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EuroVespa 50: ottava parte, Copenaghen

- Simone Sciutteri è arrivato a Copenaghen in sella alla sua Vespa PK50, provando a segnare il nuovo Guinness dei Primati nella categoria Longest Journey on a 50 cc. Seguitelo passo passo nella sua avventura su Moto.it!
EuroVespa 50: ottava parte, Copenaghen

Copenaghen km 7.307

Dov'eravamo rimasti? Se guardo la mappa del viaggio e stringo il campo sulla Scandinavia, mi sembra quasi impossibile essere passato di lì. E mi sembra lontana chilometri e tutto un altro mondo, vista da questa camera di ostello a Copenaghen. Stamattina ho preso il traghetto, sballottato dalle onde e sono sbarcato in Danimarca, a Helsingor. Una bella strada costiera mi ha portato a Copenaghen e, nonostante il vento che anche con raffiche fino agli 80 km/h mi ha fatto dondolare parecchio, ero felice. Non ho potuto passare il ponte tra Malmoe e la capitale danese come avevo pensato – vietato a noi scooter piccolini – quel ponte che fra me e me avevo chiamato “scampato pericolo!”, ma sono arrivato lo stesso qui, dopo tanti chilometri belli e difficili. Quando poi ho tirato giù, per la prima volta dopo tanto, anche il visierino parasole del casco un sorriso mi è esploso in faccia mentre costeggiavo il mare e mi sentivo a casa. Se guardo la mappa, la prima immagine che mi viene in mente è il poliziotto nel porto di Tallin, che il primo gennaio, prima che mi imbarcassi per Helsinki, mi ha fatto l'alcool test. Il primo gennaio, alle nove del mattino.
“0,02. Lei qui in Estonia non potrebbe guidare”
“..."
“Ma vedo che sta bene e dopo la notte di Capodanno ci può stare. Buon viaggio”.
Io tanto bene non stavo e quelle due ore di traghetto le ho passate spalmato sulla poltrona della caffetteria, pensando “Ehi, sto andando in Finlandia”.

Dopo un giorno di solo relax, comincio a pensare ai chilometri successivi. Le previsioni del tempo non sono affatto buone. Neve quasi ininterrotta per due giorni. Ma aspettare non servirebbe: il tempo non può che peggiorare ormai, da queste parti. E tra poco farà abbastanza freddo da porre fine anche alle operazioni di pulizia delle strade; qui si fa come sulle piste: si lascia che ghiacci uno strato spesso, fino a che rimanga solo neve fresca in superficie, da battere per renderla praticabile. Io devo prendere una statale e confido nell'organizzazione scandinava. Ma non sono sicuro. La nave Helsinki-Stoccolma mi tenta. In fondo, mi dico, ai fini di “Eurovespa”, la Finlandia l'ho toccata, perché rischiare? Alla fine, come altre volte in questo viaggio, decido di dare uno possibilità al piano originale e sfoglio Couchsurfing. Poco dopo mi scrive Tim, che nella foto del profilo è in sella a una Harley-Davidson, abita a 100 chilometri da Helsinki e a 60 da Turku e accetta la mia richiesta di ospitalità: “Devo assolutamente conoscere l'italiano matto che va in giro per l'inverno finlandese! Fammi sapere a che ora arrivi, che ti faccio trovare la sauna pronta per scongelarti!”.
La sauna mi serve davvero, perché mentre sono per strada si alza un vento freddo che mi viene addosso e comincia a nevicare. La strada resta pulita quasi fino alla fine, ma grossi fiocchi si attaccano al parabrezza, costringendomi a pulirlo spesso o a sporgermi di lato per vedere qualcosa. L'ospitalità di Tim mi rimette in sesto, e anche se continua a nevicare tutta la notte, riposo bene e mi sveglio di buon umore. “Ti porto in macchina fino alla statale, così vediamo in che stato è.” Il sopralluogo da esito positivo: una striscia di asfalto, pulita dalle ruote delle auto già passate di lì, disegna la traiettoria in un mondo altrimenti tutto bianco. Devo fare pochi chilometri, quindi posso partire tardi e lasciare che il traffico mi dia una mano. Per chilometri ci siamo solo io, Peyton e foreste, lungo i saliscendi della 110.


Quando arrivo a Tuku, poco dopo mezzogiorno, ho ormai fatto qualche chilometro su strade già di neve fresca e come vedo il cartello illuminato da un sole appena spuntato da dietro una nuvola, mi sento felice come non mai. Foto di rito e poi via verso il porto. Compro il biglietto per la rotta notturna, parcheggio Peyton vicino al check-in e mi avvio a passeggiare lungo la banchina. Mi sembra il posto più bello del mondo. Gente passeggia tranquilla lungo i marciapiedi bianchi, mentre lungo gli argini le papere beccano curiose i primi strati di ghiaccio che si stanno formando. Fischietto e cammino senza meta, leggero. Piano piano il sole cala proprio sopra la foce e mi regala un tramonto indimenticabile. Incontro anche due membri dello scooter club locale, avvisati da Tim del mio arrivo. Passiamo il pomeriggio insieme, poi alle 7 vado ad imbarcarmi. Nella lunga coda di mezzi che aspettano l'imbarco sul traghetto dall'altisonante nome di Baltic Princess io e Peyton siamo due celebrità. Dopo qualche pigro girovagare tra i ponti, i piano bar e i selfservice, decido che l'atmosfera da crociera non è poi così affascinante questa notte e approfitto della cabina in cui ci sono solo io per godermi qualche ora di sonno cullato dal mare. Bye bye Finlandia. È stata dura, ma bella.
A Stoccolma mi ospitano Monica e la sua famiglia, che d'estate vengono in vacanza nella spiaggia in cui lavoro. Passo due giornate rilassanti e mi godo la capitale svedese, il suo centro affascinate, i suoi quartieri residenziali praticamente perfetti.
Nevica dalla sera precedente, ma decido di mettermi in viaggio lo stesso. L'idea è la stessa che avevo in Finlandia: aspettare rischia solo di farmi rimanere bloccato dal gelo. Se non avevo intenzione di guidare nella neve, beh, allora dovevo rimanere a casa. Sono 110 chilometri complicati quelli che mi portano a Nykoping. A 50 dalla meta che mi ero prefissato, Norrkoping. Ma in città trovo un ostello e decido di fermarmi, anche perché poco dopo avrebbe fatto buio. Mentre cerco un bar dove scaldarmi ripenso alla strada bianca, in mezzo alla foresta. Uno spettacolo incredibile. Ma anche difficile da godere, se devi cercare di rimanere in equilibrio su due ruote. Però, andando con attenzione, riesco sono riuscito ad avanzare senza grossi problemi. Ma – mi dico – vado troppo piano: di questo passo la Svezia rischia di non finire mai. E di costarmi un sacco di soldi. Ma ancora una volta arriva un aiuto inaspettato: a Linokoping mi ospiterà Ola e, in più, le previsioni del tempo mi offrono uno spiraglio di un paio di giorni senza neve. Senza grossi problemi e su una strada perfettamente pulita, arrivo a casa di Ola, in un paesino a sud di Linkoping. Siamo in mezzo alla foresta, case di legno, allevamenti di cavalli, ma anche strade perfette e piste ciclabili. La statale, in realtà, non è il posto migliore per me: invece di essere a doppio senso con la linea tratteggiata, ha una barriera tra le due corsie e solo ogni tanto il raddoppio per i sorpassi: così mi tocca viaggiare a cavallo della linea bianca, sfiorato dalle macchine in sorpasso o addirittura accostare a bordo carreggiata quando vedo nello specchietto grossi camion in avvicinamento. Ma è pulita, e dopo il giorno precedente questo mi basta. Anzi, addirittura un po' mi spiace essere d'accordo con Ola: avrei potuto fare più strada. Però mi sarei perso la serata in sua compagnia e sarebbe stato un peccato. Perché scopro che il mio ospite è una piccola celebrità nel mondo degli scooter, è comparso su diverse riviste in vari paesi, ha delle bellissime Vespe d'epoca nel capannone e mi fa vedere le foto dei suoi giri invernali su due ruote. Mi viene da ridere se penso ai miei stenti del giorno precedente, ma lui, che non è tipo da darsi arie, mi dice subito: “Ehi, sono cose diverse. Io esco a fare un giro, magari lungo, di qualche giorno e nella neve alta. Ma tu sei in giro da mesi, lontano da casa e non torni a scaldarti sotto il tuo tetto dopo qualche ora o giorno”. Ola è per un quarto finlandese, quindi è immancabile una sauna anche qui. Mentre beviamo una birre seduti in asciugamano su una panchina sotto un cielo pieno di stelle, mi dico che anche questa volta le difficoltà mi hanno portato dritto verso una serata che ricorderò.


Con più di duecento chilometri concludo una giornata trionfale e mi sento quasi fuori dal pericolo, anche se gli ultimi 40 chilometri fino a Vaxjo li faccio sotto un'abbondante nevicata. Prima c'era stata solo un po' di pioggia, che aveva sciolto la neve e mi aveva regalato una Svezia verdissima che quasi mi era sembrato di essere già in Irlanda. Adesso, mi dico, devi solo arrivare a Helsinborg e prendere il traghetto. Prima di dormire ricontrollo le previsioni meteo. Non ci sono buone notizie in arrivo. Felix, così hanno chiamato la tempesta i meteorologi, con quel vezzo di spettacolarizzazione che va di moda ultimamente. Il nome cambia poco, comunque. Venti oltre i 100 km/h colpiranno il Nordeuropa, con piogge e nevicate abbondanti. Però ancora domani mattina dovrei fare in tempo a muovermi, mi dico. Anzi, con un eccesso di ottimismo, valuto che il temporale prefrontale dovrebbe anche pulire la strada dalla nevicata notturna.
Al mattino, ovviamente, mi rendo conto di aver sbagliato i miei calcoli. La strada è completamente innevata, anche se sono lungo una statale di scorrimento; mi guardo intorno e non vedo spazzaneve in azione. Decido di non fidarmi più dell'organizzazione scandinava, ma provo a mettermi in viaggio lo stesso – ovviamente avevano ragione loro: di lì a poche ore ci avrebbe pensato Felix a ripulire l'asfalto. La strada diventa presto insidiosa: la neve caduta tutta la notte, schiacciata dalle ruote dei camion, ha formato un sottile strato di ghiaccio che mi fa vacillare. Diventa più sicuro procedere in mezzo alla corsia, lungo la montagnetta di neve, ma è un procedere ugualmente difficile e lento. Scivolo una prima volta, appena, ma quasi resto in piedi. Ho fatto solo trenta chilometri da quando sono partito e comincio già a ricalcolare tempi e distanze: non arriverò a Helsinborg, ma se riuscissi ad avvicinarmici abbastanza potrei lo stesso arrivare a Copenaghen l'indomani. Mentre conto i chilometri, scivolo di nuovo, stavolta sul serio. E poco dopo essermi rimesso in piedi, scivolo una terza volta, stavolta finendo anche nella terra a bordo strada. Basta. Tiro su Peyton, lo ripulisco e lo spingo fino a una piazzola. Il pollice si alza quasi in automatico, mentre riprende a cadere una fitta neve bagnata. Poco dopo mi carica Andres, un signore di sessantanni che mi racconta di sua madre, che lavorò proprio lì vicino, ad Almhult, nella prima fabbrica Ikea. Lui sta andando lì – nella nuova sede – e, mi dice, sicuramente troverò qualcuno che mi potrà dare una mano. All'Ikea! Mi informo sui trasporti – ma noleggiano solo carrelli e io non ho una macchina a cui attaccarlo. Un'impiegata gentile fa un paio di telefonate, ma nessuno dei suoi amici è al momento disponibile. Intanto la tempesta arriva e le bandiere cominciano a schioccare rumorosamente. Piove. Anzi, diluvia. Sono tentato di autostoppare per andare a recuperare Peyton, ormai la strada sarà pulita e, anche se dopo l'ultima caduta era un po' storto, con molta cautela a causa del vento posso portarlo qui al riparo. Al resto penserò poi.
Mentre mi avvio verso l'uscita, si avvicina Adil. Cominciamo un dialogo surreale – lui è libanese e parla svedese, ma non inglese – in cui capisco che mi ha visto lungo la strada e che si sta offrendo di riaccompagnarmi da Peyton. Monto sulla sua macchina – che si avvia con i cavetti sotto il cruscotto e che mette in funzione i tergicristalli con un interruttore da abat-jour – e torniamo lungo la statale. Poco prima di arrivare dove ho parcheggiato, mi dice: “Se vuoi, vista la tempesta, possiamo caricare lo scooter in macchina e lo portiamo in città. Poi puoi fermarti lì o vedere se puoi prendere un treno”. Guardando il casino che ci circonda mi vene da rispondergli: “Eh, mi farei portare fino a Helsinborg, anche...”
Helsinborg? Chiamo un mio amico.

È così che io e Peyton ci siamo trovati a bordo di una vecchia familiare, guidata da un simpatico palestinese, e abbiamo attraversato Felix. La guida del mio nuovo amico mi ha fatto stare in apprensione per tutti i 150 chilometri, forse più di quanto lo sarei stato se avessi attraversato la tempesta in sella, ma quando alle quattro parcheggiamo sotto l'ostello, sono felice di averlo incontrato. L'ultima sera svedese la passo ad leccarmi le ferite e ad ascoltare il vento che urla tra i moli e le case. Sembra che la città stessa debba volare via da un momento all'altro e i vetri delle finestre vibrano in continuazione. Stamattina la situazione era un po' migliorata e domani il vento dovrebbe perdere intensità ulteriormente, per lasciare spazio alla pioggia. In un paio di giorni dovrei essere in Germania. “Il Grande Freddo” dovrebbe essere finito. Certo, non comincia la primavera domani. Ma il sole da queste parti cala alle 16, non alle 14.30 come qualche giorno fa, qualche chilometro più a nord. E anche se ci saranno vento e pioggia e magari ancora neve, non dovrò più preoccuparmi costantemente della praticabilità delle strade. Potrei davvero ricominciare a fare un po' di chilometri come all'inizio del viaggio. Potrebbe davvero cominciare quella che fra me e me, nelle lunghe ore di soliloquio in sella, ho chiamato – dopo il Grande Freddo – la “Grande Festa”. Tra Lussemburgo, Bruxelles, Londra, Lisbona, Barcellona e dintorni ho tanti amici da andare a trovare, con cui celebrare ogni volta quel po' di chilometri in più che avrò fatto. Se tutto andrà bene, ovviamente. Intanto, oggi ho iniziato a festeggiare l'arrivo in Danimarca con Francesco e Enrico, che mi hanno invitato a cena. Tortellini panna e prosciutto e serata tra amici, come fosse stata una qualunque domenica a casa; una sensazione, dopo tanto girovagare, davvero impagabile.

Simone Sciutteri

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