Eurasian Coast To Coast: diario di bordo pt. II
Istanbul - Sinop - Rize - Tbilisi – Stavropol
Turchia - Georgia - Russia
Siamo al quarto giorno di questa seconda tappa del nostro viaggio che ci porterà da Istanbul a Novosibirsk, capitale della Siberia.
Non ho scritto nulla finora perché le giornate sono state dense e di una bellezza letteralmente indescrivibile.
Abbiamo finora percorso 2.700 chilometri in 4 giorni e attraversato due frontiere di quelle "vecchio stile" dove solo per controllare documenti e moto e bagagli siamo stati fermi due ore ciascuna.
Nei primi due giorni abbiamo costeggiato tutto il Mar Nero fino all'estremo oriente della Turchia, un paese che mi ha stupito, meravigliato, contagiato: tutto.
Istanbul è una città meravigliosa, ed è secondo me più di ogni altra città al mondo in questo momento il simbolo del cambiamento che sta avvenendo a livello culturale e sociale.
Lei che si divide tra Europa ed Asia, tra oriente ed Occidente, tra la fede mussulmana e quella Cristiana è la dimostrazione pratica che non servono dogmi o isterismi, il mondo e la società sono capaci di auto livellarsi, purché ci siano regole a cui far riferimento.
È una città che cresce ad una velocità allucinante, dove si è costruita la più grande moschea del paese alta 35 piani in un anno e mezzo, dove negli spartitraffico delle vie di comunicazione che attraversano una città di milioni di abitanti ci sono aiuole degne del miglior golf club italiano.
Dove, a mio avviso, giovani turchi come il mio nuovo amico Can Okay possono sperare e costruire un futuro migliore più facilmente che in qualsiasi altro paese della nostra "cara" e vecchia Europa.
Nei primi due giorni abbiamo costeggiato tutto il Mar Nero, fermandoci a Sinop la cittadina dove per colpa di un misunderstanding diplomatico tra un ambasciatore eccentrico ed uno che aveva sulle scatole i Russi per questioni personali, di fatto iniziò la guerra di Crimea, la prima guerra documentata in diretta, già nel 1850!
Il terzo ed il quarto giorno, cioè gli ultimi due, credo siano stati finora i due giorni più belli che io abbia mai fatto a bordo di una moto.
Siamo entrati nell'interno della Turchia da Rize entrando nelle montagne del ponto.
La valle che sfocia direttamente sul Mar Nero sembra quasi una giungla amazzonica tanto è verde e lussureggiante, la strada si arrampica velocemente dal livello del mar nero in questa gola strettissima piena di cascate d'acqua su ambedue i due lati che in alcuni casi arrivano quasi a toccarsi e chiudersi a volta sopra la testa, fino ai 2640 metri del passo Ovit Dagi.
Abbiamo percorso il primo tratto sotto la pioggia battente, accanto al fiume ingrossato dalla pioggia e cascate d'acqua ovunque, fino ad entrare verso la sommità in una fitta nebbia che dopo pochi chilometri in prossimità del passo ai 2640 metrit si è diradata per lasciare spazio a una bellissima giornata di sole e un panorama mozzafiato di una valle contrariamente all'altro versante completamente spoglio di vegetazione con delle vette altissime intorno.
Seguendo una valle interna e costeggiando un sistema di dighe davvero grandissime dall'acqua turchese, siamo giunti sull'altipiano di Ardahan che si apre in uno scenario da togliere il fiato degno delle grandi praterie americane.
Qui si respira l'avventura, la libertà, la natura selvaggia degli elementi.
Da qui scalando le montagne del piccolo caucaso siamo entrati in Georgia, per poi riscendere a valle e passare la notte a Tbilisi.
Questa mattina infine abbiamo lasciato Tbilisi per "dare l'assalto" al Kazbegi Pass.
Questo passo che attraversa le montagne del Grande Caucaso è stato nella storia uno dei punti di confronto e scontro tra l'impero russo e ottomano, tra religioni, ed è qui che dall'Asia si rientra ufficialmente nel continente Europeo.
Questo giorno era il "masterpiece" di questo viaggio.
Intorno a questo tratto di strada, a questo tragitto, studiando ore ed ore le cartine su google maps ho costruito l'intero itinerario di questo coast to coast da l'Atlantico al Pacifico.
E non sono stato deluso.
Quasi 200 chilometri tra ascesa e discesa da un lato all'altro di questa immensa, maestosa, affascinate e aspra catena montuosa.
La strada è in ottimo stato e permette di godersi anche la guida, seppur in alcuni tratti stretta e a strapiombo nel vuoto.
Ci sono chiese ortodosse e romaniche conservate in ottimo stato, alcune arroccate su cime impossibili, che a vederle li viene da pensare che quanto meno la fede di chi le costruì doveva essere granitica.
Il luogo, la valle, la natura, tutto ha la severità che si addice al confine tra due continenti e due mondi.
Qui ho anche avuto per la prima volta una idea più chiara di cosa sto realizzando con questo viaggio: guidando la mia moto, la stessa moto con cui pochi giorni fa sono partito da Follonica, da casa, adesso qui in mezzo a queste montagne.
Infine siamo scesi nelle pianure della Ossezia, in territorio Russo, dopo aver trascorso un paio di ore in dogana per formalizzate i documenti relativi alle moto ed alle persone, seppur già in possesso del visto.
Abbiamo percorso ancora circa 400 chilometri per raggiungere Stavropol, gli ultimi duecento dei quali, su una strada completamente dritta che mirava l'orizzonte, in grandissimi spazzi aperti della steppa Russa.
Sarà per reazione alla mia claustrofobia, ma questi grandi spazi mi mettono una grandissima serenità.
Questi sono momenti in cui sento che potrei andare per sempre, ascoltando il rumore del motore e la mia musica preferita, colonna sonora perfetta, di questo momento.
Già la musica... dice di noi più di quanto potremmo raccontare.
Ci racconta più di quanto potremmo ricordare.
Nelle ultime due ore, dove la guida è stata meno impegnativa, poiché la strada principalmente dritta, ho messo il Bluetooth e dato play alla mia raccolta sul cell con la funzione shuffle.
Non sono un intenditore, e per me la musica porta con se sempre una parte visiva: cioè, non capendone molto, tendo ad associare ogni canzone ad un momento o ricordo, come se l'universo della intera musica fosse fatto solo di colonne sonore.
Questo fa si che ad ogni canzone io abbia abbinato un ricordo preciso, e viceversa.
Così ascoltare una playlist casuale dal mio stesso telefono è stato un viaggio in mille ricordi e persone e delusioni e sogni svaniti e realizzati e superati, paure e gioie che la ratio ha nel tempo catalogato ma che quelle note riportano a galla come fosse ora il loro momento.
Dovremmo alcune volte tornare ad ascoltare la musica che ascoltavamo, questo ci aiuterebbe più della memoria a ricordarci chi siamo stati, e quindi a capire perché siamo questi, oggi.
"Scrivo testi solo quando sono triste. Perché quando sono felice, esco!"
Luigi Tenco
Stavropol - Volgograd - Syzran - Ufa - Chelyabinsk - Omsk
Da quando siamo entrati in Russia abbiamo percorso circa 3200 chilometri, abbiamo "scalato" ben 11 gradi di latitudine verso Nord, cambiando dunque di parallelo e 32 gradi di longitudine verso est, cambiando 4 fusorari.
La Russia è il paese dei grandi spazi.
Sono sempre stato affascinato dalle grandi distese degli Stati Uniti, tanto che l'anno scorso seppur fossi stato in America altre volte, volli attraversare guidando gli Usa da NYC a Seattle attraverso i grandi stati del nord (Dakota, Wyoming, Montana) ma quello che la "Grande Madre Russia" offre agli occhi del viaggiatore è davvero di un'altra scala proporzionale.
Tra Stavropol e Volgograd, abbiamo attraversato grandi zone di steppa costituita dalle grandi pianure desertiche prolungamento del Kazakistan e della Mongolia, passando per Elista una città dove la maggior parte della popolazione ha lineamenti fortemente asiatico-mongoli, e dove al centro della città campeggiano monumenti con grandi pagode che richiamano all'Asia e alla Cina.
In questo tratto di strada abbiamo trovato temperature molto alte, cieli azzurri e tersi, il riverbero del sole spesso faceva si che la strada all'orizzonte sembrasse perdersi in uno specchio di acqua luccicante: a lato della strada ho visto cammelli pascolare liberamente.
Nei dintorni di Volgograd abbiamo raggiunto le rive del Volga che abbiamo costeggiato per tutto il giorno successivo fino a Syzran, da dove abbiamo smesso di puntare Nord, per iniziare a puntare est.
Qui molto repentinamente il panorama è cambiato per dare spazio a grandi zone di verde preludio della taiga e delle foreste che ci hanno portato il fresco, quasi freddo, accompagnandoci nell'attraversamento degli Urali.
Il panorama qui è decisamente montano, seppur la cima più alta degli Urali misuri "appena" 2000 metri, nulla in confronto ai 5300 della sommità del Caucaso, ma essendo molto più a nord si deduce che in questa area l'inverno debba essere lungo e rigido.
Gli Urali segnano anche il confine tra Europa ed Asia settentrionale, e Chelyabinsk che è la prima grande città ai piedi di questa catena montuosa sul versante orientale, famosa per la caduta del meteorite due anni fa, ha come simbolo nel suo stemma un cammello sellato, perché di qui passava la via della seta, ed in questa città era il capolinea delle carovane di cammelli provenienti dalla Asia e India: i carichi venivano affidati a carovane di cavalli più adatti al clima europeo e all'attraversamento degli Urali appunto, perché raggiungessero le sue destinazioni in Occidente, tra cui Venezia.
Siamo rientrati in Asia dunque.
Le città che abbiamo attraversato hanno tutte misure consistenti, si parla di un milione di abitanti o più, ma è un concetto molto distante dalle città europee che si fondano per la maggior parte sul concetto di polis.
Il sistema viario è fatto principalmente di statali a due corsie, almeno in questa parte della Russia, ed il trasposto su gomma è consistente, ma a dispetto di quanto mi era stato detto c'è molta educazione alla guida o quanto meno molto rispetto per le moto: capita spesso che anche in caso di traffico intenso vedendoci arrivare le auto e camion si serrino alla loro destra per lasciarci un corridoio centrale dove passare.
In una nazione come questa, per le distanze, il clima, e probabilmente anche la questione economica, in queste zone più remote non si vedono moto e quindi ad ogni sosta "facciamo gente" e foto con chiunque: i Russi, nonostante una difficoltà di comunicazione evidente, parlano in generale poco inglese e la loro lingua è per noi poco intuitiva, sono veramente disponibili e gentili.
Ci si parla a gesti, grande risate, ma in qualche modo si arriva sempre ad un dunque.
Da Chelyabinsk a Omsk abbiamo percorso la distanza più grande di questa seconda tappa: 900 chilometri in un giorno.
I miei compagni di viaggio erano un po' impensieriti, ma in realtà puntando verso la Siberia il traffico è calato notevolmente e potendo mantenere una media decisamente più alta in 10 ore abbiamo percorso la distanza soste comprese.
Lungo la strada ho affiancato una moto targata tedesca, carica come noi e mi ha stupito di vedere sulle sue valigie una grafica simile a quella sulle nostre valigie: è stato un attimo capirsi e quando mi sono addentrato in una pista sterrata laterale per guadagnare le rive di un laghetto dove consumare il panino che ci eravamo fatti a colazione (qui gli autogrill non ci sono!) Christopher ci ha seguito e così ci ha spiegato che dopo aver girato buona parte del mondo in solitario, adesso sta andando in Mongolia a Ulan Bator.
Si vede che la sua moto è molto più attrezzata delle nostre all'avventura, e devo dire la verità mi ha fatto un po' di invidia.
In questi ultimi chilometri verso est, addentrandoci nelle grande pianure che porteranno alla Siberia, la tundra si estende in qualche caso fino all'orizzonte, dove l'occhio riesce ad arrivare, dove finisce la terza dimensione e sembra che non vi sia nel paesaggio più profondità, come fosse la coreografia di un vecchio film western.
Ho percorso molti chilometri in questo viaggio su strade che puntavano ad un punto di fuga fisso all'orizzonte, immerso in questi grandi spazi e piani infiniti, potendo spingere lontano i pensieri al sincrono del motore, e ancora un po' oltre.
Ho capito che viaggiare in moto in questi grandi spazi aperti mi da enorme sollievo e piacere e pace, non solo perché antitesi alla costrizione e alla mia latente claustrofobia, ma perché svela per me il paradosso che l'essere umano ha creato intorno al concetto di tempo.
Meno ne sprechiamo e meno ne abbiamo.
Passiamo la nostra vita riempiendo il tempo quanto più possibile perché questo ci da la sensazione che ritardi la inevitabile fine, ma allo stesso tempo abbiamo la percezione che più lo pieniamo, più passi velocemente e quindi in qualche modo accorci la distanza alla meta.
In sella alla moto, in questi grandi spazi aperti, riesco a controvertire questa equazione: godo della sensazione di velocità data dalla prossimità dell'asfalto che scivola via veloce, ma se alzo lo sguardo l'orizzonte sembra non avvicinarsi mai, in una illusione di moto perpetuo, negazione dello stallo e di una inevitabile meta allo stesso tempo.
È la stessa sensazione di libertà che mi riporta a quando da ragazzino navigavo col windsurf planando portato dal vento: lo sbattere dell'acqua sulle caviglie coi piedi infilati negli straps, ma la sagoma dell'isola all'orizzonte non si faceva mai più grande, seppur provassi a spingermi sempre un po' più in là.
OMSK - NOVOSIBIRSK - Fine seconda tappa
Abbiamo percorso gli ultimi 650 chilometri che ci dividevano dalla meta di questa seconda tappa direi quasi con "disinvoltura".
Forse perché il giorno prima ne avevamo percorsi 900, ma anche perché il gruppo si è rodato giorno dopo giorno e col tempo vanno a posto anche le virgole.
Il paesaggio non è cambiato molto, l'alternarsi di infiniti campi di grano e boschi di betulle ci ha accompagnati anche in questo ultimo giorno di viaggio in avvicinamento a Novosibirsk, capitale della Siberia e meta di questa seconda tappa.
Abbiamo percorso 6.260 chilometri in 10 giorni, attraversando 5 fusi orari e tre catene montuose e zigzagando tra Europa ed Asia.
Lasciata Istanbul che è quanto di più vicino riesco ad immaginare al concetto di "ombelico del mondo", abbiamo esplorato la Turchia, sulle rive del Mar Nero e tra le sue montagne più aspre coi suoi altipiani desolati e selvaggi, abbiamo attraversato il piccolo ed il grande caucaso, ci siamo fatti conquistare dalla austerità ed i grandi spazi della Russia e delle sue pianure mongole, valicando gli Urali tra maestosi boschi di betulle ed abeti, per planare nelle lande remote e gli spazi infiniti della Siberia, dove tutto sa di avventura.
È stato fin qui un viaggio bellissimo, una avventura maestosa, una esperienza unica ed emozionante.
Tutto è filato liscio e alla perfezione.
Abbiamo percorso gli ultimi 650 chilometri che ci dividevano dalla meta di questa seconda tappa direi quasi con disinvoltura.
Forse perché il giorno prima ne avevamo percorsi 900, ma anche perché il gruppo si è rodato giorno dopo giorno e col tempo vanno a posto anche le virgole.
Il paesaggio non è cambiato molto, l'alternarsi di infiniti campi di grano e boschi di betulle ci ha accompagnati anche in questo ultimo giorno di viaggio in avvicinamento a Novosibirsk, capitale della Siberia e meta di questa seconda tappa.
Abbiamo percorso 6.260 chilometri in 10 giorni, attraversando 5 fusi orari e tre catene montuose e zigzagando tra Europa ed Asia.
Lasciata Istanbul che è quanto di più vicino riesco ad immaginare al concetto di "ombelico del mondo", abbiamo esplorato la Turchia, sulle rive del Mar Nero e tra le sue montagne più aspre coi suoi altipiani desolati e selvaggi, abbiamo attraversato il piccolo ed il grande caucaso, ci siamo fatti conquistare dalla austerità ed i grandi spazi della Russia e delle sue pianure mongole, valicando gli Urali tra maestosi boschi di betulle ed abeti, per planare nelle lande remote e gli spazi infiniti della Siberia, dove tutto sa di avventura.
È stato fin qui un viaggio bellissimo, un'avventura maestosa, un'esperienza unica ed emozionante.
Tutto è filato liscio ed alla perfezione.
Oggi ho lavorato per lasciare le "ragazze" in ordine e ben custodite per il lungo inverno Siberiano che dovranno affrontare in attesa di rivederci per la terza ed ultima tappa di questo Coast to Coast Euro-Asiatico che ci porterà a Vladivostok, sulle rive del Pacifico.
"Le cose che possiedi, finiscono per possederti" dovrebbe essere un monito, e sono molto poco materialista nella vita in generale sposando il concetto alla perfezione, ma verso una moto è diverso: lei possiede un po' di me, ed io un po' di lei, è un rapporto equo ed affettivo. Stasera l'ho salutata ed un po' mi è dispiaciuto ad essere sincero.
Adesso è il momento di tornare a casa però, agli affetti che tanto mi sono mancati, e lo faccio con gioia.
Non c'è da stupirsi che questo accada: questo fa di noi dei viaggiatori, invece che dei vagabondi.
Quel parametro di sicurezza e familiarità a cui ci raffrontiamo quando siamo lontani, rende momentaneo il nostro status di esploratori del mondo, e questo non solo rende più eccitante viaggiare per la sua connotazione di "eccezione" alla nostra vita, ma ci favorisce anche nell'aprirci a le nuove esperienze e ci rende audaci rispetto al mondo e le culture ed il cibo e le persone che incontriamo strada facendo.
Sono quegli affetti, che pur nella passività rispetto al viaggio stesso, lo rendono così eccezionale: senza i quali viaggiare diventerebbe un mero spostarsi da un luogo ad un altro.
Ehi, Francesca, Inès e Cloe dopo quasi un mese, sto arrivando!!
Il mondo è un posto eccezionale e chi lo abita è meglio di quanto vogliono farci credere.
Matteo Casuccio