Pozzis, Samarcanda. Il film che racconta oltre ottomila chilometri su una Harley-Davidson del 1939
Pozzis, Samarcanda è un film potente, una storia semplice dal finale aperto, la narrazione genuina di un viaggio. È un racconto di vita lungo più di ottomila chilometri, un documentario dove il panorama scorre tra il Friuli e Tamerlano ma facendosi da parte con leggerezza, lasciando l'inquadratura ai veri protagonisti: Stefano Giacomuzzi, regista ventiduenne al suo secondo lungometraggio, e Alfeo “Cocco” Carnelutti, biker settantatreenne. Sullo sfondo, via via sempre meno sfocata, la loro improbabile amicizia.
Pozzis è un paesino del Friuli, un luogo incastrato tra il monte Verzegnis e il torrente Arzino, un grumo di case diventate nel tempo un borgo fantasma dove oggi l'unico abitante è Cocco, un motociclista che da ragazzo lavora come muratore in Svizzera, Francia e Libia ma che ama le motociclette: tornato in Italia mette su una piccola officina e con il sidecar corre le gare internazionali di sidecar cross. A causa di un brutto incidente, nel 1980 smette di gareggiare e dopo un lungo periodo di permanenza in ospedale decide di tirare una linea (con già due matrimoni alle spalle) e di trasferirsi a Pozzis, per darsi a una vita da eremita: occupa una casa abbandonata, vive senza acqua corrente e luce, coltiva i campi, alleva capre, produce formaggio, costruisce motociclette.
Nel 1999 Cocco viene accusato dell’omicidio di una donna, si dichiara colpevole e viene condannato a dieci anni di carcere, scontandone poi soltanto otto per buona condotta. Torna a Pozzis, diventando sempre più un personaggio molto noto nell'ambiente biker, non solo friulano: a settembre Pozzis si riempie di motociclisti per il Cocco Meeting.
Stefano Giacomuzzi è il regista di Pozzis, Samarcanda: in realtà ne è anche uno dei due attori principali, accanto a Cocco. Di anni ne ha, al tempo del film, 22 ed è laureato alla Bournemouth Film School in documentario e cinematografia. Conosce Cocco alcuni anni fa attraverso la segnalazione di un amico e sulla sua storia ricava inzialmente un cortometraggio: tornato in Inghilterra intuisce che c'è una storia più ampia da poter raccontare, e propone a Cocco di fare un film durante un lungo viaggio in moto tra Pozzis e Samarcanda ma la destinazione sarebbe potuta essere Stalingrado o qualsiasi altra città lontana, distante, perché proprio nei primi minuti troviamo la dichiarazione di intenti: “la destinazione non ha importanza”.
La differenza la fa la moto che verrà usata per il viaggio, il “ferrovecchio” come la chiama affettuosamente Cocco in un momento del film: il telaio hard-tail è opera di Cocco, il motore è un Harley-Davidson Flathead 1200 a valvole laterali del 1939, il cambio è un Triumph collegato con una cinghia, tutto il resto è autocostruito o assemblato in casa. “Io e lei siamo una cosa sola. Senza di lei preferisco morire, non riesco”: non è esattamente la moto che viene in mente per prima quando si pensa ad un viaggio di oltre ottomila chilometri, ma Cocco accetta la proposta di Stefano per sfidare se stesso e vedere fino a dove può arrivare con la moto alla sua età e con la sua malattia cronica a fargli compagnia ogni giorno.
Partono da Pozzis l'otto settembre 2018, impiegheranno 37 giorni soltanto per i primi 8.222 chilometri dell'andata: Stefano sul furgone, Cocco da solo sulla Flathead che borbotta ma che si spinge anche a 100, 110 km/h per guastarsi più spesso di quanto Stefano supponesse e meno frequentemente di quanto Cocco avesse temuto nel momento in cui il viaggio veniva progettato. Attraversano i Balcani, la Turchia, puntano verso la Georgia, toccano il Kazakhstan e l'Uzbekistan: la moto sbuffa, si torce nelle lunghe sterrate, pazienta sul carrello del furgone, si lascia osservare dagli abitanti increduli mentre viene avviata a pedale, subisce il desiderio di Stefano di guidarla per un centinaio di metri, ma alla fine conquista Samarcanda nell'ultima improbabile sfida che vede Cocco molto scettico, quella di avere la piazza tutta per sé per una conclusiva, scenografica e indimenticabile sequenza finale.
Ed è appena la moto sparisce dall'inquadratura, dopo aver appreso che c'è ancora – nel 2018 - chi spedisce cartoline inumidendo il francobollo con la saliva, che si realizza come il viaggio e la motocicletta in questo film siano soltanto un pretesto.
L'iniziale – seppure necessariamente poco precisa - intenzione del regista/attore viene piegata dalla convivenza con Cocco a qualcosa di diverso, convivenza che a fine viaggio porta Stefano e Cocco a un legame ancora più solido: difficile fare un film e contemporaneamente godersi il paesaggio e i luoghi, esattamente quei luoghi e quegli incontri che Stefano aveva pensato, prima della partenza, che sarebbero stati l'ossatura narrativa del film insieme alla storia personale di Cocco. E invece la vera storia, il reale soggetto di Pozzis, Samarcanda, è il peculiare rapporto tra i due, separati da cinquanta anni, animati da motivazioni totalmente diverse, incalcolabilmente distanti per vicende ed esperienze e tuttavia determinati a raggiungere ognuno il proprio obiettivo, accorgendosi soltanto alla fine che nessuno dei due avrebbe potuto farcela senza l'altro. Cocco e Stefano hanno dovuto sopportarsi (Cocco: “la strada è brutta, ma niente in confronto a fare il film e sopportarti”) e sostenersi a vicenda, ottomila chilometri di successi, bellezza, esitazioni, cattivi pensieri, timori di non farcela l'uno a girare un buon film, l'altro di arrivare a dimostrare di farcela, e nel frattempo imparare la ruvida schiettezza provvidenziale a rendere fluida una convivenza forzata di oltre cinquanta giorni.
Il film non ha un finale, anzi: avrebbe potuto non averlo perché arrivati a Samarcanda Stefano e la troupe girano qualche altra scena per costruire l'epilogo ma poi, lasciano che il finale sia l'essere arrivati fino a lì, l'irrilevanza della meta e la forza della volontà e dei sogni.
Pozzis, Samarcanda è partito grazie ad una campagna di crowdfunding che raggiunge e supera molto presto il budget previsto, rendendo possibile allargare ancora di più l'orizzonte e ricevere il sostegno Fondo Audiovisivo FVG, dell’Agenzia Regionale per la Lingua Friulana e della Friuli Venezia Giulia Film Commission, è prodotto da Uponadream Studios e distribuito da Rodaggio Film (che è possibile contattare all'indirizzo [email protected]), qui potete trovare il trailer in italiano e qui il teaser “Non so se torneremo”.
I dialoghi sono prevalentemente in friulano ma i sottotitoli in italiano permettono di seguirlo con facilità e riguardo la figura di Cocco - come ci ha dichiarato lo stesso regista Stefano Giacomuzzi - Pozzis, Samarcanda “non vuole assolutamente esprimere giudizi”. Non è un film biografico, non è un road movie, non è un documentario di viaggio ma il racconto di un'amicizia cementata sotto il dubbio di essersi messi alla prova - ognuno dei due - in un progetto personale più grande di quanto fosse lecito aspettarsi e sotto la consapevolezza però di esserci riusciti trovando la morale che, nelle parole di Cocco: “Io senza di te non sarei mai riuscito a venire fin qui. E tu senza di me non avresti mai fatto questo film. La morale è che un vecchio di 73 anni ha bisogno di un giovane di 22, e un giovane di 22 ha bisogno di un vecchio di 73”.
A parte i tre mausolei che si guardano in faccia e che oltre 30 anni fa quando ci sono stato io erano pure meno belli di oggi, non c'è null'altro.
Nome evocativo ma poca sostanza.