raffreddato a liquido.
Un motore che pochi mesi prima aveva già sostituito il precedente 668 raffreddato ad aria+olio sulla sportiva semicarenata 750S. Sempre un bicilindrico parallelo e alimentato ad iniezione, comunque, ma accreditato di 85 cv a 9.200 giri, con una coppia di circa 7 kgm a 7.000, contro i 70 cv del 668;
e che a Milano era montato anche sulla Diamante, una versione alleggerita di una decina di chili della omonima 668S, grazie al telaio a traliccio in tubi d’acciaio anziché a doppio trave di alluminio, qui leggermente differente rispetto al precedente: peso a secco 190 kg, prezzo 20,7 milioni di lire (10.700 euro).
Inedite le versioni con carenatura integrale, cioè la 750S standard (prezzo 20,6 milioni di lire/10.600 euro), e la più aggressiva e appariscente Formula, coi colori ufficiali Laverda e col motore potenziato a 92 cv a 9.500 giri: un’evidente riferimento alla celebre 500 Formula, anch'essa bicilindrica, protagonista dell’omonimo e seguitissimo trofeo monomarca che dal 1978 all’81 sfornò una bella serie di bravi piloti italiani (Ferretti, Tuzii, Broccoli, Fausto Ricci, Biliotti); ma che ben figurò anche nell’endurance, con Brettoni e Davies, e nella Formula TT: nel 1980, infatti, ben 7 Laverda si piazzarono nei primi 14 posti all’Isola di Man, nella categoria TT F2. La 750 Formula aveva il telaio lucidato, freni Brembo maggiorati, sospensioni Paioli regolabili e scarichi Termignoni in fibra di carbonio. Peso a secco 185 kg, prezzo 22.350.000 lire (circa 11.500 euro). Per quanto riguarda le versioni naked, invece, la Ghost (con telaio a traliccio) rimase 668, mentre la Strike con telaio in alluminio divenne anch’essa 750.
MBK
La casa francese di proprietà Yamaha, ancora molto in auge in quegli anni e diventata famosa soprattutto per aver lanciato l’ancor oggi leggendario Booster, ne presentò a Milano l’ennesima versione denominata Track, con telaio e sospensioni rinforzati, gomme maggiorate e ovviamente tassellate, oltre all’immancabile, nuova livrea grafica. Prezzo vicino ai 4 milioni di lire (poco più di 2.000 euro).
Moto Guzzi
A 25 anni dalla presentazione della mitica V7 Sport, Moto Guzzi ne lanciò a Milano l’erede, denominata V11 e destinata alle vendite nel secondo semestre del 1998, ma in realtà arrivata l’anno seguente, al prezzo di circa 20,5 milioni di lire (10.600 euro). La nuova arrivata era un’attraente naked sportiva con manubrio in due pezzi regolabile (come la celebre antenata), e montava ovviamente il motore della precedente 1100 Sport, ottimizzato a livello di erogazione e di riduzione delle vibrazioni. Un modello davvero appetibile, il cui V2 a 2 valvole per cilindro da 1.064 cc, raffreddato naturalmente ad aria e alimentato tramite iniezione elettronica Weber Marelli, era accreditato di 90 cv a 7.800 giri, con una coppia massima di 9,7 kgm a 6.000 giri. Su questo motore, oltretutto, debuttava il nuovo cambio a 6 marce già presente sull’interessantissimo prototipo Ippogrifo con motore da 750 cc (di derivazione aeronautica, con testate Heron a 4 valvole), dotato di sospensione posteriore progressiva con ammortizzatore in cantilever. Un modello davvero interessante, l’Ippogrifo, che secondo noi meritava assolutamente di entrare in produzione, e che ancora oggi sarebbe attualissimo. Non vale la pena di farci un pensierino, laggiù a Pontedera?
Presenti a Milano anche le versioni Sport e GT della corposa naked V10 Centauro disegnata da Marabese. La prima montava un piccolo cupolino con plexiglas fumé, una nuova sella (sempre monoposto, con possibilità di traformazione in biposto opzionale), manubrio regolabile e puntale inferiore in vetroresina. Prezzo 21,3 milioni di lire/11.000 euro. La GT invece era dotata di un classico parabrezza tutto plexiglas e di portapacchi/maniglione posteriore, con schienalino optional per il passeggero. Tra gli optional, era previsto anche un serbatoio da ben 30 litri anziché 18. Prezzo circa 21 milioni/10.800 euro.
MV Agusta
Idealmente si giocava con l’Aprilia RSV 1000 l'ideale trono dell’Eicma, la bellissima supersportiva che Massimo Tamburini aveva creato per il rilancio del leggendario marchio varesino dopo circa un ventennio di oscuramento. Ma dobbiamo dire che in effetti fu lei, la MV Agusta F4 750 Serie oro, la vera regina della manifestazione, così come 4 anni prima fu per la stessa Ducati 916. Non a caso la F4 rimane un esempio di stile italiano che ancora oggi attuale. Approfonditamente studiata e rifinita in ogni suo particolare, e ricca di soluzioni esclusive sia a livello di styling che tecnicamente parlando – tipo i 4 terminali di scarico a canne d’organo sottosella , addirittura “accordati” per produrre un suono simile a quello di altrettanti tromboncini separati! – questa bellezza dal telaio composito e dal magnifico forcellone monobraccio in magnesion era spinta da un ringhioso motore a 4 cilindri in linea con testate a 16 valvole radiali, alimentazione a iniezione elettronica e cambio estraibile.
La potenza dichiarata era di 126 cv a 12.200 giri, con una coppia (rabbiosetta) di 7,3 kgm a 9.000 giri, per un peso a secco di 180 kg. La velocità dichiarata era di ben 275 km/h, e alla presentazione internazionale tenutasi all’autodromo di Monza, quando la provammo (doverosamente con casco “Phil Read Replica” in testa, per quanto mi riguarda), eravamo tutti emozionati come bambini. Anche in questo caso, tuttavia, durante i successivi rilevamenti strumentali ricordo di aver toccato anche qui i 281 km/h effettivi! Benedetta aerodinamica!?!
La F4 750 Serie Oro venne però prodotta dai primi mesi del 1999 in soli 300 esemplari numerati quotati 68 milioni di lire (35.000 euro), con forcellone e svariati altri particolari in magnesio, carrozzeria in fibra di carbonio e forcella speciale con attacchi ruota a smontaggio rapido. Dopodiché iniziò la produzione della meno preziosa 750S, dove il magnesio era sostituito dalla lega di alluminio, ed il carbonio dalla plastica.
Peugeot
Il costruttore francese, precursore in Europa per quanto riguarda la diffusione degli scooter a trasmissione automatica (vedi Metropolis 50 e 80 cc, primi anni ’80), presentò a Milano il nuovo Elyseo, elegante "ruote basse" di piccola cilindrata dedicato principalmente agli automobilisti stufi di soffrire su quattro ruote. Confortevole e ben dotato quanto a capacità di carico, Elyseo era disponibile con motori da 50 e 100 cc a 2 tempi, raffreddati ad aria forzata, e 125 e 150 cc a 4 tempi raffreddati a liquido, con albero a camme in testa e due valvole.
Piaggio
Eicma 1997 fu pedana di lancio per un modello che risultò predestinato a lunga vita: si trattava del Liberty 125, nato in scia al già esistente cinquantino a 2 tempi e al sempre più crescente successo dei “ruote alte” automatici. Ma il nuovo Liberty fu anche il primo scooter a ruote alte (16 pollici, in questo caso) in assoluto a montare un motore a 4 tempi, nella fattispecie mutuato dalla Vespetta ET4, con 12 cv, 95 km/h di velocità massima e consumi tra i 40 e i 45 km/l. Il tutto per un peso di soli 94 kg. Ma lo show milanese quell’anno fu anche l’occasione per presentare una versione aggiornata della Vespa PX, che compiva i suoi primi vent’anni con 300.000 esemplari venduti.
Suzuki
Debutto importante a Milano, per quella che nelle intenzioni dei vertici di Hamamatsu avrebbe dovuto diventare l’anti-Ducati nel mondiale Superbike: era la TL1000R, massiccia versione racing oriented dell’interessante bicilindrica semicarenata TL1000S presentata l’anno prima sull’ovale di Homestead, Florida. Con la quale fortunatamente non condivideva la curiosa sospensione posteriore basata su un rivoluzionario ammortizzatore posteriore “rotativo” (costituito da un classico elemento a molla sistemato sulla destra, ma collegato, tramite una biella, ad uno “scatolotto” esterno che conteneva tutta la parte idraulica), sostituito da un normale elemento con link progressivo. La TL1000R in effetti debuttò nel Campionato americano AMA Superbike, tuttavia fu presto pensionata per ripiegare sulla sempre competitivs GSX-R750.
Nata in galleria del vento, la TL1000R pesava 197 kg a secco dichiarati, cioè 10 kg netti più della TL/S, rispetto alla quale godeva di 135,6 cv a 9.500 giri contro 126/8.500, con una coppia massima di 10,8 kgm a 7.500 giri (10,5/8.000); e costava oltre un milione più della S, cioè 21,1 milioni di lire.
Di questa moto piuttosto corposa, sia lo storico preparatore Yoshimura che l’importatore tedesco Bert Poensgen – che voleva affidarla all'esperto Stephane Mertens e alla propria figlia Katia - realizzarono versioni da Superbike, per partecipare appunto al campionato U.S.A. e a quello tedesco, tentando nel contempo di “assaggiare” qualche gara del mondiale: cosa, quest’ultima, che invece non accadde. Sia la TL1000S che la R, comunque, non godettero di un grande apprezzamento commerciale, tanto da decretarne l'uscita di produzione rispettivamente nel 2001 e nel 2003.
A Milano, quell’anno, arrivò anche l’iniezione elettronica sul model year 1998 della ormai mitica GSX-R 750, peraltro non particolarmente modificata nell’estetica. L’icona supersportiva di Suzuki abbandonava dunque la batteria di 4 Mikuni BDSR da 39 mm, a favore dei magici iniettori che ne hanno elevato la potenza da 128 cv/12.000 giri a ben 135,6/12.300, e solo leggermente ritoccato il valore di coppia massima da 8,2 kgm/10.000 giri in 8,4/10.300. Il tutto a parità di peso dichiarato (179 kg a secco), e con un prezzo addirittura inferiore di oltre un milione di lire rispetto al modello uscente: circa 21 milioni (10.900 euro), esattamente come la nuova TL. Furono 756 le GSX-R 750 vendute nel 1998.
Ma riapparvero anche le gemelline GSX600 e 750F (rispettivamente 807 e 470 pezzi venduti nel ’98) con motori quadricilindrici raffreddati ad aria ed olio. Modernizzate nelle linee, pur mantenendo le classiche carenature quasi completamente “sigillate”, terminate all’indietro da nuovi codoni molto rastremati con fanalini a punta, le nuove GSX/F avevano anche doppi fari anteriori a mascherina, anziché singoli e rettangolari. Con il medesimo motore ad aria ed olio della mitica GSX-R750, a Milano apparve anche la GSX, piacevole naked (o, più semplicemente, “moto”) dedicata agli amanti della motocicletta semplice ma elegante, con sellone comodo per due, manubrio rialzato, e due sfiziosi ammortizzatori posteriori con serbatoi del gas separati. Nota oltreoceano come Inazuma, la GSX750 pesava 200 kg a secco.
Con l’inattesa TR50S Street Magic, simpaticissima midi-moto con ruote da 12” e motore automatico da 50 cc a 2 tempi con camera d’espansione all’insù, Suzuki lanciò qualcosa di davvero nuovo e divertente, che presto prese piede, in svariate interpretazioni cromatiche, anche nei paddock dei vari campionati. Modello che ancor oggi potrebbe avere un perché - magari con motore a 4 tempi - lo Street Magic costava 3,7 milioni di lire (1.900 euro!). Altra novità Suzuki per il 1998 fu il mitico scooter Burgman 250 (sulla cui base poi nacque il 400, primo vero maxiscooter in assoluto), per la cui presentazione tuttavia venne scelto il successivo expò parigino: dell’appetibilissimo Burgman 250 nel ’98 vennero venduti ben 6.166 esemplari, al prezzo di circa 10,3 milioni di lire/5.300 euro. Il 400, arrivato più tardi, costava circa 800.000 lire in più.
Triumph
La Thunderbird Sport 900 fu la novità della Casa di Hinckley per la stagione 1998: un’affascinante sportiva stile retrò presentata in una sgargiante livrea giallo-nera o rosso-nera, motorizzata col delizioso tricilindrico a carburatori da 885 cc (il medesimo della prima Tiger) che faceva sfogare i suoi 83 cavalli a 8.500 giri - con 8,6 kgm di coppia a 6.500 - in un piacevole “tre-in-due”sovrapposto sul lato destro. Una moto piacevolissima da usare, dotata di belle ruote a raggi generosamente dimensionate ed equipaggiata con una generosa coppia di dischi freno anteriori da 300 mm. E piazzata in listino a 20 milioni di lirette, poco più di 10.300 euro.
Stesso prezzo per la semicarenata Sprint Executive con motore da 98 cv (naturalmente sempre tricilindrico), oggetto di alcuni aggiornamenti riguardanti un nuovo ammortizzatore posteriore regolabile e moto valigie dedicate.
Vertemati
I diabolici fratelli di Triuggio (Monza), dei quali l’anno scorso Moto.it ha presentato in anteprima mondiale la leggerissima quanto sofisticata bicilindrica Infect, portarono all’EICMA del 1997 una magnifica special da fuoristrada spinta da un avanzatissimo monocilindrico a 4 tempi raffreddato a liquido, anche allora autocostruito, con carterino in magnesio e cambio estraibile, e montato in un esile telaio a doppia culla chiusa. La moto di Alvaro e Guido era disponibile in due versioni: la Cross, con cambio a 3 marce e peso di soli 110 kg, e la Enduro, con 5 rapporti a 115 kg di peso. Un vero gioiello per palati finissimi, il cui prezzo venne fissato rispettivamente in 14,5 e 14,8 milioni di lire.
Yamaha
Fiato alle trombe, in Casa Yamaha, per l’arrivo della formidabile superbike YZF-R1, altra splendida creatura sfoggiata, durante lo sfarzoso vernissage extra-salone, da un sorridente Scott Russell, iridato in Superbike nel ’93 con la Kawasaki e in seguito passato al marchio dei tre diapason.
Questa moto, tanto bella quanto impegnativa per quei tempi, rimane ancora oggi nel cuore degli appassionati per le sue prestazioni e per il suo carattere davvero esaltante. Nel suo raffinato telaio Deltabox in lega leggera era sospeso un compattissimo 1000 a “4 cilindri” da 65 kg con testata a 20 valvole, alimentato da un set di carburatori da 40 mm e con valvola Ex-Up a valle dei collettori di scarico, e accreditato di 150 cv a 10.000 giri. La ciclistica aveva un interasse di soli 1.395 mm, e il peso dichiarato era di 177 kg a secco. In listino a poco più di 20 milioni di lire (circa 10.400 euro), la bomba di Iwata alla fine del 1998 risultò essere in assoluto la maxi più venduta in Italia, con 2005 esemplari immatricolati.
Che moto !!quelli si che erano anni !
Ho avuto la fortuna di guidarle quasi tutte e possederne diverse , guidai la mv 750 la bimota 500v2,l'Aprilia rsv 1000,il guzzi daytona il tl 1000R,il cbr 1000,il vtrs sp1 e 2 ,negli hanno io e mio fratello abbiamo comprato l'R1 primo modello ,la bellissima SB8 RC ,quella tutta in carbonio,la mitica Laverda 750 formula ,la Ninja zx6r a carburatori ,il benelli tornado 900 LE e diversi altre moto che ancora usiamo ogni tanto. Forse quegli anni non torneranno mai più o forse stiamo solo diventando un po vecchi ma chi li ha vissuti quei momenti sa quanto sono stati belli e rimarranno nei cuori degli appassionati x sempre !!!
x dotor 01
sottoscrivo tutto quello che hai scritto.
rsv4 nuova e rsv mille vecchia, come componentistica una spanna sopra le jappo.
il made in italy però devi mettere in conto l'affidabilità.
io ho avuto per tre anni un 1098 ducati e ho avuto le mie belle magagne, con le precedenti 4 jappo problemi zero.
però il made in italy è d'elite, punto e basta, che piaccia o no.
un lamps a tutti i veri centauri veterani come noi, mica quei fighetti centauribi che vedi sulle stradi di oggi, io li chiamo centauri da bar o centauri da happy hour..........