Terra del Fuoco. Viaggio alla fine del mondo o inizio “Original” dell’avventura?
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Porvenir, Estate australe. Sognando sotto l’ombrellone. O ricordando? L’uno e l’altro.
Il punto è questo: siete disposti a impegnare un angolo della vostra vita in un viaggio importante, per un obiettivo impagabile, in un luogo in cui la natura è ancora padrona assoluta e fonte ispiratrice incontaminata? Se sì, siete sulla buona strada, ma non ancora sull’autostrada dei sogni. Un Viaggio così non si dovrebbe essere solo “disposti” a farlo, ad affrontarlo. Lo si deve desiderare, nell’attitudine speciale, estrema e intransigente del volerlo a tutti i costi. Bisogna capire che è un desiderio importante. Diciamo subito: ne vale la pena.
Patagonia, Terra del Fuoco. Sono mete mitiche, da taccuino moleskine e viaggio senza biglietto e data di ritorno, da segnale scarso ai confini con ogni forma di contatto, da cronaca dalla fine del Mondo. Davvero, ma tutto questo ormai è più dell’immaginario sedentario che sostanza attiva. Argento vivo. Poi, ognuno cerca qualcosa di personale che un luogo incantato possa rivelare, e ci sono posti in questo straordinario Pianeta che creano sensazioni più che immagini, sentimenti più forti prima ancora che istantanee emotive.
La Terra del Fuoco è uno di questi luoghi incantati! Ma per capirlo non basta leggere, scorrere migliaia d’immagini, sentirlo raccontare minuziosamente. Può essere sufficiente, forse, per farsi un’idea, comunque grezza e, con tutta probabilità, sbagliata poiché formata su sensazioni che appartengono ad altri. Certe vibrazioni sentimentali, certe emozioni stanno in un rapporto strettissimo con la sensibilità di ciascuno di noi, e non possono passare da un individuo all’altro, come il testimone di una staffetta, e suscitare gli stessi moti dell’anima.
Bene. Per far vibrare certe corde bisogna decidersi ad andare. In Tibet o a Katmandu per ritrovare sé stessi, o all’estremo Sud, dove il Continente americano è diviso dallo Stretto di Magellano, nella regione Australe fino alla Terra del Fuoco, per scoprire il mondo prima della … fine.
È un viaggio la cui prospettiva d’intensità si percepisce già arrivando a Punta Arenas. Dopo l’eventuale transcontinentale, il volo da Santiago del Cile dura altre tre ore, e questo aiuta a capire due fatti non secondari. Il primo è che il Paese Tricontinentale non finisce mai. Santiago, infatti, è solo metà della sua estensione verticale, che va dai 17 gradi e 30 primi ai 56° 30’ Sud per un totale di circa seimila, incredibili chilometri. Il secondo è che si arriva davvero a Sud, mai tanto a Sud come questa volta. Fa una certa impressione, particolare, un po’ fisica e un po’ culturale, immediata, travolgente.
È l’aria particolarmente fine e tersa, pungente anche d’estate, è la luce abbagliante, la vastità degli spazi e il silenzio, sempre rotto dal vento nella sua estesa gamma tonale. Può essere il soffio di una brezza, il potente respiro del Mare, o l’urlo di un uragano. Ancora, fa impressione essere così vicini al passaggio tra i continenti americano e australe, arrivare su Capo Horn non da Est, non da Ovest ma da Nord, considerarlo un punto di arrivo, una mèta piuttosto che un rito di passaggio.
Punta Arenas. Appena atterrati al Carlos Ibanez del Campo. Siamo in un altro Mondo, immediatamente pervasi da un leggero senso di commozione. Niente di preciso, niente di “grave”. È solo un atterraggio, ma si è emozionati. E l’emozione è la quintessenza del Viaggio.
Destinazione Terra del Fuoco. Un momento. Destinazione? In un certo senso. Abbiamo fatto diecimila chilometri per arrivare sin qui, pensando così. In realtà siamo scesi alla fine del Mondo per… partire. La mèta è il rovescio del Mondo, fino ai ghiacciai continentali metafora di un’Antartide vicinissima ma quasi irraggiungibile. Un altro Mondo dove il vento spazza pianure infinite, fischia tra i tetti spioventi e le grondaie, raffiche a cento all’ora che si portano via di tutto, anche le vecchiette che non hanno fatto in tempo a tenersi alle corde stese lungo le strade per questo scopo. Chi vive qui ci è arrivato cento, duecento anni fa e neanche se ne accorge. È la musica del silenzio. L’orizzonte che si perde nella luce.
Punta Arenas, la Capitale della Regione Magallanes e Antartide Cilena, era nata come Forte Bulnes trenta chilometri a Sud del successivo e attuale insediamento. Dapprima avamposto cileno per la difesa del Territorio dall’eventualità che ad altri Paesi venisse… la stessa idea, poi città dei marinai e delle navi che attraversavano il lungo Stretto. Ferdinando Magellano. Non un vero e proprio centro di commercio, piuttosto un porto di sosta obbligata o di comodo, piacevole.
Già che c’era, qualcuno ha iniziato ad impiantarvi piccoli commerci di base attorno alle attività principali. Poi l’espansione progressiva, e poi sempre più accelerata alla fine dell’Ottocento, quando da tutto il Mondo, soprattutto inglesi, spagnoli e dalmati vennero attirati in fondo all’America dalla febbre dell’oro, dei filoni scoperti nella Terra del Fuoco. Punta Arenas diventava il crocevia della corsa all’oro del Sud. Il prezioso metallo è ancora setacciato dalla terra, è sempre quella faticaccia mitigata solo dalla persistenza del sogno, ma la datazione dei cimeli della Corsa rivela che l’oro di oggi può essere un lavoro come un altro. Più brusca, e definitiva, l’interruzione del flusso delle navi e delle attività legate alla marineria. Fu l’apertura del Canale di Panama, nel 1914, a determinare l’obsolescenza dello Stretto da questo punto di vista.
Ma la Città nata meno di un secolo prima era ormai cresciuta, e chi era arrivato da lontano aveva messo le radici riavviando la propria vita, migliorandola e trasferendo il proprio ingegno in una realizzazione di un sogno nuovo e originale. Naturalmente, ben presto altre risorse si erano affiancate a quelle in calo entrando nel bilancio della società dell’estremo Sud sudamericano. Era ed è ancora la Terra, per esempio il gas naturale, o le attività dell’allevamento degli ovini, della lana e della carne, anch’esse importate, e finalmente il turismo.
Sì, Turismo. Punta Arenas, 130.000 abitanti, è il centro nevralgico di un ventaglio geografico che si apre a Nord verso la “terraferma”, a Sud verso Capo Horn e a Est sulle Isole della Terra del Fuoco, dall’altra parte del braccio di mare. Metà cilena, metà argentina, in realtà una Terra magnifica che sta al di sopra delle divisioni politiche.
C’è una Corsa che lo racconta, nelle parole di uno dei protagonisti, Ernesto Gomez detto "Tincho", Eroe, Meccanico e Pilota di Punta Arenas che, navigatore di Jaime Ivelic, l’ha anche vinta. Si tratta del leggendario Gran Premio de la Hemandad. È un Rally sui generis che, a metà agosto dal 1974, attraversa l’inverno gelato della Isla Grande da Porvenir a Rio Grande. Andata e ritorno, un anno si parte dal Cile, l’altro dalla Tierra del Fuego argentina. Quel giorno una volta all’anno il confine cileno-argentino resta aperto, e la leggenda è anche nelle peripezie del contrabbando, roll bar ripieni di tabacco, sedili, scorte e bagagliai imbottiti di pelli di castoro. Fratellanza cileno argentina della Isla con un confine per niente naturale.
La corsa non è stata mai interrotta o cancellata, neanche negli anni in cui Cile e Argentina non si potevano vedere e preferivano altri tipi di “competizioni”, come il Conflitto del Beagle. Miracoli della Tierra del Fuoco e della Passione Sportiva. Il Gran Premio de la Harmandad è l’evento sportivo, riservato alle Auto, più importante della Terra del Fuoco, e solo da un paio di stagioni nella parte cilena della Terra esiste il Rally de los Glaciares de la Tierra del Fuego, esclusiva delle Moto e aperto a un’impareggiabile spettro di evoluzione basata su affascinanti soluzioni a sfondo agonistico, turistico e di Avventura.
Porvenir, mezz’ora di traghetto è la Città di approdo alla Isla Grande de la Tierra del Fuego cilena. Dall’”altra parte” ci sono Rio Grande, a Est, e la conosciutissima, e per questo un po’ meno “original”, Ushuaia, a Sud. Ancor più a Sud la cilena Puerto Williams e Capo Horn. Poi l’ostile braccio di mare che separa dall’Antartide. Porvenir si apre sulla grande baia di fronte a Punta Arenas. Seimila abitanti, una grande pace, cielo, mare e terra. Mai freddo davvero, mai caldo vero, un’escursione termica stagionale limitata, appena sotto e poco sopra lo zero, pioggia o anche neve, vento forte, freddo fino alla gelata e caldo anche nell’arco di un solo giorno, mezze stagioni abolite. Mai più senza un piumino o un windstopper, mai in condizioni di farsi prendere alla sprovvista, o “disarmati”, dal clima. Questa è la prima regola, una delle poche e di base della tranquilla vita della Terra del Fuoco. Tutte le altre sono ispirate dalla saggezza del quieto vivere e dal rispetto per la natura, due elementi così vicini nella vita di chi è di qui, e nel viaggio di chi ha scelto questa mèta, che la vita stessa sembra meravigliosamente semplificata.
Porvenir è anche l’unico centro abitato di una certa importanza della Terra del Fuoco cilena. Gli altri possono essere considerati piuttosto dei punti cospicui, dei riferimenti, siano essi geografici, di strada, tradizionali o storici, o degli avamposti. Onasin, Cameron, Timaukel, Russfin, Pampa Guanaco. Continuando verso Sud la strada termina a Caleta Maria, un punto sulla costa tra i seni dello Stretto e del Lago Escondido. È ancora in gran parte sterrata e si prevede che un giorno possa raggiungere l’estremo Sud di Baja Yendegaia e dell’omonima penisola-parco naturale. Da Porvenir verso Nord, invece, si raggiunge Cerro Sombrero, petrolio, e attraversando lo Stretto nel suo punto più… stretto, Punta Delgada da cui si può ridiscendere verso Sud Ovest e rientrare a Punta Arenas.
L’idea meravigliosa è che nella Patagonia cilena, puntando il compasso su Punta Arenas, è possibile descrivere degli archi di itinerario che abbracciano circuiti di escursionismo, di conoscenza e di viaggio da capogiro.
Punta Arenas e la Terra del Fuoco non più come punto di arrivo, allora ma di partenza di un viaggio, di più viaggi. È questa l’idea.
Un esempio eloquente. Gli americani comprano una vecchia motocicletta negli States. Scelgono perlopiù, pare, una KL 650, indistruttibile e versatile, la Moto ideale per questo genere di viaggio e di budget. Non è legge, solo un’indicazione “storica”. Costruiscono e montano impalcature e tubi innocenti, caricano anche la chitarra e scendono attraversando l’intero continente sudamericano.
In controsenso rispetto al viaggio della Poderosa del Che e arrivano alla Fine del Mondo. A Punta Arenas cedono a prezzi di realizzo la Moto, comprano il biglietto di ritorno e rientrano a casa. Un viaggio bellissimo, che finisce qui. E questo è un peccato. Solo alcuni lasciano la Moto a Punta Arenas, a disposizione di un amico o di un secondo viaggio, magari di ritorno Sud-Nord sulla costa Est, Argentina, Uruguay, Brasile. Molte di queste Moto restano qui e finiscono nei sogni di viaggio degli appassionati della Patagonia, in vendita o parcheggiate a La Guarida, l’originale Moto Shop & Cofee di Salva Harambour, al 778 di Guillermo Pérez de Arce, che è un vero e proprio punto di ritrovo per i locali appassionati e per i viaggiatori, non solo quelli che hanno bisogno di un pezzo di ricambio o di assistenza.
A Salvo abbiamo lanciato la nostra proposta indecente. Eccola.
In Antartide non si va tanto facilmente. Primo perché fa veramente freddo, secondo perché il viaggio in nave è durissimo a causa delle condizioni del mare, terzo perché le strutture ricettive antartiche “scarseggiano”, quarto perché nessuno ci invita in una delle basi sul ghiaccio e, quinto, perché un viaggio minimamente organizzato verso quella cuffia gelata sulla terra nascosta dai ghiacci costa un patrimonio. Sesto, è difficile andarci in Moto, e anche in Auto o in autostop. Fermiamoci qui. Facciamo un passetto indietro, allora, e fissiamo Punta Arenas e la Terra del Fuoco Argentina come avamposto dei nostri sogni antartici.
Da Punta Arenas si può partire verso Nord, Puerto Natales, Cerro Castillo, il Parco e i Ghiacciai di Torres del Payne. Oppure si può piegare verso Ovest, in direzione Rio Verde e la Riserva naturalistica Alacalufes. Verso Nord-Est la Laguna Blanca, San Gregorio fino al Parco Pali Aike. Verso Est-Sud-Est, ecco, oltre lo Stretto di Magellano la magia incontaminata della Isla Grande e le meraviglie della Terra del Fuoco. Ognuno di questi archi di viaggio concentrici è un’esperienza. Chi ha tempo può unirne più di una, chi non ha fretta di tornare… è fortunato, perché non gli verrà tanto presto nostalgia di casa.
Adesso la preparazione, pratica e “psicologica” per un viaggio del genere ai confini dei Ghiacciai del Sud. Andare in Patagonia e nella Terra del Fuoco è un po’ come andar per Mare o nel Deserto. Se avete pensato: “roba da matti” chiudete lì e tornate ai vostri display. Se invece vi si sono drizzate le orecchie vado avanti. Per Mare o nel Deserto vuol dire affrontare alcune difficoltà oggettive, e intuibili, ma anche calarsi in una condizione di stato d’animo semplificato, fantastica, che è l’anticamera psicologica del massimo sfruttamento emotivo del piacere della natura. In un caso è Cielo e Mare, un “classico”, nell’altro è Cielo e Terra. Nient’altro, solo che in questo spazio a due colori soltanto, azzurro e blu o azzurro e, boh, ocra, c’è un’esplosione di percezione delle sfumature dei pochi elementi che possono intervenire a rompere la linea dell’orizzonte.
Una barca che passa vicina alla nostra o la linea di costa, la carovana di cammelli sulla stessa “rotta” o la falesia, il porto di passaggio o l’attraversamento del villaggio, la tempesta d’acqua o il vento di sabbia. Tutto il resto è il di più nel confronto, in una grande allegria di piaceri, del viaggiatore con la scena.
La Terra del Fuoco mette insieme le due esperienze in una sorta di universale soluzione di naturale completezza. Cielo, Mare e Terra.
Prima di tutto Punta Arenas, per organizzare i dettagli. Avanti con la proposta. La Guarida. Salvo, metti insieme le Moto da affittare al piccolo Gruppo di Viaggiatori e fai in modo che non si debba impazzire alla ricerca dell’ultimo cavo della frizione. Fatto. Si parte tra un paio di giorni. Hotel a Punta Arenas. Le soluzioni non mancano, la maggior parte è gradevole e accogliente, come ci si aspetta da una Città di “frontiera”. Una miriade di piccoli Hostal, B&B, Locande.
Qualche grande albergo. Nessun dubbio: le piccole strutture a conduzione famigliare sono da preferire. L’accoglienza è più vera, sempre genuina. E poi una buona relazione è quasi sempre la migliore fonte di istruzione e di informazioni di base, se si preferisce l’inserimento, l’integrazione alla “sovrapposizione”, all’”occupazione” del Luogo. Prezzi. Non so perché mi aspettavo un costo della vita bassissimo. Non è così. E d’altra parte gran parte delle cose che si trovano a Punta Arenas arriva da lontano. Ma non è neanche la cattiva sorpresa di capitare in quelle zone-filtro che ti prosciugano il portafogli.
Diciamo che a Punta Arenas si pagano le buone cose e i buoni servizi a cifre oneste. Buone cose. Mangiare prima di tutto. C’è una lunga lista di ristoranti e locali tipici dove si sta bene. La Marmita, La Luna, San Telmo, Sotito, mi baso sui consigli e su reputazioni riconosciute. Perché a me è successo che, sempre per quell’istinto di familiarizzazione che si ambienta così bene a Punta Arenas, mi sono infilato in un locale, accompagnato dal Tincho, e ci sono tornato tutte le sere, poche in verità perché non si era qui per mangiare e dormire (o soltanto per…). E poi il nostro è un viaggio a tema. A casa dal Tincho, Pilota e Meccanico, colazione (molto, molto di più che un caffè) all’History Coffee e a cena al Restaurante & Emporio Okusa di Jaime Ivelic (si diceva della discendenza croata radicata a Punta…). Tincho e Jaime, che ha due figli Piloti motociclisti, sono i Campioni del Gran Premio de la Hermandad di cui si parlava prima, e quest’ultimo ha rifatto una vecchia bottega-casa in O’ Higgins trasformandola nel locale perfetto. E chi si muove più? È l’inizio di una lunga serie di Centollas, il piatto “nazionale” a base di granceola noto nel Mondo come King, non a caso, Crab.
Proporzioni pantagrueliche, la carne dolce e squisita del granchio decapode unita all’esotismo dell’avocado e alla familiarità della buona mayonnaise della nonna nell’insuperata e insuperabile Palta Cardenal. Stiamo elucubrando con l’acquolina in bocca, scusate. Ma Okusa è anche filetto, il lomo che si scioglie liberando una melodia di suoni percepibili solo dal… palato. Il buon vino. Non lo so, dicono che è buono, noi solo birra. La locale Austral, che poi da qualche tempo è a sua volta entrata nella “famiglia” di una multinazionale.
Il viaggio ideale attraverso la Terra del Fuoco cilena è nella rotta tracciata da Carlos Soto Miranda (Carlito per gli amici) per il Rally Glaciares de la Tierra del Fuego. L’idea di Carlos, e di Giorgio De Gavardo, è fantastica e originale, al punto da lasciare disorientati. All’inizio è un Rally che, sposato con il GP de la Hermandad, per esempio, farebbe della Terra del Fuoco una Capitale del Cross-Country. Ma se l’Hermandad è una corsa “brutalmente affascinante e primordiale”, il Rally Glaciares inizia e finisce in tutto e per tutto come una Corsa, ma in mezzo ci mette la visita esclusiva ai ghiacciai.
Ma andiamo con ordine. Porvenir. Le case quasi tutte di legno, un’urbanizzazione semplice e aperta. Una di queste è il nostro Hotel. L’España, vicino alla casa che, si dice, è stata abitata da Ferdinando Magellano. L’esperienza al seguito “blando” del Rally Glaciares de la Tierra del Fuego ci ha insegnato dove andare e come. Soprattutto come. Le direttrici sono poche, ma tutte portano verso luoghi affascinanti. Gli stradoni sterrati sono perfettamente levigati. Certo, basta uno di quei fortunali improvvisi e violenti per devastare il manto stradale, ma state sicuri e tranquilli, la mattina dopo le ruspe saranno già passate e avranno riportato le strade in condizioni migliori di prima. Si scende verso la Bahia Inutil, sì, la chiamano così perché per approdare è troppo aperta, per pescare è troppo meno redditizia del centro dello Stretto. Resta la visione e, più a Sud, la colonia del Pinguino Rey, fino a un metro di altezza è il secondo al mondo dopo l’Imperatore. Magnifico esempio di dignità… regale, portamento e riservatezza. Visita emozionante. Obbligatoria.
Cameron è una cittadina votata alla tranquillità in riva allo stretto, Russfin è la testimonianza della vecchia Corsa dell’Oro “Fueguino”… vinta dagli stranieri che hanno portato enormi draghi meccanici che si sono divorati tutto il grosso dei filoni. Poi i giganteschi macchinari sono stati abbandonati, e sono diventati museo all’aperto di un’epoca e di un sistema di lavoro e sfruttamento delle risorse naturali della Tierra.
Avanti, Pampa Guanacos, un piccolo aeroporto, la civiltà degli allevatori e gli alberi modellati dal vento, i Parchi dei Laghi, Escondido, Blanco e, scendendo più a Sud, Deseado, infine il Ghiacciaio, mèta assoluta del Viaggio alle Fine del Mondo.
Non ci si arriva in moto, questo è chiaro, ma tanto vicino da pensare di averci messo le ruote, sì. È un rito. Si arriva a Caleta Maria alla fine di una lunga strada sterrata. L’ha tracciata il “genio” e l’hanno realizzata i militari. Proseguirà ancora più a Sud e finirà davanti a Porto Williams, rendendo più facile, o meno difficile, la conquista di Capo Horn via terra.
Carlos è stato incredibile. Ha costruito il suo Rally e l’ha dedicato a un nostro amico che non c’è più, l’indimenticabile Carlo De Gavardo. L’ha realizzato insieme a Sernatur, l’organismo che promuove il turismo nel Sud del Cile e nella Terra del Fuoco. Grazie alla creatività dei funzionari di Sernatur, Carlos ha, di fatto, “aperto una via”. Per la prima volta, infatti, un battello “commerciale”, nel caso specifico lo Skua, una specie di piccola rompighiaccio antartica, ha raggiunto il Ghiacciaio Saboya, in fondo al fiordo Parry con un “equipaggio” di turisti. Navigare in queste acque incredibili, anche d’estate disseminate delle “slavine” scese rumorosamente dai ghiacciai, è una vera e propria Avventura. Lo si vede chiaramente nella concentrazione del Capitano della Nave.
Ecco, adesso Carlos deve prendere una decisione difficilissima. Cosa fare del suo Rally Glaciares de la Tierra del Fuego. Potrebbe restare un Rally ed eliminare ogni tipo di riferimento a un piano turistico. Può farne un Viaggio Totale alla Isla Grande. E potrebbe farne il primo Happening Motoristico alla Tierra del Fuego, Rally included. Al centro dell’Avventura, per esempio, tre giorni secchi di Corsa o di Regolarità. Da Bivacco a Bivacco al centro dell’Isla Grande. Prima e dopo l’Avventura del Viaggio. Da Porvenir a Caleta Maria, e magari oltre.
E un anno i Ghiacciai del Nord e un altro i fiordi ghiacciati a Sud. La via dell’Oro “Fueguino” e l’esperienza dei Laghi Blanco e Deseado bivaccando con i pescatori. II Tour del Pinguino Rey alla Isla Grande o, alla Isla Magdalena, due ore di traghetto da Punta Arenas, i piccoli pinguini che vengono dalla costa Ovest dell’Atlantico per svernare nello Stretto di Magellano. Avventura è avvistare le balene al Parco Marittimo Francisco Coloane, o l’escursione più australe del mondo sui sentieri scoscesi dei crinali sul Canale del Beagle o lungo l’incredibile Cordillera di Darwin. Già, c’è stato e se n’è innamorato Charles, perché non dovrebbe succedere anche a noi?
E perché no l’avventura estiva dell’Evento oltre… confine nel gemellaggio con una nuova Hermandad, questa volta davvero Special per Moto e Auto?
Prima e dopo Punta Arenas, naturalmente. Per pianificare e per gli Arrivederci all’anno prossimo. C’è tanto bisogno di Terra del Fuoco in ciascuno di noi!
Immagini Nikon
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Il Rally dei Ghiacciai della Terra Del Fuoco (o il sogno di Carlo De Gavardo)
La ringrazio
Pluto00