Marco Aurelio Fontana: un cuore e un manubrio alle Olimpiadi
A quattro anni il suo destino era già segnato. Da una parte la prima bici, dall’altra l’Italjet rosso: impossibile scegliere, meglio imparare a guidarle bene entrambe. E ci è riuscito, così bene da correre in Mountain bike le prossime Olimpiadi di Londra. Marco Aurelio Fontana, milanese di Giussano, 27 anni. Muscoli d’acciaio, fisico asciutto e un grande cuore diviso tra la Mountain Bike, le moto, la famiglia e gli amici. Un nome importante dato dal papà Giuseppe e dalla mamma Graziella, famiglie di origini calabresi e bresciane: genetica capace di creare un mix unico di determinazione e voglia di vincere, senza mai perdere il piacere di vivere.
Il Cross Country alle Olimpiadi
Campionati Italiani, un mondiale a squadre e aver ottenuto un quinto posto alle Olimpiadi di Beijing, oggi è nei primissimi posti della Coppa del mondo e si prepara per Londra «Mi sento bene, devo solo pensare a correre, ho una squadra fatta da persone eccezionali. Le Olimpiadi sono una cosa unica, hanno una visibilità immensa. Ricordo ancora la telefonata dei miei genitori nel 2008, mi fece commuovere perché per loro era già eccezionale che io fossi lì. Allora ho corso con la spensieratezza di un ragazzino, oggi ho più responsabilità ma anche più tecnica e più forza» (Il video dell'arrivo di Fontana, dal min. 9:40). E poi c’è l’aiuto della sua ragazza (moglie dopo le Olimpiadi), Elisabetta, psicologa dello sport e appassionata motociclista «Devo focalizzarmi solo sulle cose positive, mai pensare ai miei punti deboli sul percorso».
Due ruote, una sola passione
«Io non mi sono mai sentito semplicemente un ciclista, ho sempre sognato di correre in moto e di fare il pilota. Il numero con cui corro, il 22 è armonioso ed elegante e ci correva Jean Michel Bayle (più noto per il 111 ndr), ci corre Reed e anche una Porsche che ha vinto a Le Mans». Nel garage di Marco Aurelio oggi ci sono, oltre a un’infinità di biciclette e a una Porsche Cayman S (la passione per la velocità si estende a tutti i motori), quattro moto. Si passa dall’amatissima Gas Gas 250 2T, alla compagna di viaggi XT 600 «la 500 costava troppo», alla Gilera 150 del 1955, alla rarissima Cannondale SM 440 Motard trovata a Madrid. Le
accompagnano la Kawasaki Er600 di Elisabetta e la BMW GS del papà Pino «con cui quest’estate sono riuscito ad impantanarmi in vacanza sulla sabbia». Ma per le mani di Marco Aurelio sono passate anche l’Husqvarna 125 Motard, la Ktm 450 Exc «…e tante altre. Il mio desiderio sarebbe di acquistare o cambiare una moto all’anno. Adesso sono sulle tracce della CB 500 Four del papà del mio allenatore…». La passione per le corse, che all’inizio aveva coinvolto anche suo fratello Damiano, è venuta da sola. «Le prime gare in bici le ho fatte nel 1997 nel Ciclocross perché correre in un fettucciato era il massimo. Mi sentivo in moto! Non avevo tanta forza nelle gambe ed ero costretto a recuperare andando più forte degli altri in curva». Nel 1998 i quattordicenni sognavano il Malaguti Phantom, ma Marco Aurelio riuscì a convincere i genitori a regalargli il Fifty 50, 3 marce, raffreddato ad aria. «Divoravo le riviste che mio papà comperava. I miei idoli sono tutti i “precursori”, quelli che hanno inventato uno stile: Roberts per il ginocchio, McCoy per i traversi, Valentino, JM Bayle, McGrath e chi ha l’eleganza nella guida come Salminen».
Il piacentino una terra ideale
Milano - Piacenza. Una tratta percorsa da Fontana in ogni stagione e con ogni mezzo per infinite volte. Prima in treno, poi in moto, infine in macchina. E’ infatti a Piacenza che ha sede la squadra che scopre il suo talento e lo fa crescere fino alla consacrazione Olimpica del 2008, l’Hard Rock. A Piacenza Marco Aurelio trova più di una squadra, trova una filosofia di fare sport che lui abbraccia in pieno. «A 16/17 anni, i miei amici mi
guardavano un po’ storto, loro andavano a ballare e io partivo col Nissan Vanette per correre. Ma la passione che mi hanno trasmesso Domingo Copelli, il mio allenatore di allora e Marco Bocellari, Team Manager “The boss” è qualcosa di straordinario. Noi ci divertivamo davvero e allenarmi non era un peso esagerato. Ancora oggi mantengo questo spirito». A Fiorenzuola D’Arda Marco Aurelio trova un’altra persona fondamentale, Davide Rizzi, proprietario del Mathis, albergo che prende il nome da un’auto francese di primi del 1900. Davide, collezionista di auto e moto d’epoca, con la sua amicizia aiuta Marco Aurelio a superare i momenti duri di un giovanissimo pendolare dello sport, fino a quando lo stesso Fontana decide di trasferirsi definitivamente in zona.
Allenamenti, tecnica, controlli antidoping
«Seguo un programma quotidiano, arrivo a 25 ore di allenamento alla settimana. Ma non sarò mai uno che rinuncia a un piatto di polenta col cinghiale per seguire tabelle di alimentazione esasperate. Non sono un “sabbione”, fissato su queste cose». Impugnare un manubrio è la cosa più naturale per Marco Aurelio «che sia di una moto o di una bici mi sento a casa. La moto aiuta a guardare avanti sul sentiero, a prevedere l’ostacolo. La bici devi imparare a farla correre, è più simile a un 2T che a un 4T». «Oggi ti giochi le gare sulla scelta delle gomme, della pressione dei pneumatici. Col mio meccanico Giacomo Angeli sono tranquillo. So che la bici sarà
perfetta, la forcella tarata come piace a me, con le basse velocità dure in compressione. Se la bici va bene, senti la gamba che gira, non butti via un metro, spondi, sali e scendi con un ritmo che ti fa sentire in Paradiso». E riguardo al doping «Abbiamo controlli quasi da persone in libertà vigilata, tutti i giorni dell’anno dobbiamo essere reperibili in un certo orario per i controlli a sorpresa. Eppure io non voglio nemmeno pensare che ci sia qualcuno che stia barando. E poi, se io riesco a vincere non bombandomi, significa che non lo fanno nemmeno gli altri. Anche agli amatori dico di lasciare perdere qualsiasi aiuto, è una stronzata. Ciò che conta è l’equilibrio che ciascuno deve trovare dentro di sé».
Un cuore grande
Due ruote, una sola passione. Un cuore grande al posto del motore, capace di far sprigionare 400 Watt ai suoi pistoni, le gambe. Vediamo già Marco Aurelio alle Olimpiadi. Sguardo concentrato, schiena dritta, peso in avanti, muscoli tesi, pronto a dare gas a manetta, ascoltando il ritmo del percorso, con un battito veloce tanto per la fatica quanto per l’emozione e il divertimento che prova per quello che fa. E sotto gli occhiali scuri è facile immaginare occhi felici di un ragazzo che sta dando sicuramente il 100% di sé. Per la sua famiglia, la sua squadra, i suoi amici, tutti i suoi tifosi e per l’Italia di cui porta sempre orgogliosamente i colori sulla maglia. E proprio in quel momento lo senti. E’ il rumore dello scarico della sua bici, a due tempi. Gas Marco Aurelio, alle Olimpiadi apri a tutto GAS!
il grande cuore di marco
ho trovato perfettamente calzante la similitudine tra la bicicletta e la motocicletta col motore a due tempi: le dinamiche di guida in accelerazione e in rilascio si somigliano davvero tanto.
infine vedo tanta umiltà nell'atleta che accomuna le due esperienze di guida sportiva col motore e senza e condivide con i due generi tecnica e stile, senza fare uso di "additivi" quando pedala, e forse neppure quando corre "a motore": l'importante e che il motore (come pure il fisico) stia "perfettamente messo a punto", alimentare il motore con la nitroglicerina anzichè con la benzina a 95 ottani serve solamente a farlo sgangherare, allo stesso modo dicasi per il fisico.
grande marco!
Grandissimo Marco!
In bocca al lupo!
ps: forte anche il corsaro ;)