intervista

Superbike. Sacchetti (GoEleven): “Non siamo in Superbike solo per partecipare”

- Il team italiano è impegnato in tutte le classi dei campionati delle derivate dalla serie ed al debutto in Superbike ha ottenuto ottimi risultati con il rookie Roman Ramos
Superbike. Sacchetti (GoEleven): “Non siamo in Superbike solo per partecipare”

Miracolo italiano. In questi ultimi anni, caratterizzati dalla crisi economica, sono stati davvero pochi i team che hanno scalato tutti i gradini dei campionati delle derivate dalla serie, per passare dalle classi stock al mondiale Superbike. Il team GoEleven rappresenta una gradita eccezione. Dopo anni di militanza in stock 600 e 1000, la squadra italiana ha aggiunto ai propri impegni prima il mondiale Supersport e da quest’anno anche la classe regina. Per molti appassionati il team GoEleven è legato al ricordo di Andrea Antonelli, che faceva parte di questo team nel 2013, quando perse le vita all’autodromo di Mosca. Una tragedia che non ha fermato il progetto della squadra di Gianni Ramello e Denis Sacchetti, che hanno proseguito nel proprio impegno, nel ricordo di Andrea.


Un impegno davvero notevole perché quest’anno il GoEleven partecipa a ben quattro categorie con un totale di 6 piloti : 1 in Superbike, 2 in Supersport, 2 in Stock 600 ed 1 in Stock 1000.

Serietà, determinazione e lavoro. Queste le chiavi del successo della compagine italiana che in Superbike sta raccogliendo risultati che vanno al di là delle più ottimistiche previsioni. Roman Ramos, a sua volta al debutto nella classe maggiore, è attualmente tredicesimo in classifica, davanti a piloti come Camier, Salom e De Puniet. Solo lui e Rea sono stati sino ad ora in grado di concludere tutte le gare alle quali hanno partecipato. Se si escludono la prima gara, quella del debutto assoluto a Phillip Island e la prima gara di Portimao (in entrambe le gare Ramos ha ottenuto il sedicesimo posto) il pilota del team Go Eleven è sempre andato a punti. Risultati sorprendenti, frutto del lavoro di valenti tecnici, ma anche del talento del pilota spagnolo, che si è integrato perfettamente nello spirito della squadra italiana e nel suo progetto, che non prevede soste, perché ad iniziare da Denis Sacchetti, ex pilota e team manager, la compagine italiana non si accontenta solo di partecipare.
 


Denis Sacchetti

Denis Sacchetti come è nato il team GoEleven?

«Il team GoEleven è nato inizialmente per supportare Ruben Xaus (il pilota spagnolo utilizzava il numero 11). Io sono entrato in questa squadra come pilota, nella categoria Stock 1000 ed ho quindi conosciuto Gianni Ramello, uno dei dirigenti storici del team. L’anno successivo, soprattutto a causa di un brutto infortunio alla schiena, decisi di appendere il fatidico casco al chiodo ed accettai la proposta di Ramello di collaborare come team manager. Un lavoro impegnativo perché il team è cresciuto costantemente ed ora partecipa a tutte e quattro le categorie delle derivate dalla serie».

 

Questo è il vostro primo anno in Superbike.

«Sì, siamo nell’anno del debutto. Un impegno importante per un team piccolo come il nostro. Grazie alla politica dei piccoli passi siamo cresciuti anno dopo anno, sino ad arrivare in Superbike, dove contiamo di rimanere. La nostra parola d’ordine è “continuità” e quindi non siamo in Superbike solo per fare qualche stagione, ma per proseguire nella nostra crescita».

 

In momenti così difficili come riuscite a far quadrare i conti?

«In un team piccolo, tutte le risorse devono essere sfruttate al massimo e si deve cercare di non disperdere soldi ed energie. Noi non lasciamo nulla al caso. Quello che serve non deve mancare ma allo stesso tempo non deve esserci nulla di superfluo. Ci sono ancora degli aspetti della nostra attività che devono essere implementati, ma lo faremo solo quando il budget ce lo consentirà. Nel frattempo cerchiamo di dare il massimo con quello che abbiamo».

 

Qual è la voce più gravosa del vostro budget?

«Senza dubbio le trasferte ed il personale. Quest’anno dovremo sostenere il costo di ben sei trasferte extra europee e le spese sono davvero notevoli».

 

Dorna vi aiuta?

«Dorna cerca di aiutare tutti, ovviamente con un occhio di riguardo per i piloti ed i team più importanti, per i protagonisti. Noi dobbiamo ringraziare il promoter spagnolo, senza il quale non avremmo avuto la possibilità di prendere parte alla classe regina. E mi riferisco soprattutto ai nuovi regolamenti, che hanno ridotto il gap tra privati ed ufficiali. Però se posso fare un appunto a Dorna è quello di non aiutare i team privati ad avere una maggiore visibilità. Gli ufficiali hanno i mezzi per promuoversi da soli, mentre noi privati avremmo bisogno di un aiuto, di una visibilità che ci permetterebbe di trovare nuovi sponsor e quindi di crescere».

 

Vogliamo sfatare la leggenda secondo la quale Dorna aiuti economicamente chi ha un pilota spagnolo?

«Questa è una di quelle voci che girano da tempo tra gli addetti ai lavori, ma che non ha nessuna veridicità. Anzi vista la quantità di piloti spagnoli presenti ora nel nostro campionato, Dorna sarebbe certamente più contenta se ad esempio noi avessimo un pilota tedesco, americano o australiano. Comunque sia posso garantire che Dorna non influenza in nessun modo la scelta dei piloti».

 

Inizialmente sembrava che il vostro pilota fosse Jordi Torres.

«Tramite Xaus siamo entrati in contatto con il suo manager perché Jordi voleva correre in Superbike. Ad Aragon provò una Kawasaki andando subito molto forte. Era tutto a posto e mancavano solo le firme sui contratti, quando è arrivata l’Aprilia. Parlando da ex pilota posso capire la sua scelta. E’ difficile rinunciare ad un team come quello di Noale, soprattutto se l’alternativa è di correre con dei debuttanti in Superbike».

 

Quindi ad un mese dall’inizio del campionato eravate senza pilota e senza moto.

«Gli inizi non sono mai facili, ma il nostro fu davvero traumatico. Quando Torres ci ha comunicato la sua decisione, ci siamo messi alla ricerca di un altro pilota, ma eravamo a Gennaio ed abbiamo temuto di dover rinunciare alla Superbike, anche perché la moto tardava ad arrivare. Il problema principale però era il pilota, perché non ci volevamo accontentare. Non cercavamo un pilota con la valigia e nemmeno uno che corresse solo per partecipare. Ci serviva un pilota motivato, contento di far parte del nostro progetto. Fummo molto fortunati ad incontrare Ramos e a meno di un mese dalla prima gara arrivò anche la nostra Ninja. Potevamo confermare la nostra partecipazione alla Superbike. I nostri tecnici hanno lavorato giorno e notte e sono riusciti a preparare la moto giusto in tempo per infilarla nella cassa e spedirla a Phillip Island. Quando in Australia il nostro pilota in gara due ha ottenuto il decimo posto non credevamo ai nostri occhi».

 

Ramos si è dimostrato subito un pilota molto costante.

«Siamo molto contenti di lui. Roman ci sta mettendo un impegno ed una determinazione incredibili. Impara in fretta le piste, ma soprattutto sta cambiando il proprio stile di guida e sappiamo che non è una cosa facile. Ramos proviene dalla Moto2 dove viene richiesta una guida completamente diversa rispetto alla Superbike, ma lui sta lavorando molto su se stesso ed i risultati stanno arrivando».

 

E per il prossimo anno?

«Il nostro progetto prevede di proseguire in tutte le categorie così come quest’anno. Il sogno sarebbe di fare una seconda Superbike, ma ovviamente è tutta una questione di budget. Non vogliamo scendere a compromessi e quindi o riusciremo a fare due moto competitive oppure continueremo con una sola. L’obiettivo è quello di raccogliere nel 2016 parte del lavoro che abbiamo svolto quest’anno. Ci piacerebbe proseguire con Roman e penso che anche lui sia d’accordo, visto che avrebbe poco senso aver lavorato assieme per un solo anno».
 


Roman Ramos

Come mai hai deciso di passare in Superbike?

«Dopo anni trascorsi nel CEV Supersport e nel mondiale Moto2 ho capito che senza un team competitivo avrei continuato ad arrivare oltre il quindicesimo posto in Moto2. Una strada che non mi avrebbe portato da nessuna parte. Essendo ancora giovane ho pensato che la Superbike potesse essere un campionato che mi avrebbe aiutato a migliorarmi e a crescere. E ora posso dire di aver fatto la scelta giusta. Qui mi piace tutto. La squadra, la moto e l’ambiente del paddock. Sono felice».

 

Non conoscevi la Superbike ed hai scelto un team al debutto. Un bel salto nel buio.

«E’ stato Ruben Xaus a presentarmi il team GoEleven. Mi disse che era composto da gente onesta ed appassionata ed è proprio così. Il mio non è un team ufficiale, ma lavora molto bene. La moto funziona e va forte. GoEleven è stata la scelta giusta. Ho visto la mia moto per la prima volta a Phillip Island e non conosco molte delle piste sulle quali corriamo, ciò nonostante andiamo sempre a punti ed ultimamente entriamo nella top ten. Sono proprio i risultati che speravamo di ottenere».

 

Tra i piloti Superbike chi ti ha impressionato di più?

«Mi piace molto come guida Rea, ma chi mi ha impressionato davvero è stato Biaggi. A Misano mi sono trovato vicino a lui. Guidava pulito, senza forzare ed ho pensato “Non va forte, posso stare con lui”. Dopo due curve quasi non lo vedevo più. Max ha uno stile perfetto, unico, sembra non forzare mai, ma in realtà è sempre velocissimo».

 

Dopo questa prima e soddisfacente stagione in Superbike cosa vorresti fare il prossimo anno?

«Spero di restare con il team GoEleven. Come dicevo prima mi trovo perfettamente a mio agio con questa squadra e vorrei proseguire con loro anche per sfruttare l’esperienza che stiamo facendo insieme e che il prossimo anno ci permetterà di fare ancora meglio».  

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