Intervista a Chaleco Lopez: "Il mio obiettivo è la Dakar"
Francisco Lopez, Teno, provincia di Curiacò, 15 settembre 1975, è uno dei tre fuoriclasse della disciplina dei Rally, insieme a Cyril Despres e Marc Coma. Dominatore per oltre un decennio, dal 1989 al 2000, della scena del Motocross sudamericano, una volta passato all’Enduro Lopez è stato il primo Pilota cileno a ottenere una medaglia d’oro alla Sei Giorni Internazionale di Enduro. Dopo la vittoriosa partecipazione al Rally Costa del Galo del 2001, Francisco Lopez è approdato definitivamente ai Rally nel 2005, partecipando al Patagonia-Atacama che ha vinto l’anno successivo. L’esplosione del talento di Lopez data del 2006, anno alla fine del quale, dopo i secondi posti ottenuti in Sardegna e Marocco, diventa il migliore Pilota del Mondo nella Classe fino a 450cc, l’attuale classe regina del Mondiale. L’anno successivo Lopez partecipa alla sua prima Dakar, e nel 2010 ottiene il suo miglior risultato con il memorabile terzo posto assoluto e il primo della categoria fino a 450cc. Il nickname di Francisco Lopez, “Chaleco”, è un
omaggio al padre Renato, anch’egli Pilota, che era solito correre con un gilet di lana confezionato dalla moglie Ana Maria.
Bordone-Ferrari Racing Team Rally
Il 22 Marzo 2012 Lopez entra a far parte del Bordone-Ferrari Racing Team Rally, ed il suo debutto con la Squadra milanese avverrà con il Sealine Rally del Qatar, seconda prova del Mondiale, il 15 Aprile prossimo. Campionato del Mondo Cross-Country Rally e Dakar 2013 in programma.
L'intervista
L’intervista è stata fatta in località Nido dei Condor, Nord di Santiago, dove Francisco Lopez e Renato Ferrari si sono incontrati, per un giro in moto e per definire i “dettagli” dell’operazione.
Dakar 2012. Una buona esperienza poiché eri reduce dal brutto incidente del Tunisia 2011.
«Per me è stata una vera e propria sfida personale. Dopo l’incidente in Tunisia, e dopo aver partecipato al Pharaons veramente a corto di preparazione, il mio obiettivo era portare a termine la Dakar, a Lima, non certo dovermi fermare a Copiapò. Vincere la prima tappa è stato fantastico. Mi sarei accontentato del 10°-12° posto, e al termine della PS mi è venuto da piangere per l’emozione. In quel momento mi sono sentito come se avessi vinto la mia sfida. Ma c’era un’altra ragione, una sfida ancor più importante. Ho un nipote che ha avuto un cancro, e con lui avevo fatto un patto. Io, lavorare forte per tornare competitivo alla Dakar. Lui, più forte ancora per uccidere il tumore. Questa è stata la mia grande motivazione. Quando sono arrivato in Cile l’équipe dei medici della clinica Las Condes, che mi segue tuttora, mi ha detto che stavo bene, che ero a posto. Pur non avendo un gran feeling con la moto, si “muoveva” troppo, ho deciso di provarci. Sono partito forte ma sono caduto, procurandomi lo stiramento dei legamenti di un ginocchio. Decadute le condizioni, e con un feeling impossibile con la moto, d’accordo con i medici ho preso la decisione: fermarmi (leggi l'articolo). Meno male che non è successo niente di grave».
Poi la pausa, e il pensiero al futuro.
«Quando è finita la Dakar, OK, decisioni rapide. Grazie all’Aprilia, grazie alla gente della Fabbrica e della filiale cilena, grazie al Team Giofil, ma avevo bisogno di cercare il Team migliore per innalzare finalmente il mio livello di competitività. Ho avuto un piccolo meeting con la KTM ufficiale, un contatto con Gas-Gas e anche con Honda, che si è detta intenzionata a tornare alla Dakar con una moto ufficiale. Una proposta importante, soprattutto economicamente. Poi, grazie a Gerard Farres, che era stato mio portatore d’acqua, si è profilata l’ipotesi Bordone-Ferrari. Ho conosciuto Renato Ferrari, le grandi motivazioni, il fatto di poter contare sull’esperienza di Jordi Arcarons messa a disposizione del Team. Ho deciso istantaneamente».
Renato Ferrari. Che impressione ti ha fatto la prima volta che lo hai visto?
«Un appassionato. Completamente appassionato. Una persona facile, che non si lascia fermare né rallentare da alcun problema. Renato è costantemente teso in avanti e ispira una fiducia immediata e completa. Ma
prima di tutto ti colpisce la sua grande passione. “Ho un problema” - provo a dirgli. “Quale problema? Nessun problema!”- mi risponde – “OK, facciamo così. E OK, OK, OK, avanti”. Sempre avanti, con una forza inesauribile. Questo Renato ce l’ha dentro. Lavorare così è facile, comodo, e crea un rassicurante clima di entusiasmo in una Squadra che è una “nazionale” dei Rally. Renato ha riunito grandi Piloti, tecnici, talenti, personaggi. Conosco tutti».
Agonisticamente sembri un Pilota “solitario”, uno che non ha bisogno di nessuno. È così?
«Sì è no. In gara faccio la mia corsa senza pensare ad altro. Penso a me stesso, com’è logico. Ma c’è sempre qualcuno alle mie spalle, come i medici e lo psicologo della Clinica di Santiago. Certo, l’anno scorso dovevo fare anche il manager, pensare ai rapporti con Aprilia, con gli sponsor, ad organizzarmi per correre. Il Bordone-Ferrari è un Team “troppo” buono, un’équipe completa di logistici, manager, meccanici, ed è più facile lavorare e pensare soltanto a essere pilota, sapendo di avere alle spalle una struttura così forte. È un’organizzazione che mi ricorda i tempi della KTM ufficiale».
Il problema fondamentale, se c’è stato, della relazione con Aprilia.
«L’Aprilia ha un grande motore, potente, veloce, affidabile, l’architettura ideale per i Rally. Con la gente di Aprilia, con l’ingegner Dall’Igna, una persona speciale, con il Team e con Filippo Assirelli, ho avuto un buon rapporto. Mi hanno fatto vincere in Tunisia, quattro tappe ed il terzo posto alla Dakar. Li ringrazio per questo. Il problema è che per essere competitivi alla Dakar bisogna fare molti test, in Italia, in Tunisia, Marocco, non soltanto correre in gara».
E tutto questo, e altro, l’hai trovato ancora in Italia, lontano da casa tua.
«Mi piace l’Italia, ho buone relazioni con la gente, mi piace tantissimo la passione italiana. Vengo a vivere per qualche mese in Italia e mi sento italiano. Per stare davanti in una Dakar ci vuole un’organizzazione molto forte ed un programma altrettanto energico, e tutto questo è nel progetto Bordone-Ferrari. Sei gare, ma fossero state otto, o dodici in calendario, le avremmo fatte tutte. Tre mesi li passeremo in Italia, altri tre ad allenarci in Marocco, e dopo il Sertoes in Brasile, altri test nel deserto sudamericano. In Italia i tecnici lavorano senza sosta, sviluppando la nuova moto Bordone-Ferrari, intanto continuiamo ad allenarci ed a correre con le KTM. A gennaio prossimo sarò pronto, se non a vincere, certamente a lottare per vincere la Dakar 2013. Quella gara inizia per me adesso, con il mio lavoro lontano da casa, ma con una nuova casa. È un programma duro, ma è la mia professione e lo faccio volentieri a condizione che ne valga la pena. Ho parlato con Renato, gli ho chiesto di “usarmi” come pilota-test, di contare su di me e farmi fare chilometri, test, road book, gare… Mi ha risposto come sempre: “Che problema c’è?”. Andiamo avanti».
All’orizzonte anche la Bordone-Ferrari da Rally. Che cosa pensi al riguardo?
«Stanno lavorando forte, sulla nuova moto Bordone-Ferrari. Per me sarebbe comodo partire, correre e tornare
a casa. Ma mi piace il lavoro che stanno facendo in Italia con così tanta passione, e mi piace l’idea di sviluppare la moto fino a che sarà competitiva con la KTM. Il nostro accordo prevede che io possa scegliere con quale moto correre e, “mira”, voglio fare una buona Dakar, ma se la nuova moto sarà già competitiva sicuramente correrò con una Bordone-Ferrari. Vedo un’enorme passione al lavoro, sono un grande appassionato anch’io, e per me partecipare ad un progetto non è solo mettermi una nuova maglia, è full!».
Nel mirino, a distanza ancor più ravvicinata, Coma e Despres. Come batterli?
«Sono entrambi molto Forti. Per mia sfortuna mi è toccata un’epoca con due piloti che sono una macchina da guerra. Ma la Dakar si vince con una moto buona, ma anche con una struttura… molto buona. Se hai una struttura che ti offre test, gare, organizzazione e tutto quello che serve, puoi vincere. La fortuna non esiste, o meglio, un po’ serve sempre, ma la cosa più importante è essere perfettamente allineati alla partenza. Coma e Despres sono fortissimi, ma lavorando bene è possibile avvicinarli. E una volta avvicinati, è possibile far succedere quel qualcosa… Quello che manca adesso è… lavorare con Jordi Arcarons. Test, gare, road book in Sardegna, strategia, velocità alla Baja in Spagna, esperienza, allenamento in Africa e Sud America, arrivare alla fine di agosto al 100% e in Egitto al top».
Una vita lontano dal Cile e dai tuoi cari. Pesa?
«Dopo quello che mi è successo lo scorso anno in Tunisia, normalmente un pilota pensa a smettere. Ma ci sono tre motori molto importanti he mi spingono avanti. Il primo è la mia passione. Non so quando sono salito in moto per la prima volta, non me lo ricordo perché ero troppo piccolo. Il secondo è che la prossima Dakar terminerà in Cile, a Santiago. Il terzo è il Bordone-Ferrari Racing Team, l’occasione di poter correre con una grande Squadra che ripone in me la sua fiducia. Per questo lasciare la mia famiglia, la fidanzata, il Cile, gli amici per un anno intero ed affrontare una vita così intensa e rapida, piena, è una cosa che faccio volentieri. Perché vale la pena. Sono troppo felice».
Piero Batini
Anche il Chaleco in cappa )-:
Vai Chaleco
Incrocio le dita per la sua nuova avventura.