Turismo. Botswana e Namibia
E’ un destino comune a molti. Almeno in quell’angolo di mondo. Mazinza ha 21 anni, è giovane e forse nemmeno bella ma ha l’aria di chi sogna ancora, di chi osa ancora sperare. Vive a Mabele, un polveroso villaggio di tredici abitanti fatto di capanne malandate e stretto lungo il confine settentrionale fra Botswana e Namibia. Qui si lavora per cinquanta centesimi al giorno e sul far della sera, quando il sole ha ormai esalato l’ultimo affannato respiro, non resta che il riposo, un riposo che si consuma lentamente all’interno di quelle esili mura fatte di argilla, sterco e lattine, dove sogni e ricordi continuano a rincorrersi senza tregua, in quella vana e angosciosa ricerca di una vita migliore.
In Botswana
“Il Botswana è 100% contro la corruzione”, indica un cartello al passaggio di frontiera con lo Zimbabwe, un modo esplicito per non associare la propria appartenenza ad uno dei tanti, forse troppi paesi africani ove il degrado morale ed economico ha colpito e contagiato l’intero sistema, alimentando l’inflazione, distruggendo la piccola redditività e mettendo a rischio la vita di coloro che in qualche maniera sono legati al commercio dei diamanti. Ma a parte il flagello dell’Aids che sta colpendo indiscriminatamente un quarto della popolazione, il Botswana di oggi sa difendere piuttosto bene la propria indipendenza politica ed il fascino etereo dei suoi deserti, dei suoi delicati ecosistemi, delle sue infinite specie animali contribuiscono a renderlo un piccolo scrigno del nostro pianeta.
Il parco naturale di Chobe
Pochi, anzi forse nessun parco al mondo è così densamente popolato di animali come il Chobe. Una riserva faunistica che non trova eguali all’interno di quella fetta d’Africa cosiddetta australe. Da Kasane a Maun sono circa 350 i chilometri da percorrere attraverso le finissime sabbie del Chobe, passando attraverso i magici scenari di quel deserto un tempo patria dei San ed oggi esclusivamente popolato da branchi di rinoceronti, elefanti, leoni, gazzelle, bufali, zebre e ippopotami, ma anche kudu, babbuini, coccodrilli e gnu. A tratti monotono, a tratti insidioso e comunque piuttosto impegnativo da percorrere, il parco Chobe è un autentico tempio del regno animale con un profilo ambientale suddiviso in quattro aree primarie a seconda del proprio habitat.
Ma addentrandoci verso l’interno del Botswana scopriamo che il Chobe non è che l’anticamera di quel mondo che un po’ tutti noi, piccoli o grandi, continuiamo a favoleggiare. Immaginate un fiume ampio e generoso che si ramifica in un immenso e incontaminato territorio del delta e da qui si dissolve in un labirinto di lagune, canali ed isolette. Sempre con l’immaginazione provate ad entrare in quello che viene descritto come “l’angolo meglio preservato e più selvaggio del mondo”, una porzione di terra prevalentemente arida ove le sabbie del Kalahari vengono trascinate dalle correnti di quel fiume “che non riesce a trovare il mare” ma nel suo corso seduce ed attira una infinità di specie animali: siamo nel delta dell’Okavango.
E’ assolutamente difficile non fare poesia descrivendo questo luogo, questo piccolo paradiso che se osservato con gli occhi attenti del viaggiatore e con il cuore di chi ama scrivere e fotografare non può che regalare solo intense emozioni. Talvolta anche a rischio della propria vita, infrangendo le regole scritte pur di “rubare” alla natura l’ultima immagine. Scivolare nelle acque del delta in mokoro (canoa ricavata da un tronco d'albero scavato, ndr) è un’esperienza unica che non ha prezzo. Ammirare quella natura così immacolata, così rigogliosa fatta di lunghe spighe d’erba e fiori che si riflettono nella superficie piatta dei suoi mille canali. E senza emettere un sospiro raggiungere la pozza degli ippopotami dove un branco di giganteschi mammiferi dal peso di 4.500 chili sguazza chiassoso nel fango.
Gli animali della savana
La guida ci dice che sono i più temibili erbivori africani, quelli che uccidono di più e che rappresentano per l’uomo il principale caso di mortalità, assai superiore ad esempio al leone. Se avvicinati nel loro habitat attaccano senza pietà le esili imbarcazioni, le rovesciano e con la forza distruttiva delle loro enormi mandibole spezzando letteralmente in due chiunque si trovi a bordo. Il sole sta tramontando alle nostre spalle, è un’occasione irripetibile. Sono ore che cerco di convincere, di corrompere in ogni maniera la nostra guida personale. Jerry ci giura che non l’ha mai fatto per nessuno. Dobbiamo firmare un foglio. Un attimo di riflessione e poi via. Può essere il momento fatale ma anche l’unico. Con estrema rapidità, fra i silenziosi colpi di pagaia, riusciamo ad aggirare la fatidica pozza sotto lo sguardo sinistro degli ippopotami che ci fissano costantemente a pelo d’acqua. Abbiamo il sole di fronte ed una luce arancione, quasi mistica, che avvolge tutta la palude. Per un solo istante la testa di un ippopotamo emerge proprio in mezzo ad un lungo riflesso che taglia in due lo stagno. Ce l’abbiamo fatta, l’immagine che può valere una vita resterà per sempre impressa anche nella nostra anima.
Si può invece trascorrere una giornata intera a caccia del leopardo, il più elusivo dei felini, il più abile predatore notturno e magari con un pizzico di fortuna, dopo dieci ore di mancati avvistamenti, scorgerlo fra gli arbusti, nel silenzio più assoluto, avvolto nel favore delle tenebre. E’ tutto una frazione di secondi: da quella posa così immobile e statuaria il giallo bagliore dei suoi occhi si infrange, uno scatto impossibile, una rincorsa affannata, un breve ruggito. E poi di nuovo il silenzio. Un altro capitolo scritto, consumato, nel grande cerchio della vita. Così unico ed evocativo, l’unico limite per così dire del delta dell’Okavango resta la sua scarsa accessibilità che comporta costi talvolta proibitivi e per dormire in uno dei lussuosissimi lodge, in pratica tende maxi-lusso incastonate perfettamente nella natura, si arriva a spendere anche 1.500 dollari a notte. A persona naturalmente, escludendo il volo privato, unica via di ingresso.
Un thè con l'ambasciatore italiano in Namibia
Difficile continuare un viaggio sperando di confrontarci in nuove emozioni. Ma noi ci abbiamo provato e da Maun siamo volati direttamente a Windhoek. Per un attimo ci sentiamo di nuovo a casa, respirando quell’aria europea, decisamente teutonica che iniziamo a percepire già allo sbarco in Namibia. E poi il servizio impeccabile della Motorcycle Centre ([email protected]) e di Mike che ci mettono subito a disposizione una fiammante R1100 S, la maxi-tourer Bmw con quell’indole sportiva che ben si adatta ai lunghi trasferimenti imposti dal nostro programma. Certamente una moto confortevole e generosa nella capacità di carico, veloce e reattiva al punto giusto, ma anche ineguagliabile per quel suo estro di grande trasformista che la vede disimpegnarsi agevolmente anche in quei percorsi ove il nastro d’asfalto è un puro ricordo. E poi l’onore di essere ricevuti dal dottor Massimo Baistrocchi, ambasciatore italiano in Namibia, che assieme alla sua signora ci apre le porte di casa invitandoci ad ammirare il paesaggio della capitale dalla torretta più alta della loro residenza e a sorseggiare una tazza di thè nel meraviglioso salone che ospita presidenti, ministri e politici di ogni nazione.
Il parco Etosha alla rincorsa del ghepardo
Nell’immaginario collettivo, quando parliamo della Namibia, si riporta alla mente come uno dei luoghi più suggestivi di tutta l’Africa. Ed è proprio così. Certo che il parco Etosha, considerato una delle perle di questo paese è un po’ sopravvalutato ed è solo la grande abbondanza di animali che ci fa dimenticare l’arido grigiore del suo pan, un immenso deserto salino pianeggiante. Attraversando tre fra le maggiori oasi faunistiche africane possiamo garantirvi comunque che il successo nello “spotting” di animali è pressoché assoluto. Ma qualcosa manca ancora. Il ghepardo, il più veloce ed elegante fra i felini. Un po’ delusi da questo mancato incontro ci lasciamo alle spalle l’Etosha, quando all’entrata sud del parco, all’Anderson Gate, ci consegnano un coupon informativo sui lodge disponibili per il pernottamento. Resto incuriosito dal Naua-Naua (www.nauanaua.com), un lodge e riserva di caccia, che porta impresso il profilo di un ghepardo. Mi faccio avanti e trovo un signore sulla cinquantina, sua moglie ed una coppia di giovani manager inglesi che hanno da poco venduto casa a Londra e lasciato un lavoro altamente remunerativo per farsi una vita in questo paradiso. Spiego a Thomas il mio desiderio e vengo accontentato. «Ad un patto però - mi dice - non posso portarti adesso a vedere i ghepardi con la jeep. Non è ancora l’ora del pasto, sono digiuni da venti ore e l’unico modo per non innervosirli è entrare nella riserva piedi. Con cautela però». Le due signore però restano lì. Ema, la ragazza inglese, dà un bacio al marito sulla guancia e gli sussurra che preferisce attenderlo. Sorrido fra me e penso che se l’ho scampata una volta potrei farcela anche una seconda…
Entriamo a piedi in una tenuta di 6.000 metri quadri, in quattro uomini armati di un solo bastone. Dopo un’escursione di mezz’ora riesco a scorgere i quattro ghepardi adagiati sotto l’ombra di una pianta rinsecchita. E’ un momento che attendevo da tempo. Ci avviciniamo con circospezione, senza parlare, lasciando il comando delle operazioni a mr. Thomas. Dopo svariati tentativi riusciamo ad avvicinarci a poco più di cinque metri. Mi sembra impossibile. Da vicino sono ancora più belli, direi affascinanti. Li osservo con piacere, li guardo dritto negli occhi attraverso l’obbiettivo, scatto foto a raffica e poi una mossa di troppo mi tradisce. Uno di loro si alza, digrigna i denti, emette un breve ruggito. E’ stato un brivido di paura e che solo adesso posso narrare con estrema soddisfazione.
Nella patria degli Himba
In quattro ore di guida, lungo una strada molto tormentata, raggiungiamo a tarda sera Opuwo, una città polverosa e piuttosto dissestata. Al mattino riusciamo a capire meglio la sua anima, quella dei suoi abitanti che popolano le centinaia di baracche disseminate lungo i fianchi della montagna. Siamo nella patria degli Himba, uno dei popoli meglio preservati del continente africano, i più pittoreschi da un punto di vista fotografico. Le donne sono straordinariamente belle, con i seni al vento e la pelle plasmata dall’essenza di ocra che ne riflette il suo colore pastello ed una speziata fragranza. Le acconciature rappresentano poi un altro capolavoro estetico ed i capelli così adornati, ben raccolti e modellati, si rifanno ai gruppi tribali di appartenenza.
Da Opuwo scendiamo a sud, in direzione Sesfountain. Il paesaggio muta gradatamente di aspetto assumendo connotati sempre più interessanti. Entriamo nel Damaraland, una regione nota per le sue bellezze paesaggistiche fatte di deserti rocciosi ed imponenti rilievi montuosi dalle cime spianate. E’ proseguendo verso sud-ovest che facciamo il nostro ingresso nella leggendaria Skeleton Coast, un luogo mitico per chi è abituato a veleggiare con la fantasia attraverso quelle brumose coste dell’Atlantico sempre avvolte da fitte nebbie e battute dai venti, dove i relitti di navi incagliate da secoli e consumate dalle onde fanno da contorno ad uno scenario talvolta spettrale. Cape Cross e le sue colonie di otarie, lo Spitzkoppe ed il suo meraviglioso inselberg in granito, Swakopmund e le sue splendide spiagge. La Namibia è davvero una fucina di bellezze che descriverle in un solo racconto richiede non poche limitazioni. Ma dobbiamo proseguire, come il nostro viaggio, fino a giungere attraverso le lussureggianti vallate della C14, consumate in tutta fretta dalla instancabile R1100, a Sossusvlei.
Siamo nel cuore del Namib, circondati da un autentico mare di sabbia le cui dune rosse, originatesi cinque milioni di anni fa dal Kalahari, hanno vette che sfiorano i 300 metri, le più alte sulla terra. Sono monumenti al tempo, un dedalo di forme e colori che si estendono e si rincorrono per centinaia di chilometri movimentando un’arida pianura. E poi, in un ultimo efferato tentativo di vanità vanno a scomparire, tuffandosi per sempre nelle tumultuose acque dell’Atlantico, originando così uno degli spettacoli di madre natura fra i più grandiosi al mondo.
Ma cosa si può fare quando le emozioni non bastano più? Io e Fabrizio sapevamo di sbagliare ma non potevamo farne a meno, la tentazione era davvero più forte di noi. Prendiamo un panino ed un paio di lattine a testa e nonostante i mille divieti imposti dalle guardie che registrano le targhe, annotano i cognomi ed impongono l’uscita dal parco alle 19.00 in punto, siamo costretti a disobbedire. Restiamo “prigionieri” volontari del Namib, sostando nei pressi di quella che ci era sembrata la duna più affascinante. L’oscurità più completa avvolge e trasforma il deserto in pochi istanti e la nostra lunghissima notte si consuma nel silenzio più assoluto, ammirando il volteggiare delle stelle in quel blu dipinto di blu.
Testo e foto di Luca Bracali
SUPPORTER
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