RUBRICA LETTERARIA

I racconti di Moto.it. "È già domani"

- Un giorno non accadde più nulla. Un giorno, proprio quel giorno, non vi fu niente di nuovo. Quel giorno, aprì i battenti al pubblico il Grande Salone Internazionale della Motocicletta
I racconti di Moto.it. È già domani

Un giorno non accadde più nulla.
Un giorno, proprio quel giorno, non vi fu niente di nuovo.
Quel giorno, aprì i battenti al pubblico il Grande Salone Internazionale della Motocicletta: ricchi stand e molti operatori in giacca e cravatta, speranzosi e profumati, ma zero visitatori. Zero. Nessuno, al Salone Internazionale della Motocicletta.
Così: di sorpresa.
Un segnale inequivocabile fu che esattamente quel giorno i giornali uscirono con tutte le pagine bianche: nessuna notizia; del resto non era accaduto niente.
I siti internet, invece, presentavano gli stessi articoli del giorno prima anche premendo f5 e le redazioni annoiate prendevano i caffè nelle piccole salette per il break, mentre i direttori e lo staff facevano lunghe riunioni silenziose per decidere nulla.


Il mondo si era fermato, forse perché tutto quello che era accaduto era già troppo e, se la fantasia è senza freni, la realtà a volte grippa e non va avanti. Come un motore al quale bisogna dare un litro di olio nelle camere di scoppio e farlo girare a mano sperando che si riprenda, la realtà sembrava inchiodata e non succedeva più nulla: era stanca e manifestava fermandosi il proprio rancore verso uomini incapaci di cambiare e privi di guizzi, conformisti e meccanicisti fino al punto di avere tediato pure lo scorrere degli eventi che si rifiutavano di andare avanti.
Gli uomini si erano illusi di essere padroni del proprio destino, credendo di avere scoperto le leggi che governano l’universo, l’economia, la finanza, i mercati, i meccanismi dell’animo umano e il perché le donne ritardano sempre di almeno 20 minuti senza mai addurre motivazioni plausibili; nessuno sospettava che la realtà avesse un’anima a respiro lento e una malvagia coscienza capace di fermare il corso degli eventi, prendendone possesso quasi per dispetto.
Fin da sempre, gli eventi piccoli o grandi erano sempre accaduti poiché necessari, quel giorno fu invece necessario che non accadesse più nulla; bel paradosso.


Restava il fatto che al poderoso salone internazionale della motocicletta gli stand erano spazzati da un insolito vento caldo, i direttori commerciali stupiti e disorientati vagavano come pugili suonati per il ring costituito dalle aree affittate a carissimo prezzo e le ragazze immagine, colte da una inaspettata solitudine, facevano gli occhi dolci e ammiccavano maliziose a quei pochissimi che passavano di fronte al loro stand pieni di modelli già superati; alcune si contendevano i visitatori scostando languidamente i già minuscoli vestiti e mostrando porzioni sempre più ampie di aree vietate ai minori; la mancanza di novità le aveva rese tutte falsamente allegre e probabilmente disponibili, in un’improbabile dimensione burlesque.
Ma se l’improvviso viraggio delle attitudini sociali delle ragazze immagine verso un disinvolto atteggiamento sessuale proprio delle comuni hippie degli anni ’60 non era poi questo gran problema, molto più grave si presentava il clamoroso insuccesso del salone e il conseguenziale ed atteso crollo verticale delle vendite per il mercato motociclistico mondiale: fu immediatamente indetta per la sera una riunione dei direttori commerciali delle Case motociclistiche per pontificare sulla mancanza di pubblico e fare il punto sulla disperata prospettiva di trovarsi un lavoro, stavolta vero, fuori da un agonizzante mondo della motocicletta. In una sala congressi piccola e sorprendentemente afosa, si accese un teso dibattito sulle responsabilità delle strategie delle case motociclistiche mondiali nel fallimento del Salone, mentre l’acqua copiosamente versata nei bicchieri faceva l’eco e i microfoni sarebbero stati inutili se non fossero stati indispensabili alla traduzione simultanea.


- nessuno di voi ha portato novità, nessuno ha stimolato il mercato! Che figura di shit stiamo facendo: il salone è deserto! – disse il rappresentante di una Casa inglese.
- io pensavo le portaste voi… – obiettò Mr. Kashikawa ostentando una lunga spada da samurai legata alla cintura.
- noi aspettavamo gli incentivi statali ma vi prometto che l’anno prossimo tiriamo fuori un restyling cobrandizzato con la “Svelto”, una marca di detergenti; alla “Svelto 1100 S” aggiungeremo in omaggio una fornitura di detersivi per fidelizzare il customer, e ne faremo pure una versione di minor cilindrata per le signorine, abbiamo già in mente il nome: “Sveltina 469”, un nome fashion per una clientela smart ma non cheap! Piuttosto credevo i tedeschi sfornassero un altro modello e trainassero il mercato! Era il loro anno, così non vale! E’ scorretto! Qui bisogna darsi una mano a vicenda altrimenti affondiamo tutti! io c’ho famiglia, I have family! – disse piagnucolando un giovane signore dalla faccia da panettiere.


- Herr Panilega, - replicò un tedesco con una pancia nella quale poteva benissimo essere custodito un monocilindrico di media cilindrata – la mia Casa non può presentare ogni anno un modello più costoso del precedente: secondo le indagini di mercato abbiamo già raggiunto il prezzo massimo che la clientela è disposta a spendere per una nostra moto, non è ipotizzabile sobbarcarsi i costi di progettazione di un nuovo modello; e poi abbiamo già cambiato i colori e il faro: per adesso va bene così, mica possiamo ruotare all’infinito i cilindri dei nostri boxer, cambiare va bene ma poi bisogna sapersi fermare; ora abbiamo messo l’aspirazione sopra e lo scarico sotto, ma sappiate che stava per passare la linea dello scarico messo a caso secondo il capriccio dell’operaio addetto al montaggio e l’aspirazione davanti. Tanto non lo scopre nessuno che dentro i nostri boxer c’è un bicilindrico DKW degli anni ’50 e tutto quello che si vede da fuori è finto… Piuttosto, lei, caro Von Kapka, lei che fa tanto lo splendido, non aveva dichiarato pubblicamente che eravate pronti a immettere sul mercato la nuova Enduro 1250? Che fine ha fatto? Perché non l’avete portata al salone? Kaputt? - il tedesco sobbalzò e si udì provenire dalla sua poltrona un rumore come di un monocilindrico in accelerazione.
- Noi… fa un po’ male dirlo… abbiamo finito le scorte di vernice arancione e non possiamo proprio fare uscire una moto in altri colori! Se ne parla appena il mercato giustificherà una fornitura da 5 milioni di euro di vernice arancione. – abbozzò arrossendo l’austriaco.


Nello stesso momento due attraenti giovani donne in tailleur grigi manifestarono un evidente malcontento e iniziarono a strapparsi i capelli a vicenda accusandosi, una in romanesco e l’altra in un siciliano forbito ed elegante (iarrusa!! Trad: sgualdrina!!, l’interprete esitò, poi tradusse con un “ma che deliziosi orecchini”) di avere un affaire con l’austriaco, di cui le gentili donzelle erano la scorta armata nonché le aiutanti tuttofare. Già: tuttofare. Sedato il parapiglia, simile alla lotta nel fango tra modelle ma più cattivo e interpretato da alcuni come parte delle manifestazioni inserite del programma del salone, Von Kapka chiese un attimo di pazienza per parlare a quattrocchi con le due donne, ma ricevette da entrambe una ginocchiata al basso ventre e fu costretto a sedersi in preda a spasmi: la siciliana aggiunse pure uno sputo in un orecchio. Olè: l’immancabile classe dell’educazione isolana.
La ragazza romana fece capire ai convenuti che aprendo la 24 ore di Von Kapka per estrarre dei report, aveva trovato un reggiseno, la cui misura era perfetta per una donna affetta da una pietosissima elefantiasi mammaria: tutti guardarono prima il reggiseno, quindi l’abbondante dotazione di bordo della siciliana, poi dissero: “in effetti…”.


- Scusate… - disse un signore anziano dalla platea deserta, appena le acque si furono calmate nella sala congressi.
- Chi fuck è lei? – ringhiò un americano fino ad allora silente.
- Mi chiamo Arthur Bothelo, lavoro come contabile nella fabbrica brasiliana della stessa Casa motociclistica di Mr Shikiti – San - disse presentandosi con un inchino rivolto al suo superiore.
- E che vuole? Chi le ha dato il permesso di parlare? – lo aggredì il tedesco.
- La direzione ha voluto premiarmi con un viaggio premio in questo salone per avere trovato dei capitoli di bilancio dove limitare i costi…
- Grazie Mister Botulino ma l’ora del dilettante è stasera dopo il karaoke. Sicurezza!! Chi l’ha fatto entrare questo qui?- seguirono una serie di imprecazioni in stretto dialetto lombardo che preclusero al personaggio in questione l’accesso al paradiso fino a contrordine da parte di S. Pietro.
- Lasciatelo parlare – decretò un anziano signore, presidente della Fiera che ospitava il Salone internazionale - così si mette nei guai da solo- aggiunse sottovoce rivolgendosi al vicino di sedia, un indiano con una paresi simile ad un sorriso.


Bothelo si sistemò in cima al palchetto, bevve a garganella dalla bottiglia d’acqua: arrivava a malapena al microfono, la polo verde sbiadito lasciava risaltare la sua carnagione olivastra e tutto in lui, a partire dagli occhi spiritati, faceva presagire che non sarebbe arrivato vivo alla fine del suo discorso:
- Io sono arrabbiato con voi, gentili signori. E sono in buona compagnia: la realtà e la natura sono incazzate fresche. Se non l’avete ancora capito, qui non succederà più nulla. La realtà si sta ribellando ai nessi di causalità imposti dagli uomini e non andrà avanti, almeno per oggi. Nessuno ha capito che il mondo funziona in modo diverso da quello che i vostri progetti di sviluppo hanno programmato; il mondo non è fatto per essere conquistato ma per essere vissuto, e anche lui ha un’anima. Certuni dicono che abbia un’intelligenza perversa, ma lasciamo perdere. Rimanendo nello stretto ambito delle motociclette, negli ultimi anni avete trattato i motociclisti come mucche da mungere, è un fatto; un altro fatto è che avete reputato i concessionari né più né meno che bancomat, imponendo loro improbabili volumi di acquisti e assurdi obbiettivi di vendita; in ultimo, avete ridotto noi dipendenti di fascia bassa al rango di api operaie alle quali non veniva mai data una spiegazione di niente, dovevamo solo eseguire i vostri programmi aziendali tesi al massimo profitto.


- Bravo! Bravo, il nostro Marx a ritmo di samba! – sputò nell’aria un cinese grasso come un’anatra.
- …in tutto questo avete prodotto moto sempre più veloci, pesanti e costose, certi che sotto una certa soglia fisiologica i numeri di mercato non potessero scendere e non potendo guadagnare con la quantità di moto vendute, avete deciso di arricchirvi vendendo poche moto ma molto costose lasciando il peso di tutto il resto a carico dei concessionari prossimi al fallimento e dei motociclisti. Fino ad oggi il gioco ha funzionato. Avete usato a vostro vantaggio le regole che governano l’economia, creato i desideri dei motociclisti instillandoli ad arte con meccanismi di marketing relazionale da persuasori occulti, eseguito con pianificazione direi da sterminio i vostri piani di spartizione del mercato per aree, periodi, segmenti. Il tutto a danno nostro. Ci voleva qualcuno che mettesse a posto tutto e riparasse l’ingiustizia. Se non è possibile tornare indietro almeno fermiamo tutto, non facciamo più accadere nulla, diamo il tempo, a chi vuole e può, di riflettere sulla direzione assurda che il mondo sta prendendo, ad iniziare dalle motociclette. Oggi non accadrà nulla, forse domani: perché la realtà si è presa le ferie e ci sta dando il tempo di tornare indietro sui nostri passi e fare tutto più a misura d’uomo, di ripensarci. Queste, sono le ragioni per le quali il salone è deserto!


Non c’erano televisioni a riprendere Arthur Bothelo, né erano presenti giornalisti. Nessun telefonino o macchina fotografica memorizzò, per qualche balzana ragione elettromagnetica di cui la realtà dispettosa era sicuramente responsabile, gli scatti che i pochi astanti credettero di conservare nelle memorie dei propri dispositivi. Accanto ad un Arthur Bothelo spavaldo e ieratico le piante ornamentali sembravano crescere a vista d’occhio, spandendo nell’aria un profumo di giungla. Gli astanti guardavano e ascoltavano letteralmente imbambolati, come in trance. L’aria calda induceva tutti a bere e ad ogni sorso la loro espressione era sempre più beata.
- Basta guardarvi in faccia per scoprire che nessuno di voi va in motocicletta, bamboccioni! Vi rendete conto? Come pensate di capire i motociclisti appassionati per i quali la moto non è un oggetto di lusso ma una necessità?! Io ho la mia 250 a metanolo, faccio 20.000 chilometri ogni anno, non mi interessa altro! Non mi interessano le belve da 150 cavalli, quelle non sono moto, sono totem! E’ il momento di produrre motociclette più abbordabili, gestibili, acquistabili! Altrimenti quelli che le compreranno non saranno motociclisti, ma viveur arricchiti col pallino della motocicletta per una o due stagioni, poi niente. Avete ucciso il vivaio di giovani, la gente che in moto ci va sul serio non può spendere trenta stipendi per una moto, né impegnarne mezzo per la manutenzione. È impensabile crescere costantemente in cilindrata, prestazioni, peso. Non si può crescere sempre, le aziende non posso crescere sempre, sono come i figli: arrivati ad una certa età non crescono più e continuano a vivere dando il meglio che possono, e se continuano a ingigantirsi è segno che qualcosa non va. Capitelo, e vedrete che la realtà tornerà a scorrere, vi accompagnerà docilmente: avremo tutti spazio per vivere.
Seguì un sospiro.


Arthur Bothelo aveva finito. Nella sala congressi si sentì solo rombare brevemente il monocilindrico: il tedesco aveva purtroppo fatto fuori l’intero buffet a base di crauti.
Qualcuno, in effetti, iniziò a riflettere sulle parole di Arthur Bothelo e a lanciare gli occhi in aria. Porsi delle domande. Credere possibile un modo diverso di affrontare il mondo e la vita. Aprire persino la strada alla possibilità di riuscire a tollerare le sindromi premestruali della propria compagna.
La Katana di Kashikawa mise fine ad ogni sogno. E la Katana non era 1100.
Arthur Bothelo si accasciò al suolo senza un lamento, mentre le piante sfiorirono all’istante.
Nessuno parlò, soltanto il solito monocilindrico accelerò brevemente. Magari avvertire...
Kashikawa pulì la lama con un panno e rivolgendosi a tutti disse:
- Non è ancora il tempo che un brasiliano ci insegni a fare le motociclette. – il traduttore simultaneo non fece un plissè e non abbandonò il suo tono di cantilena.
- …ma… l’ha ammazzato! – gridò la ragazza siciliana di scorta a Von Kapka.
- …che paroloni… un attimo signorina, andiamo a vedere! Ma com’è che voi siciliani dovete sempre drammatizzare?? – fece il presidente della Fiera Dott. Alberghetti – magari è tutto recuperabile… - e arrivò dove esanime e senza vita giaceva Arthur Bothelo.
- Già…, mi sembra morto – constatò Alberghetti – Kashikawa – San, che gesto scortese!
- È solo un increscioso inconveniente – replicò l’autore dell’omicidio.
- Oh my God! …Oh my God! – urlò l’inglese.
- Chiamiamo la polizia! Kashikawa, lei è un assassino! – Von Kapka era in preda la panico e la bella romana gli si stringeva al braccio tremante.
- Giusto! chiamiamo la pol..


Panilega non riuscì a terminare la frase, colpito al petto da un proiettile.
- Qualcuno vuole veramente chiamare la polizia e creare un caso che può portare alla totale demolizione del mercato motociclistico mondiale? Già le moto sono viste come i mezzi del demonio, figuriamoci se viene fuori che al mio Salone Internazionale della Motocicletta i giapponesi fanno i samurai e passano allo spiedo la gente. Di qui non esce nessuno, e niente polizia. – la pistola era ancora fumante nella mano di un Alberghetti tutt’altro che lucido e con gli occhi iniettati di sangue.
I presenti erano terrorizzati e increduli. Alberghetti aveva ragione da vendere: se si fosse scoperto il fattaccio erano tutti nei guai. Ma adesso, non era peggio?
Alberghetti radunò tutti sul palchetto, guardò negli occhi uno per uno i rappresentanti delle case motociclistiche e sospirò:
- A me piacciono i bicilindrici a corsa lunga… chi si impegna a produrne uno entro l’anno?
- Lei è matto! – disse Von Kapka, prima di essere freddato. Poi fu il turno dell’inglese, caduto di sguincio, a 120°; l’avvenente romana fu invece raggiunta da un colpo alla schiena mentre cercava di fuggire; il tedesco fu un bersaglio facile, non riusciva manco ad alzarsi dalla poltroncina e il monocilindrico sembrava in fuorigiri per il terrore, spegnendosi con un sonoro “cioff”. L’americano taciturno, i cinesi e gli indiani, Panilega e i giapponesi con Shikiti-San in testa, non fecero in tempo a ripararsi dalla gragnuola di proiettili e alla fine fu il turno di Alberghetti che, con la sua pistola ancora in mano e quindici colpi ancora in caricatore, stentava a credere alla realtà che pareva avere ripreso a correre, saltando i passaggi e giungendo troppo presto alle conclusioni. Nella fattispecie concreta, alle conclusioni di tutte quelle vite. La signorina siciliana e la sua Uzi avevano fatto una strage. Sul palchetto erano rimasti solo lei e lui: Alberghetti e la signorina Loredana Li Fusi da Enna.


- …non lo faccia, signorina… la prego.
- È per il suo bene.
Bang.
Loredana, classe ’82, guardò la scena e sorrise, girò i tacchi andando verso l’uscita, ma colse un movimento e prese la mira:
- Fermo!
L’interprete nascosto dietro una sedia alzò le mani.
- Ti scongiuro… sono un ragazzo come te… mi danno 7 euro l’ora… ho un ciao dell’77 e con l’aria che tira non potrò mai acquistare una vera moto, hai sentito questi stronzi? …inoltre mia mamma sa che lavoro in un’ambasciata orientale, se mi ammazzi qui non reggerebbe alla notizia…
- Non ci sarà alcuna notizia.
- Come no!?? Appena qualcuno entrerà in questa sala e Pulp Fiction al confronto sembrerà una pellicola Disney finiremo tutti, vivi o morti, in prima pagina!
- Come ti chiami?
- Eugenio…
- Eugenio, ascoltami e mantieni la calma: ora noi usciamo di qui e impediamo a chiunque di entrare, diciamo a tutti che i capi sono in riunione e che non vogliono essere disturbati; se serve, facciamo pure finta di portargli da mangiare e da bere. Sono le 22 e 30. Oggi sta per finire. Oggi non può accadere nulla, hai sentito Bothelo?
- Gli unici testimoni siamo noi…
- Esatto… tutto quello che è accaduto oggi non è realtà, semplicemente non è successo. Li ho uccisi tutti sapendo che domani loro, in qualche modo, saranno ancora qui e ho evitato che qualcuno chiamasse la polizia allargando troppo le possibilità che l’omicidio di Bothelo facesse notizia al di là dell’oggi e creasse un casino vero e reale. Oggi non sta accadendo nulla.
- …ma sei sicura?
- No. Ma avevo una voglia incredibile di fare fuori quel porco di Von Kapka; se vuoi saperlo, io sono già contenta così.
- E se io non ci credessi? Se il brasiliano fosse solo stato un visionario? Se la realtà fosse inarrestabile e tutti quei cadaveri domani mattina fossero ancora lì a puzzare?
- Non è obbligatorio crederci, ma in questo caso ti pregherei di perdonarmi se mi cautelo sparandoti un colpo in testa… uno più, uno meno…


Eugenio decise rapidamente che se contraddire una donna è già in generale una gran scocciatura, farlo con una armata di mitraglietta è quantomeno contro ogni logica di sopravvivenza. Metti che s’incazza.
Si sedettero entrambi fuori dalla porta della sala congressi e fino alla mezzanotte non passò nessuno, non ci fu bisogno di inventarsi bugie per respingere eventuali curiosi.
Pochi minuti dopo le 24:00 entrarono titubanti all’interno della sala dove si era consumata la strage. Oggi era passato ed era già domani.
Forse pochi minuti non erano stati sufficienti.
Entrarono e uscirono un paio di volte, come quando riavvii il pc sperando che risolva da solo il problema.
Rientrarono prendendo fiato, ancora una volta.
Bothelo si era sbagliato, la realtà era andata avanti lo stesso.
Nonostante lo sciopero ad oltranza dei mezzi pubblici e dei benzinai per le agitazioni sindacali, i guasti alle rotative dei quotidiani e le difficoltà degli internet provider dovute alla tempesta elettromagnetica in corso da giorni e che i fisici avevano pronosticato da mesi, nonostante lo sproloquio di un povero vecchietto cresciuto a pane e candomblè, la realtà era stata anche ieri inarrestabile. Il mondo e il progresso erano inarrestabili come un Ciao del ’77 che non chiede altro che miscela al 3% per andare avanti all’infinito. Il tempo è un Ciao del ’77.
Loredana fece spallucce piantandosi le mani sui fianchi, guardò Eugenio e disse:
- Cazzo.
- …e non hai ancora visto niente. Le altre cento bottiglie d’acqua che ho corretto con l’LSD sono ancora in giro per il salone: vieni, godiamoci lo spettacolo.
 

  • sestacorda
    sestacorda, Sant'Agata li Battiati (CT)

    @tonigno02

    Ciao Tonigno, non credo di avere rapporti di parentela con il mio omonimo napoletano, di certo Privitera è un cognome molto diffuso a Catania e derivante, mi dissero una volta, dall'appellativo che veniva dato ai briganti...
    ...in ogni caso è un motociclista come noi e già per questo siamo quantomeno affini!
    Grazie, a te e a tutti quelli che hanno letto il racconto;
    a presto
    Antonio Privitera
  • STELLA24
    STELLA24, Pedara (CT)

    E' sempre un piacere leggere i tuoi racconti...

    ... brillanti, divertenti, surreali e profetici...
    Ogni storia è autentica e riesci a cambiare registro mantenendo sempre inalterato il tuo stile,che fa di te un vero scrittore.
    Per i miei gusti, ma solo per i miei gusti, è stato leggermente difficile gradire la questione riguardante la "motocicletta" sul mercato; al contrario ho trovato geniale l'idea di dipingere la realtà come un'entità dotata di una propria intelligenza,capace di rifiutare il conformismo ed il meccanicismo degli uomini, e alla fine di fermarsi e dire "basta"! Una storia tra il fantastico e la realtà, una fine perfetta... complimenti!
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