Supercross USA 2018: Anaheim-I, Tomac resta con la patta aperta
Anaheim 1: anche quest'anno ce la siamo messa alle spalle. La gara più attesa, l'apertura del Supercross 2018, non ha deluso le aspettative, regalando la solita messe di duelli, sorprese e polemiche.
Innanzi tutto va segnalato che per la prima volta in forse 10 anni l'Angel Stadium ha registrato il tutto esaurito: 60mila appassionati hanno riempito gli spalti a discapito del fatto che ormai la gara si può veramente guardare ovunque in diretta e in qualsiasi modo, dalla TV allo smartphone. Un aspetto che nelle stagioni passate veniva indicato come il motivo principale per cui si stesse registrando un costante calo di pubblico ma che sabato sera, evidentemente, non ha significato nulla.
In pista i piloti non hanno deluso le aspettative, anche se molti di loro hanno dichiarato apertamente di aver sentito la pressione di dover dare il meglio di se davanti a una "full house". Adam Cianciarulo lo ha descritto molto bene: "Io ho sempre corso la Costa East ma in un modo o nell'altro sono stato ad A1 fin dal 2008. Però non ho mai visto lo stadio così pieno. Nel pomeriggio gli spalti erano quasi vuoti e dunque non ci ho fatto caso, ma quando sono uscito dal tunnel per la prima heat della serata mi è venuto un groppo allo stomaco, non mi aspettavo tutta quella gente. Sia nella heat che nel Main Event ho corso i primi giri molto teso, sperando di non fare la figura del pollo davanti a 60mila persone".
La gara della 250 non ha offerto molte emozioni, grazie (o "per colpa di") ad uno strepitoso Shane McElrath che ha condotto la finale dal primo all'ultimo giro sulla sua KTM Factory gestita dal Team Troy Lee Designs. Shane ha guidato in modo perfetto e ha fatto il vuoto dietro di se, lasciando Plessinger e Cianciarulo a combattere per gli altri due gradini del podio. McElrath non è certo uno di quelli che si fanno notare quando non è in sella: molto concentrato e preciso fin nei minimi dettagli, in qualche modo esce dallo stereotipo del pilota yankee spaccone e "super cool". Volendo fare un paragone, Shane sembra più Robocop che Capitan America, per intendersi. Ma è anche molto simpatico e disponibile, e sa bene come il risultato finale di questo Campionato West Coast 2018 dipenda prima di tutto da sé stesso. "Nella off-season onestamente non sapevo nemmeno a che livello fossi: per mesi ho seguito la stessa routine e gli stessi allenamenti ma alla fine ero chiuso nella mia campana di vetro e solo una volta sceso in pista per la prima heat (che ha vinto - Nda) ho capito di essere messo bene. Anche lo scorso anno ho vinto qui ad A1 ma è stato un turbine di emozioni che non mi aspettavo. Vincere la finale, salire sul podio e ricevere la tabella rossa in qualche modo mi ha scombussolato emotivamente e ha sicuramente influenzato il resto della mia stagione. Quest'anno però è diverso: mi sono allenato duramente, conosco il mio valore e non sento alcuna pressione. So che Plessinger, Cianciarulo e tutti gli altri non mi concederanno niente e saranno pronti a sfruttare ogni mia indecisione, quindi dovrò rimanere concentrato e semplicemente guidare come ho dimostrato di saper fare".
Ride anche Justin Hill, campione in carica dopo essersi aggiudicato il titolo 2017 in sella alla Kawasaki del Team Pro Circuit. Ma ride perché lui è fatto così, sempre ottimista e gioviale anche quando le cose non vanno bene. E sabato sera per lui niente è andato bene, sebbene abbia messo a segno il miglior tempo nelle qualifiche del pomeriggio. Ho sentito gente nel paddock puntare il dito sulla sua nuova moto, la Suzuki Factory gestita dal Team JGR, ma non credo sia quello il problema. Se non hai feeling con la moto col cavolo che fai segnare il miglior tempo in prova: a questi livelli non si scherza, tutti i piloti danno il 120% ogni volta che scendono in pista. La spina nel fianco di Justin, invece, sono state le partenze, davvero inguardabili. E qui bisogna soffermarsi a parlare della principale novità del Supercross 2018, ovvero la grata di metallo che da quest'anno viene piazzata dietro al cancelletto, e che ha cambiato completamente la tecnica di partenza per tutti. Il fattore principale ovviamente è il grip, che aumenta in modo esponenziale.
"Adesso devi rispettare i cavalli della tua moto come se fossi in sella ad una 450 - ci ha detto McElrath - prima sulla terra potevi fare praticamente quello che volevi e la moto la gestivi facilmente. Adesso è un attimo sbagliare e se devi correggere la tua gara è praticamente compromessa". Aaron Plessinger ha invece dichiarato di essere riuscito a perfezionare la nuova tecnica di partenza solo tre giorni prima di Anaheim: "Ci ho lavorato per settimane, ma la moto mi si impennava sempre e non riuscivo a venirne fuori. Meno male che ne sono venuto a capo giusto in tempo, `dipende tutto da come usi la frizione". Un altro grosso fattore che la grata di ferro ha introdotto è che le moto sono più alte (non scendendo nel canale che si crea nella terra) e adesso molti piloti devono usare dei blocchi di partenza per poter mantenere il peso del corpo il più avanti possibile. Sembra un problema solo per i piloti più bassi, ma i blocchi li usa anche Adam Cianciarulo, tra i più alti se non il più alto pilota nella classe 250. "Sulla mia pista privata ho installato una grata per provare le partenze, anche se non potevo essere sicuro che fosse esattamente come quella che avrei trovato qui. Uso i blocchi anche se sono alto perché mi piace poter caricare ancora di più l'anteriore e contrastare le impennate che adesso sono molto frequenti dato che la ruota posteriore praticamente non slitta e scarica tutti i cavalli in modo molto più efficiente".
Prima di passare al piatto forte, la classe 450, parliamo per un attimo delle polemiche. Quella legata al nuovo sistema di assegnazione dei punti è, francamente, del tutto sterile. In base al nuovo regolamento il vincitore di un Main Event prende adesso 26 punti anziché 25, mentre secondo ne prende 23 ed il terzo 21. In molti hanno ripreso in mano la classifica del 2017 e hanno visto come Tomac, grazie alle sue 9 vittorie, in base al nuovo sistema di assegnazione dei punti avrebbe ottenuto lo stesso punteggio finale di Dungey, ma avrebbe anche vinto il campionato in virtù del maggior numero di affermazioni nei singoli Main Event. Ottimo materiale per una discussione da bar... lasciamo ai lettori ogni ulteriore commento.
La seconda polemica è decisamente più "succosa". Sabato mattina abbiamo ricevuto in sms di presentarci al camion Yamaha alle 9 in punto per un "annuncio molto importante". In modo molto informale e senza troppe cerimonie, a tuta la stampa presente è stata comunicata la bomba: Villopoto è adesso il nuovo testimonial e ambassador Yamaha. Si, lo stesso Ryan Villopoto che ha speso la sua intera carriera in sella alle verdi adesso è l'uomo immagine delle blu. Il fattore shock, per chi ha buona memoria, è stato molto simile a quando Stefan Everts ha annunciato alla stampa attonita al Motocross delle Nazioni del 2008 di passare in KTM, dopo aver dominato negli ultimi 9 anni della sua carriera proprio in sella alle Yamaha.
Non ho perso tempo e ho parlato subito con Ryan, approfittando del momento di silenzio assoluto che ha seguito l'annuncio.
"Ryan - gli ho detto - è la prima volta che ti vedo sorridere nel giorno di gara... Dimmi esattamente di cosa si tratta e per quanti anni hai firmato". "Il contratto per ora prevede un solo anno - mi ha detto Ryan - e praticamente mi vede come uomo immagine e marketing Yamaha. Si, in effetti sorrido perché sono molto contento e dopo anni di gare, allenamenti e praticamente fare la stessa cosa giorno dopo giorno, adesso ho l'opportunità di aprirmi a molte nuove discipline ed attività. Svilupperò la 450 ed anche la 125 2t (!) ma sarò impegnato anche sulla moto da strada, correrò un paio di gare della Hooligan Race di flat track su una moto costruita ad hoc e prederò parte anche a diversi eventi di UTV e side by side". Riguardo ai suoi rapporti con gli altri piloti del Team è stato molto chiaro: "Il mio accordo è con Yamaha USA, non con il Team, quindi non ci sarà nessun coinvolgimento diretto. Non voglio che Webb o Barcia pensino che voglia imporgli le mie scelte, anche perché quello che andava bene per me non è detto che funzioni anche per loro. Ovvio che sono qui a disposizione, e se vogliono parlarmi o hanno bisogno di qualsiasi consiglio sanno perfettamente dove trovarmi".
Eccoci, finalmente, alla classe regina, la 450. Nei giorni immediatamente prima di Anaheim 1 tutta l'attenzione era concentrata su 3 aspetti, che sono stati ribaditi fino alla nausea. A che punto è il recupero di Roczen? Potrà Musquin continuare la serie di successi iniziata alla Monster Energy Cup e nelle gare della off-season europea? Infine, dopo i 9 successi dello scorso anno, Eli Tomac sarà l'uomo da battere?
Beh, A1 ha dato le sue prime risposte. Una delle cose che sentirete più spesso nelle conferenze stampa prima dell'inizio del Supercross (io fino ad oggi ne ho seguite 14) è il detto "Ad Anaheim 1 non puoi vincere il campionato, ma lo puoi perdere". Il messaggio sottinteso è che non bisogna mai strafare pur di vincere la gara più attesa dell'anno, perché il campionato è lungo e tutto può succedere. Allo stesso modo, se si spinge troppo e si fa un errore grave, si rischia di mandare a monte un'intera stagione. Non ci posso giurare ma credo che queste parole abbiano tormentato i sogni di Eli Tomac sabato notte.
Ma andiamo in ordine.
Ken "il guerriero" Roczen ha fatto vedere che il suo recupero è pieno, e lo ha dimostrato alla grande. Il tedesco, beniamino della folla assieme a Reed, non solo ha fatto segnare il miglior tempo in prova, ma ha lottato come un leone tutta la sera, chiudendo quarto in finale. Forse le indicazioni più significative sono arrivate da come abbia recuperato delle brutte partenze: se da un lato dovrà per forza migliorare la sua tecnica per adattarsi al nuovo start, dall'altro si è visto chiaramente come Kenny non stia guidando di conserva, magari cercando di proteggere il braccio sinistro. Nella heat di qualifica ha avuto qualche bel contatto con Musquin, e in finale non si è tirato indietro una sola volta quando c'era da suonare la carica in mezzo al gruppo. L'unico rischio lo ha corso sulla piccola sezione ritmica dopo la prima curva, la stessa che ha visto molti piloti andare a terra e che è costata a Tomac forse più della semplice vittoria.
Ma prima di passare al grande sconfitto di A1 parliamo velocemente di una conferma, Jason Anderson, e di una grande sorpresa, il resuscitato Justin Barcia. Anderson non ha bisogno di presentazioni, anche il suo nome è sempre l'ultimo a venir fuori quando si parla di potenziali vincitori. Jason ha vinto qui nel 2016 e la sua vittoria più recente in un Supercross è stata Las Vegas 2017. Eppure gli manca ancora qualcosa, certamente non la velocità quanto piuttosto la costanza nei risultati, derivante forse da una guida un po' troppo sporca che non gli permette di trovare il giusto feeling con tutti i tracciati. Di sicuro è uno che non si tira indietro quando arriva il momento di dare qualche spallata, e onestamente quando in finale ha raggiunto Barcia, tutto lo stadio si aspettava di assistere ai fuochi di artificio tra i due piloti più fisici del Supercross. Invece Justin si è quasi fatto da parte, evidentemente contento di portare a casa un podio quando meno di tre mesi fa stava pensando di ritirarsi e meno di un mese fa non sapeva ancora con che moto avrebbe corso nel 2018. "Sicuramente un'altalena di emozioni che mi ha insegnato molto - ha detto Barcia in conferenza stampa - passare dalla voglia di ritirarsi ad un podio ad Anaheim 1 è una sensazione fantastica. D'ora in poi non darò più nulla per scontato, il mio contratto con Yamaha prevede solo sei gare ma so per certo che hanno le risorse per gestire tre piloti se davvero lo vogliono (gli altri due sono Webb e l'infortunato Millsaps - Nda). La chiave per il mio destino è in mano mia, correrò gara per gara cercando di dare il meglio e spero che se avrò fatto bene il mio lavoro Yamaha mi confermerà anche per il resto del campionato".
Chi non ha certezze e sicuramente non sta sorridendo in questo momento è Eli Tomac. L'ufficiale Kawasaki è stato veloce tutto il giorno, pur non apparendo mai veramente fluido. In finale ha azzeccato lo start e sembrava in grado di staccare tutti, specialmente dopo aver fatto segnare il giro veloce. Ma, in un modo che ormai non sorprende più nessuno, Eli sotto pressione ha ancora una volta buttato tutto al vento ed è caduto sulla sezione ritmica di cui dicevamo sopra. Ha battuto la spalla sinistra (ma pare che non sia niente di grave) e soprattutto è rimasto completamente disorientato, tanto che dopo essere ripartito molto indietro si è fermato nuovamente per allacciare i pantaloni che si erano aperti durante la caduta. Uno spettacolo quasi comico, esposto in maniera impietoso dalla televisione in diretta planetaria, che la dice lunga su quanto la caduta improvvisa abbia sconvolto un pilota che non fa certo della forza mentale la sua punta di diamante.
A frittata fatta, e praticamente ultimo, Tomac ha poi deciso di darci un taglio e dirigersi ai box anzitempo.
Vedremo quanto questa débâcle influirà sul suo campionato, anche in funzione del fatto che il suo nemico numero 1, Marvin Musquin, ha colto una vittoria fantastica ma anche abbastanza scontata. Il francese ha guidato la sua KTM Red Bull al limite (prova ne sia che a 6 giri dalla fine è quasi caduto anche lui sulla stessa sezione che ha atterrato Tomac) ma sempre danzando come solo lui sa fare. Personalmente sono convinto che sia nelle cronometrate del pomeriggio che nella sua heat di qualifica MM25 si sia tenuto un po' coperto, per fare un po' di tattica. Non sarebbe la prima volta che un francese si comporta in questo modo, come dimostrano gli illustri precedenti di Jean Michel Bayle e, recentemente, Christophe Pourcel.
Quando è scattato il via del Main Event, però, i 60mila di Anaheim hanno potuto vedere per la prima volta il vero Marvin e anche se Tomac non fosse caduto è lecito pensare che la sua non sarebbe comunque stata una cavalcata solitaria. "Vincere qui è fantastico - ha detto poi Musquin - anche perché sostituire Dungey come pilota numero 1 del Team non sarà mai facile, non solo per quanto a vinto ma per la grande persona che è. L'anno scorso da me ci si aspettavano dei piazzamenti a podio, ma da quest'anno devo vincere, quindi è bello poter iniziare subito bene. La pista stasera non era molto tecnica (Anaheim 1 non lo è mai, proprio per aiutare i piloti ad entrare in modalità "full race") - Nda) per cui abbiamo guidato tutti al limite per poter trovare quel mezzo secondo di vantaggio sugli avversari, io stesso ho quasi fatto un disastro a pochi giri dalla fine".
Come già detto e ridetto, Anaheim 1 non vale un campionato, ma le indicazioni sono importanti: allo stato attuale Musquin ha l'enorme vantaggio di una tecnica di guida sopraffina, che lo aiuta in tutte le situazioni. Curva stretto, gestisce in modo splendido i "wheel tap" sulle ritmiche più intricate e ha sempre un asso nella manica da giocarsi quando la partita si fa intensa. I suoi due limiti più grossi, invece, sono la tecnica sulle whoops e un punto di domanda sulla capacità di essere aggressivo e "cattivo" quando serve. Le whoops più profonde (qui le chiamano "giant" o "monster"), come molti di voi avranno già notato, Marvin le salta due o tre alla volta, mentre praticamente tutti gli altri piloti le affrontano galleggiando sulla cima, tenendo una marcia alta. Non so esattamente quale delle due tecniche sia la meno rischiosa, ma ad occhio la seconda sembra la più redditizia in termini di velocità. E probabilmente anche quella meno sensibile al cambiamento della pista con il passare dei giri. La guida precisa di Musquin gli permette comunque di saltare e gestire ogni cambiamento, e comunque nelle piste più tecniche saranno altri i punti in cui saprà fare la differenza. Per cui secondo me, da quel punto di vista il "vero" MM25 non è ancora uscito. Rimane l'aspetto fisico, che un po' sconfina anche in quello mentale. Psicologicamente il francese è sicuramente granitico, altrimenti non vinci le tre manche della Monster Energy Cup in scioltezza quando c'è in palio un milione di dollari. Dal punto di vista della fisicità invece non so esprimermi. Credo che le vere risposte arriveranno più avanti in campionato, quando sarà il momento di confrontarsi più da vicino con torelli come Anderson, Roczen, Barcia, Baggett o lo stesso Tomac, che come noto non sono esattamente leggiadre ballerine.
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TheBerronespolo, Rosignano Monferrato (AL)Musquin guida benissimo, mi piace molto, pulito e tecnico. Ricorda James Stewart nella pulizia delle uscite di curva e nella posizione in sella anche se JS7 nella fase aerea rimane inavvicinabile. Sarà una bella lotta con Tomac, non è detto che vinca Eli.
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TheBerronespolo, Rosignano Monferrato (AL)ET3 si è ritirato per il dolore alla spalla, si è solo fermato a rimettere la clip ed è ripartito, poi ha sentito male.