Elefant People: il libro che è un inno d'amore per la moto
Gli elefanti Italiani tornano con un libro dedicato interamente al popolo elefantista: 544 pagine a colori e un peso di due chili e mezzo, condito da storie di successo, da racconti, da tecnica e da vero amore per questi modelli.
La narrazione non parte da lontani ricordi o da articoli di giornale del passato, ma vive nelle testimonianze degli uomini intervistati dai due autori del libro: maestranze d’eccezione, che hanno lavorato in Cagiva in un momento glorioso. In quegli anni la Casa lombarda era sul tetto del mondo, nella velocità, nel motocross, ma persino alla leggendaria Dakar.
Si parla di movimenti di aggregazione, che nascono in Paesi lontani come Australia, Canada, Sud Africa, Brasile, Scozia, Inghilterra, Slovenia, Belgio, Polonia, Spagna, Francia, Austria, Svizzera e Germania, dando vita nell’arco degli anni a eventi internazionali. Claudio Castiglioni con la sua genialità è riuscito anche in questo: la Cagiva Elefant evoca italianità, ma anche fratellanza. Chi sceglie una Elefant non lo fa per distinguersi, lo fa per amore incondizionato verso questo marchio. Nel momento in cui si impugna il manubrio di una Elefant si entra a far parte di una famiglia, legata da una forte umanità. Il libro è scritto in italiano e in inglese, e presenta le immagini più belle della grande famiglia Elefant, sia legate alla produzione che alle corse.
Gli autori sono Antonio Contino e Massimiliano Battaglia.
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Un estratto dal libro
CAGIVA 750 ELF LIGIER - PROTO UFFICIALE
La prima Cagiva che partecipa alla Paris Dakar 1984/85 è la Cagiva 750 Elf Ligier con Hubert Auriol, Gilles Picard e Gian Paolo Marinoni. Il suo debutto con la sabbia la vede impegnata precedentemente nei giorni 11, 12 e 13 luglio 1984 alla Baja 1000 a Saragoza in Spagna, con Gualdi, Marinoni, Ostorero e lo stesso Azzalin come piloti. Inoltre una prima bozza di prototipo con i primi motori 650 cc della Cagiva Ala Azzurra, mette in mostra il suo potenziale al Rally Atlas sempre nello stesso anno ‘84, attirando la curiosità dei media e dello stesso Auriol. Un propulsore sperimentato su una ciclistica tutta artigianale anche dai cugini d’oltralpe, con il team manager Maurice Ferrah, e guidata dal pilota Baldet che stuzzica non poco il monopolio giapponese.
Una moto “quella Italiana” cucita su un telaio apparentemente di serie della Cagiva Elefant 650, nella quale sono stati rinforzati i punti nevralgici di giunzione, eliminato il telaio reggi sella opportunamente soppiantato con uno più robusto, dove nella triangolatura trova spazio un serbatoio ausiliario di 15 litri per la benzina, assieme al suo anteriore in lega d’alluminio realizzato a mano da Primo Felotti. Inoltre vengono adottati due mono ammortizzatori della ditta Öhlins, ancorati al forcellone posteriore, in stile vecchia scuola regolarità. Pistoni sono di derivazione corsaiola Ducati F1, di 750 cc ma meno compressi per un uso gravoso con benzina a basso numero di ottani, utilizzando spesso due guarnizioni tra testata e basamento in alcune tappe, per scongiurare il pericolo di detonazione. Scarico libero due in uno, un radiatore dell’olio posto sotto il faro, rendendo l’angolo di sterzo appena sufficiente per il tipo di percorso.
Ma a detta dello stesso Auriol, parecchio governabile rispetto alla bicilindrica BMW GS di Gaston Rahier. Strumentazione in dotazione: tachimetro e contachilometri parziale Veglia più bussola Airpath. Pompa benzina con circuito manuale, cupolino, paramani, tanica acqua da 5 litri e paranfango posteriore e anteriore Acerbis. Una moto costruita in un lasso di tempo breve (circa sei mesi), in 6/7 esemplari, con uno straordinario potenziale che si esprime fin dal suo esordio, sfiorando il podio alla Paris Dakar ‘85 con Hubert Auriol, fermo a 40 km dal traguardo per una banale caduta, durante la quale il motore rimane accelerato ai massimi regimi, e un cilindro viene sfondato da una valvola bloccata.
Tratto dal libro Elefant People di Antonio Contino e Massimiliano Battaglia.
Ogni volta che guardo le moto CAGIVA Dakar, provo una sensazione di tristezza per tutto quello che avrebbe potuto fare la gloriosa Casa con i suoi motori Ducati, finiti in mano Audi...
Se solo avessero prodotto di serie le maxienduro a partire dalla meravigliosa Ligier bianca e azzurra realizzata dal grande Roberto Azzalin, penso che oggi non si vedrebbero circolare solo BMW GS.