Ray Amm, il primo “rodesiano volante”
Per entrare nella leggenda del motociclismo puoi realizzare imprese e vittorie su tutti i circuiti del mondo con classe cristallina e vittorie a ripetizione, oppure puoi presentarti e correre come nessun altro e accendere entusiasmo e fantasia negli appassionati.
Wiliam Raymond “Ray“ Amm è decisamente uno che è entrato nella leggenda seguendo questa seconda via.
Nato a Salisbury (ex Sud Rodesia) nel 1927, da ragazzo si avvicinò alle competizioni gareggiando sulle piste in terra battuta ed erbose, dove assimilò il tipico modo di curvare con l'ausilio del piede a terra, un numero che avrebbe sfoggiato anche negli anni successivi, alla bisogna. Dopo i primi tempi come disegnatore iniziò col fratello a gestire una officina nella sua città natale, e così nacque il suo forte legame con i marchi inglesi che lo avrebbe accompagnato sino al suo passaggio in MV.
Fu la Norton 500 il suo trampolino di lancio verso il mondo delle gare di velocità su strada e in pista. Dopo alcune vittorie nazionali cominciò a sognare di cimentarsi sulle piste del vecchio continente e specialmente al TT di Man , il sogno di ogni pilota di allora, l'equivalente di Indianapolis nelle quattro ruote. Dando fondo alle sue finanze e sposatosi con la ragazza che sarebbe diventata anche l’entusiasta autista del furgoncino-camper, partì nel 1951 alla volta dell'Europa dove un paio di Norton lo aspettavano. Aveva ventiquattro anni.
Gli inizi tutto entusiasmo, giovinezza e passione, da destra Amm e la moglie Jill
Le moto sarebbero state approntate solo per il TT e allora, per anticipare il suo approccio alla nuova avventura, si procurò una AJS 7R “Boy Racer” che gli permise di mettersi in mostra e vincere una gara minore.
Puntualmente le moto gli furono consegnate il primo giorno di prove al TT. Lì iniziò la sua esperienza nel mondiale, da privato e neo-componente del Continental circus.
Il primo anno di gare mondiali, il 1951, lo vede stabilmente nelle posizioni di metà classifica a lottare con gli altri privati; lui si fa notare, nonostante l’inesperienza e la novità dei circuiti, per il suo personalissimo stile di guida irruente, deciso e anche spericolato. E così la Norton, culla di tutti i campioni di lingua inglese, e in particolare il team manager Joe Craig, grande conoscitore di uomini e mezzi meccanici, gli offrono il posto sognato.
La squadra Norton: da destra Kavanagh, Armstrong, Craig, Duke, Amm e la moglie
Nel '52 Amm è il secondo di Geoff Duke, e i due sono diversi ma anche complementari. Duke è tutta classe, stile, calcolo e regolarità sul giro; Amm è imprendibile e indomabile sui circuiti impegnativi, e quando le condizioni atmosferiche o della pista sono difficili la sua decisione e il coraggio fanno la differenza.
Immediato e contagioso l'apprezzamento degli appassionati che si entusiasmarono a vederlo correre sempre al limite. E’ il suo modo di correre, gli è naturale e istintivo, mai finalizzato alla ricerca di consensi e applausi.
Fu soprannominato affettuosamente “al matt” dagli emiliani-romagnoli, o meno elegantemente “l'angelo della morte” dai tedeschi, appellativo che trovo di pessimo gusto e da dimenticare.
Ray Amm era invece, per chi l'ha conosciuto da vicino, una persona cordiale e affabile, molto legato agli affetti familiari, alla sue origini e alla Norton, il marchio cui dette tutto se stesso ricambiando la fiducia. Era anche molto religioso e fu visto spesso leggere in tranquilla solitudine la Bibbia nel suo caravan, molto legato al suo mezzo che accarezzava prima delle partenze.
Fu il beniamino di tutti gli appassionati che sui campi di gara, a prescindere dal tifo per la marca, aspettavano solo di vedere i suoi numeri e gli equilibrismi. Non ricevette invece tanti apprezzamenti da qualche collega pilota, che più o meno apertamente criticò il suo modo di pilotare temerario e troppo incline all'azzardo, ma il ragazzo era così.
Il 1952 lo vide spesso ben piazzato nelle posizioni di testa della classe 350, mentre nella 500 era chiara l'impossibilità di lottare per la vittoria contro lo squadrone Gilera e la MV quattro cilindri che Graham era riuscito a rendere competitiva nella seconda parte della stagione.
Nel 1953 iniziò l'esodo dei piloti britannici verso l'Italia e i due “nortonisti” Duke e Armstrong si accasarono ad Arcore. Amm dimostrò invece il suo attaccamento al marchio rinunciando alle offerte, e fu ricompensato con i galloni di prima guida.
Nella gara di apertura di quell'anno, il TT all’isola di Man, il rodesiamo fu primo delle Norton davanti a Guzzi e AJS nella corsa delle 350. E fu il primo anche nella 500, dominatore davanti alle mono inglesi e alle pluricilindriche italiane.
La grinta e il manico
Nella altre gare del mondiale però vennero fuori i valori di piloti e macchine, Duke e la Gilera (con Milani e Armstrong, Colnago, Liberati e Pagani) dominarono nella 500 mentre Anderson e Lorenzetti con le loro Guzzi lasciarono ad Amm solo un paio di secondi posti.
Come uomo di punta e con tutta la fiducia della sua squadra, quell'anno gli fu chiesto anche di sviluppare e testare le potenzialità della Norton Silver fish, detta anche l’inginocchiatoio per la posizione che il pilota doveva assumere.
Amm e la Norton “pesce d'argento”
Provò in gara anche diverse configurazioni di carenature, come quella a proboscide, che furono messe in campo cercando di ridurre il gap con le moto italiane. La corsa dello splendido monocilindrico e del suo rivoluzionario ed efficientissimo telaio era però alla fine, e solo un nuovo motore plurifrazionato avrebbe potuto colmare il divario.
La “proboscide” fu uno degli ultimi studi aerodinamici Norton
L'anno successivo, il 1954, fu per lui il più entusiasmante: la sua moto era al maggior grado di sviluppo e lui profuse tutta l‘esperienza accumulata in quei pochi anni di gare. Era il pilota generoso sempre al limite che arrivava a dire: “Se entrando in curva non hai la sensazione di cadere vuol dire che stai andando piano”.
Era uno di quei pochi piloti che dava tutto e anche di più, proprio come Omobono Tenni. E come Tenni anche a lui alla costante ricerca della massima velocità in una sfida continua con se stesso e gli avversari, senza curarsi di chi fossero e che moto avessero.
Il mondiale iniziò bene nelle 500 con la sua vittoria al TT, ma poi Amm dovette ancora subire il suo ex caposquadra Duke, che con la Gilera si impose nelle successive cinque gare. Stessa cosa nelle 350, dove si trovò davanti Anderson che con la sua nuova leggera e veloce Guzzi si aggiudicò quattro gare contro le due sue.
La sua figura di pilota era però stabilmente sulla ribalta ed era sempre un apprezzato e richiesto pilota quando la Norton entrò in una fase di crisi economica che la spinse ad un ridimensionamento dell'attività sportiva.
Alla sostanziosa offerta economica di MV, Amm paragonò quella Norton, consistente in un paio di moto a prezzo scontato. La scelta, pur dolorosa, di staccarsi dalle sue care origini a questo punto fu obbligata: il suo desiderio di sfida, di velocità e di vittoria lo fecero sognare spingendolo irresistibilmente verso quella quattro cilindri che tanto bene prometteva.
Imola “Coppa d'Oro “ 1955, tante speranze...
Il suo debutto avvenne l'11 aprile 1955 a Imola. Con una moto nuovissima, molto diversa dal suo Norton Manx, ma che per uno che sapeva guidare anche “in ginocchio”, non rappresentava certo un problema.
La gara non era valida per il titolo mondiale ma Amm la affrontò con il suo istintivo modo di guidare e cominciò ad inanellare giri sempre più impiccato, suscitando l'entusiasmo dei centomila presenti pronti a balzare in piedi a ogni suo passaggio.
In questa immagine è fissato uno degli ultimi momenti della leggenda
Al ventiduesimo giro, però, chi era alla Rivazza ammutolì, lo videro prendere il volo ed entrare nella leggenda.
Non avremmo mai più visto l'uomo senza paura: contro la recinzione della pista si infransero purtroppo i suoi sogni di velocità e di vittoria.
* E' un ex giramondo per lavoro e un grande appassionato della storia della moto, soprattutto quella dagli anni Quaranta ai Settanta. Una febbre che lo ha preso fin da piccolo: il padre era concessionario Moto Guzzi a Finale Emilia, provincia di Modena.
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Anche se si fatto tanto per la sicurezza ed ora gli incidenti mortali sono per fortuna molto rari, In certe parti del mondo sembra essere ancora così, onestamente non so se sia giusto permettere che ciò avvenga.
Belle storie comunque che è bene rispolverare anche perché di testimoni diretti non credo ce ne siano molti rimasti lucidi.
Valentino Masini