Ride in the USA: Anaheim-II, caos organizzato
La terza prova dell’AMA Supercross, con l’innovativa formula del Triple Crown, rimescola ulteriormente le carte sul tavolo di questo inizio stagione 2018.
Innanzi tutto, voglio scusarmi pubblicamente con Marvin Musquin: quando dopo Anaheim 1 ho detto che le whoops erano un suo punto debole credo onestamente di avergli tirato una gufata di quelle pesanti. Sono state infatti proprio le whoops di Houston, nella heat di qualifica del secondo round, a causare la caduta in cui il francese ha riportato la lussazione della spalla sinistra che sta rendendo la sua corsa per il titolo una faccenda davvero complicata.
Complicata ma non impossibile, perché come si è visto ad Anaheim-2 tutto può cambiare in qualsiasi momento. Vuoi per la solita imprevedibilità delle corse, oppure perché i promoter decidono, dopo 30 anni di onorato servizio, di mettere mano pesantemente alla formula del Supercross senza pensarci neanche troppo.
Il risultato è stata la cosiddetta Triple Crown, una formula ispirata a quanto avviene nella Monster Energy Cup e che ha debuttato sabato sera. La rivedremo, purtroppo o per fortuna, nei round di Atlanta e Minneapolis. Il cambiamento è epocale, perché al posto delle solite heat di qualifica e successivo Main Event, la Triple Crown prevede qualifiche in base ai tempi e tre Main Event per ciascuna categoria, con tempi progressivamente più lunghi. Il punteggio viene poi assegnato in un modo che qui definiscono “olimpico”, ovvero vince l’assoluta di giornata chi colleziona meno punti nelle tre singole finali, dove un primo posto vale 1 punto, un secondo vale 2 punti e così via. Un po’ come avviene al Motocross delle Nazioni, con la differenza che qui non puoi scartare il punteggio peggiore.
Nel corso della giornata di gara ho deciso di condurre il mio piccolo sondaggio personale, per capire cosa i piloti pensino effettivamente della novità. Ci tengo a sottolineare che con alcuni ho parlato prima della gara, con altri dopo, e ovviamente il risultato più o meno positivo ha sicuramente influito sulle loro risposte.
Cooper Webb (prima della gara): “Mi piace l’idea di tre finali, ultimamente ci sto mettendo sempre un po’ a carburare e il Main Event sembra sempre arrivare all’improvviso, tipo che fai due sessioni di prove, riguardi i tape, mangi, fai i tuoi giri nella heat ed è già ora di dare il 200% nella finale. Con tre finali invece hai la possibilità di rientrare al camion e riguardare cosa hai fatto bene e cosa devi migliorare, in modo che puoi tornare là fuori e recuperare una giornata magari non iniziata benissimo. Onestamente è una novità che mi piace”.
Chad Reed (prima della gara): “Se serve a dare spettacolo e rimescolare un po’ le carte mi va bene. Credo che però ci sia la possibilità che un pilota vinca l’assoluta senza imporsi in nemmeno una delle singole finali, e questo non mi piace, secondo me va un po’ contro lo spirito del Supercross”.
Tutti gli altri, invece, hanno parlato del nuovo formato dopo la gara.
Joey Savatgy: “Onestamente, sono felice di aver vinto ma questo, in una sola parola, è puro caos. Ho sentito una gran pressione e onestamente ho avuto l’impressione che la maggior parte dei piloti in pista stessero correndo molto al di sopra del loro standard. Capisco che per il pubblico sia un bello spettacolo vedere tutti i top rider assieme in pista per tre volte, ma li in mezzo eravamo tutti sul filo del rasoio”.
Shane McElrath: “Io mi sono divertito, ho guidato bene e ho potuto recuperare alcuni errori che con un Main Event normale mi avrebbero tenuto giù dal podio”.
Christian Craig: “Ovviamente chi è andato a podio ti dirà che la formula gli è piaciuta, gli altri forse non concorderanno. A me non è dispiaciuta, ma le finali così corte hanno reso tutta la serata molto tirata e stressante”.
Jason Anderson: “Va bene per provare, ma non credo sia la formula giusta per noi piloti. Innanzi tutto, tre partenze con tutti i top rider schierati sono troppe, si corrono troppi rischi. In una finale normale la maggior parte dei piloti parte in modo meno aggressivo, ma con le finali più corte tanti piloti che sono veloci ma che magari non potrebbero dare tutto per 20 minuti di seguito, adesso danno il 120%”.
Cole Seely: “Io mi sono divertito, ma la strategia ha avuto la sua parte e quando mi sono schierato al via della terza finale sono andato un po’ in paranoia. Sapevo che l’assoluta era alla mia portata e dovevo solo partire bene, e così, ovviamente, sono partito male”.
Eli Tomac: “Ho vinto e quindi per me ha funzionato. Ma non vedo la possibilità di fare un campionato tutto così, nemmeno se le finali fossero solo due. Troppo pericoloso, troppo stressante”.
Stando a sentire i piloti, dunque, il verdetto non è del tutto positivo, anche se nessuno si è espresso in modo apertamente negativo. Ho parlato con qualche spettatore e ovviamente da loro ho ricevuto solo commenti entusiasti.
Da parte mia credo che la formula sia divertente ma decisamente difficile da seguire, se non altro per avere un’idea immediata di dove siano i duelli che contano. In una gara normale ogni lotta vale uno step in più in classifica, ma già si sa che fuori dai top 5 c’è poco da preoccuparsi. Con il Triple Crown, invece, o hai una tabella in mano e tieni d’occhio tutti, oppure è un attimo confondersi.
Da appassionato ovviamente la cosa mi è piaciuta e da fotografo… ancora di più. Normalmente ci sono pochi momenti nell’intera giornata dove i piloti sono al massimo, e più Main Event significano più minuti alla massima intensità, ovvero un numero maggiore di immagini spettacolari.
Tornando al campionato, la gara di sabato prossimo in Arizona ci dirà molto di più di quanto lasciato intendere da Anaheim 2. A quel punto sapremo se Marvin Musquin, che ad A2 non ha concluso la terza finale, potrà ancora dire la sua per il titolo. Sapremo anche se il ritorno di Eli Tomac (che in conferenza stampa in modo non perfettamente convincente ha insistito su come il suo infortunio fosse solo alla spalla e non includesse anche un trauma cranico) sia definitivo o se invece il formato di gara del Triple Crown lo abbia avvantaggiato in termini di riprendere un po’ di fiato e lucidità tra una breve finale e l’altra.
Sapremo se Barcia saprà riprendersi dalla battuta a vuoto e sapremo infine a quale livello davvero è in questo momento Roczen. Molto si è detto sul fatto che la gara di Anaheim 2 abbia risvegliato vecchi fantasmi nella testa del tedesco, dopotutto è proprio qui che un anno fa ha avuto l’incidente che ha quasi messo fine alla sua carriera. Un po’ per esorcizzare la cosa, Kenny ha indossato un completo quasi identico a quello che indossava in quella fatidica serata…
Sarebbe facile concedergli una mezza scusante, ma chi ha avuto modo di conoscerlo davvero la pensa diversamente. Ken mentalmente è una roccia, se per un attimo ha pensato ad A2 2017 quel pensiero è stato immediatamente disintegrato dalla sua determinazione a vincere.
Piuttosto, l’eccessiva sicurezza di sé potrebbe essere davvero la ragione per cui Roczen non ha brillato sabato sera: prima della gara tutti pensavano, io compreso, che le finali brevi lo avrebbero aiutato. A Houston ha fatto vedere di avere la velocità ma non ancora la resistenza, soprattutto nel braccio destro (che deve sopperire per tutta la gara al limite dato dal braccio sinistro non ancora al 100%). Tre manche brevi? Tre vittorie facili. Questa faccenda era ben chiara nella mente del tedesco, che qui si aspettava di stravincere e invece ha finito per fare un mezzo passo falso, almeno secondo gli standard che gli sono abituali.
Chi invece non perde colpi è Jason Anderson, che mantiene ben salda la tabella rossa sulla sua Husqvarna FC450 ufficiale. Dopo la vittoria in rimonta in Texas la settimana scorsa, in ci è stato praticamente perfetto, il pilota del New Mexico ha confezionato un altro piccolo capolavoro in California, mettendo una pezza alla terribile partenza nel Main Event #1, che lo ha relegato al settimo posto iniziale. Ha concluso terzo di serata.
“Onestamente – ha commentato – in quel caos sono contento di non aver fatto qualche disastro. Sto lavorando molto sulla mia pazienza, cerco di restare calmo e aspettare un paio di curve o di giri in più prima di sferrare l’attacco, ma in gare così brevi non hai molto tempo per fare della strategia. Nella prima finale sono partito male e così sono rimasto intrappolato nell’incidente di Tickle e Stewart. So che forse avrei potuto spingere un po’ di più, prendermi qualche rischio e magari adesso sarei sul gradino più alto del podio e non terzo, ma stasera era molto più facile rovinare tutto che guadagnare qualcosa”.
Giusto per non farsi mancare niente, Jason ha vinto l’ultima finale (quella da 15 minuti), dove è andato a riprendere il fuggitivo Tomac per poi infliggergli un bel distacco sotto la bandiera a scacchi. Il ragazzo c’è: ha il talento, la velocità, la spregiudicatezza e l’aggressività per forzare le situazioni e generare punti pesanti a suo favore. L’unico neo sta forse nella natura mite e riservata di Jason (quando non è in sella alla moto) e questa poca personalità non è il massimo per un Supercross che sta cercando disperatamente il proprio portavoce dopo che anche Dungey si è ritirato.
Nella 250 lo scontro rimane apertissimo tra i “soliti noti”. Il campionato Costa Ovest – ricordiamoci che le 250 corrono solo 8 gare per Costa - è aperto come non mai in questi ultimi anni: una lotta a cinque tra i due alfieri del Team Pro Circuit Savatgy e Cianciarulo, Shane McElrath sulla KTM Troy Lee Design, Christian Craig sulla Honda GEICO e Aaron Plessinger sulla Yamaha ufficiale.
Fino ad ora abbiamo avuto tre vincitori su tre gare (McElrath, Plessinger e Savatgy) e nulla lascia prevedere quale possa essere il risultato finale. Savatgy è forse il più esperto là davanti e ha la grande motivazione di dimostrare di essere in grado di vincere un titolo dopo aver ceduto alla rimonta di Webb nel 2016 e quella ancora più clamorosa e drammatica di Osborne nel 2017. McElrath sembra avere il pacchetto più completo, ma è un perfezionista e la minima deviazione dalla situazione ideale potrebbe farlo deragliare in qualsiasi momento. Plessinger è aggressivo e veloce, ed ha un vantaggio enorme quando le piste iniziano a rovinarsi, come a dimostrato a Houston. Dato che ci sono ancora da correre Oakland, Seattle e Salt Lake City, tutte piste all’aperto che tendono a deteriorarsi in fretta e dove spesso si rischia il fango, credo che Aaron possa essere ancora il grande favorito assieme a Savatgy.
Le due wild card restano Craig e Cianciarulo: non li escudo dalla lotta per il titolo e a maggior ragione li considero come un elemento determinate, visto che possono vincere gare e rimescolare le carte ad ogni round. Tra i due il più veloce mi sembra Cianciarulo, ma deve iniziare a partire bene per non doversi poi giocare dieci jolly a finale, cosa che lo ha portato ad assaggiare il terreno già diverse volte.
Craig è più tecnico e meno vistoso, ma non per questo meno determinato. “Desideravo a tutti i costi correre nella Costa Ovest e adesso che ho ottenuto quello che volevo non posso accontentarmi. Un terzo posto va bene, meglio di un quinto, ma io sono qui per vincere. Venerdì sera stavo guardando le foto della pista ed ero tutto contento nel vedere le whoops giganti, che sono il mio punto forte. Poi sabato mattina al track walk ho notato che le avevano dimezzate in altezza e sono rimasto molto deluso. Va bene che una pista scorrevole tiene i piloti compatti e aiuta lo spettacolo, ma è anche vero che servono delle sezioni tecniche per fare selezione e separare i migliori dal resto, altrimenti è una gara a chi tiene il gas più aperto e diventa pericoloso”.
Vi lascio con una piccola polemica, basata sulle voci che ho raccolto nel paddock a proposito delle whoops: ad Anaheim-2 girava la voce che le whoops giganti siano state ampiamente addomesticate per favorire Tomac e Musquin, entrambi afflitti da problemi alla spalla…