Hey, Aprilia non è solo asfalto e cordoli!
Laguna Veneta, 20 Aprile. Certo che Termas del Rio Hondo è stato il centro di una riscossa favolosa. Un terremoto dall’epicentro lontano che si è sentito ancor più forte dall’altra parte del Pianeta, a Casa nostra!
È come una rivoluzione: l’onda nasce in un punto e, rigenerata dalla forza dell’idea, si espande. Potrebbe essere all’infinito. Su quella pista oltre mille chilometri a Nord-Ovest di Buenos Aires Aprilia ha rotto un ghiaccio spesso come il pack.
Per la prima volta nella storia la Gran Premio di Noale ha vinto la classe regina. Con Aleix Espargaro, anche lui alla rottura della calotta di zero-tituli che “protegge” gran parte di noi normali dalla voglia di volare verso il sole come Icaro.
Trentacinque anni dopo la prima vittoria mondiale di Loris Reggiani, trent’anni dopo il primo Mondiale di Alex Gramigni, la RS-GP di Aleix ha spiegato le ali nel volo radente, rapace e epico di Termas, e quell’immagine è ora proiettata ben oltre il sole di un’immaginazione coltivata per vent’anni. Con questo si è dimostrato che i sogni non sono una questione di cera o di colla, bensì di una perseveranza più tenace del cemento armato.
Dico questo perché la notizia della vittoria di Aleix e di Aprilia, la prima per entrambi in MotoGP, è stata una bomba, un fragore tale da far rimbalzare su quella pista un’intera storia di ricordi.
Come se tutto fosse accaduto per far convergere i sogni di un quarto di secolo su quell’asfalto.
A me la notizia ha fatto un effetto anche diverso, e se vogliamo non meno strepitoso: sulle prime mi sono detto: “Ma dov’è la novità, la notizia? Ero piccolo (si fa per dire, eh!) e già Aprilia vinceva, e così ha continuato a fare per tutta la sua storia!”.
La trappola della memoria mi aveva fatto credere che Aprilia avesse già vinto chissà quante volte anche in MotoGP.
Un bella storia
Invece la storia è lunga e complessa, così mi sono preso la briga di mettere alla frusta la memoria per ricostruire almeno l’architettura emotiva degli eventi.
Non vuole essere un album di ricordi, né Apriliapedia né l’amarcord di turno. Sensazioni e memoria, che poi è quello che cementa la passione per un nome, salti da un ricordo all’altro, senza necessariamente il rigore cronologico o della scala di importanza, magari anche qualche salto di palo in frasca tra nomi e cilindrate, epoche e stagioni agonistiche, vittorie, delusioni e aneddoti.
E siccome la memoria è tutt’altro che infallibile, perdonate gli errori (che vi prego di registrare).
Si comincia male. Per quel che ne sapevo allora Aprilia era una fabbrica di fari e componenti elettrici. Così quando compare alla vista del sedicenne già avvelenato uno Scarabeo Aprilia da Cross il colpo è forte.
Però dal fanale alla moto intera, passando per la bicicletta, francamente mi pareva un po’ troppo. Invece quello Scarabeo era bellissimo e andava forte, e lì ho saputo che Aprilia era una Fabbrica “vera”. Quel “cinquantino” da sogno (e sapete bene che a quell’età i sogni sono fiumi), aveva già una qualità che sarebbe rimasta come impronta costante nella produzione e nel Racing Aprilia: il gusto dell’estetica, il design come elemento portante di vera, audace sostanza meccanica.
Non era la prima volta, invece, ma è come se lo fosse per il carattere della Ditta, che una Fabbrica si impegnava senza scendere a compromessi su un fronte che non si conquista mai definitivamente: l’innovazione.
Bello. Beggio guida una spedizione rivoluzionaria. Si inizia dal basso, con piccoli obiettivi, ma la “strategia” è decisa all’alba. È tipico dei (pochi) grandi condottieri d’impresa: sono capaci di riversare nel prodotto una storia personale appassionante e di farla diventare un “movente” irresistibile per i soldati. Il nostro Paese è la culla di quel certo tipo di passione travolgente che all’inizio sembra follia, e invece è un amplificatore di forze e di genio.
Certo, quando Aprilia vinse il primo Mondiale il salto d’immagine fu un quanto importante. Uno di quegli avvenimenti che ti fanno capire quanto vale il carisma sportivo nell’impressione di un Marchio.
Per noi del Granducato fu un evento di portata notevolissima. Era maturato tutto in Toscana. Alessandro Gramigni toscano, Leandro Becheroni suo mentore toscano, la benedizione mondiale al tempio del Mugello. Quando il Gram vinse il primo Mondiale di Aprilia per noi quaggiù in terra il momento fu davvero storico, come se avesse vinto ciascuno di noi. La piccola Fabbrica italiana aveva surclassato i big del pianeta, e un bizzarro Pilota appassionatissimo di terra, di meccanica e di allegria aveva sverniciato la concorrenza mondiale salendo e scendendo dal suo Missile con le stampelle.
Noi, il nostro Super Eroe l’avevano nell’orbita di Firenze! Diventammo tutti uomini Aprilia, anche se in verità gli uomini Aprilia veri erano una piccola cerchia di geni messa in movimento da un grande capitano d’industria, Ivano Beggio figlio di Alberto.
Non fosse toscano e amico, l’impresa del Gram sarebbe probabilmente morta lì, e invece ebbe l’effettone di spingere sull’acceleratore della passione, Nel senso della terra, tuttavia. Gente ruspante, volevamo a tutti i costi un’Aprilia super da fuoristrada. Comunque, da quel momento le direttrici di Aprilia Racing diventeranno due, non così divergenti ma diverse per il peso economico che si portavano sulle spalle.
Beggio aveva messo insieme i Cosmos della pista e chiamato due fuoriclasse, Ian Witteveen e Carlo Pernat.
Per l’olandese ho una stima smisurata. È un genio, una specie di Re Mida del 2 Tempi. Imbattibile, inesauribile. Per il ligure ho una stima… misurata, Carletto ha fatto cose che voi umani… beh, diciamo che ha scolpito sulle tavole i comandamenti della moderna politica della velocità.
Pernat ha scelto Piloti vincenti e regolato relazioni tecniche impossibili, stabilito strategie a lungo termine e imposto rigore e visioni.
Sentite questa. C’è stata una volta che mi sono trovato in mezzo all’attività di un Team. In quel frangente ho imparato un sacco di cose. Soprattutto a sbagliare. Per esempio nella scelta del Pilota, per esempio nel finire per regalare, invece che ricevere, agli… sponsor. È stata un’esperienza interessante e multiforme. Aver a che fare con Pernat era un incubo. Aprilia marciava forte e velocissima, reattiva in pista ma soprattutto in fabbrica. 125 o 250, tutti volevano un’Aprilia ufficiale.
A organizzarsi per tempo ce n’erano per tutti, bastava… pagare. Altra cosa era l’accessibilità degli sviluppi, dei pezzi speciali. Lì entrava in scena il miglior Pernat, bastardo messia della divisione dei pani e dei pesci. È chiaro che noi, per esempio, pretendevamo il meglio per battere Valentino, ma quel dannato genovese pezzi e sviluppi li attribuiva a chi andava più forte, e quindi al più meritevole, e quindi a Valentino.
Hai voglia a raccomandarti a Brazzi o Guidotti, l’ultimo miglio lo dovevi fare in ginocchio alla basilica di Pernat. E non serviva a niente. Anni difficili, ma non privi di grandi scariche di adrenalina e soddisfazioni.
Beh, nel contempo, per rilassarsi, c’era d’aver a che fare con il Massimiliano Biaggi del momento, che era cosa ancor meno facile, e si poteva fare solo perché per quanto tiranno e insopportabile Max è stato un fenomeno, e questo lo sanno tutti, ma anche uno dei più coerenti e giusti.
Però magari non la nostra, ma alla fine vinceva un’Aprilia. Capirossi, Biaggi, Valentino. Che epoca!
Per me l’Aprilia allo stato dell’arte era quella di Biaggi. Velocissima, difficilissima. Nessuno poteva batterli, quei due, nessuno riusciva come Max a buttarla in curva a motore che sembrava spegnersi, lasciarla scorrere in apnea, e fiondarla in uscita come una freccia avvelenata, pronto a uccidere. Il Corsaro… Aprilia e Biaggi erano come Stradivari e Paganini… (Continua)
L'anno successivo l'Aprilia mise in vendita la replica celebrativa della Climber 280 mondiale (che ho ancora) e poi smise di fare moto da trial...