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Gionata Nencini: Tour delle Vie della Seta - Settimana 12

- Le statali sono il luogo più frequentato del Pakistan. Sulle loro corsie si concentra la vita di migliaia di persone che si avvicinano e si allontanano intrecciandosi come i fili di un telaio che compone tappeti, creando una caotica armonia sempre prossima al punto di collisione con se stessa


Veicoli che si incrociano, animali che attraversano, bambini che spuntano da ogni lato, esercenti che lavorano, pedoni che camminano, buche che spuntano ed io che strombazzo il clacson da tutte le parti, evitando per un pelo il motorino che mi si scaglia davanti o facendo lo slalom fra camion e tuctuc.
Con il calore, l’umidità e il fracasso tipico di queste strade, le giornate diventano molto lunghe e faticose. Così a Lahore decido di entrare sull’autostrada a pagamento, diretto a Islamabad dove mi preparerò a risalire la famigerata Karakorum Highway fino al confine con la Cina.

La vetrina del Pakistan davanti al quale mi trovo presenta dorsali verdeggianti, tornanti, cottage con vista


La segnaletica però suggerisce il divieto di accesso alle moto, oltre che ad altre categorie di mezzi di trasporto, fra cui quelli a trazione animale e per questo motivo le rampe di immissione sono vigilate dalle forze dell’ordine. Ma quando mi presento armato di faccia di pesce, i poliziotti non sembrano essere turbati dal mio tentativo, così saluto ed entro. Oltre la rampa quello che sembra essere un miraggio si materializza davanti ai miei occhi sotto forma di striscia di cemento stesa a opera d’arte e munita di 4 corsie per ogni carreggiata, piazzole di sosta e segnaletica luminosa. Ne giova subito la mia andatura, fino a quel giorno inferiore ai 100 km/h e i tempi di percorrenza si riducono. Tuttavia le volanti che pattugliano l’autostrada mi vedono e cominciano a segnalarmi finché, 120 km dopo, vengo fermato dalla prima voltante che mi invita a uscire dall’autostrada perché “troppo pericoloso”. Faccio notare che il caos delle statali per me risulta assai più rischioso e che la velocità dell’autostrada è di gran lunga più piacevole, considerando che devo ancora percorrere 140 km e sta facendo buio. La cortesia dei pakistani è tale che il poliziotto mi invita a seguirlo fino all’uscita e poi a rientrare senza di lui, certo che anche le volanti responsabili delle zone che raggiungerò, capiranno la mia necessità e staranno al gioco. E così vengo fermato altre 10 volte e ogni volta partono i selfies, le richieste di numero whatsapp e facebook account, ma come ogni volta, vengo scortato fuori e invitato a rientrare, se lo gradisco. Insomma, di questo passo arrivo a Islamabad tardissimo, ma riposato.

Le pause in hotel servono sempre per gli aggiornamenti video, ma questa volta comincio a prepararmi per l’ingresso in Nepal (visto ottenibile in frontiera), Buthan (visto che richiederò a Kathmandu) e quello per il Myanmar, paese che sta diventando un vero e proprio punto interrogativo del mio viaggio, tanti sono i cambiamenti di cui si sente parlare da chi ci è entrato prima di me. Qualche giorno dopo riparto alla volta delle vette oltre i 4.000 m.s.l.m. cui ho tanto sentito parlare. Personalmente, non potendo anticipare la magia e la bellezza delle zone in cui non sono ancora stato, mi diletto nel pregustare il calo di temperatura previsto dall’aumentare dell’altitudine. Dall’Iran non ho mai viaggiato sotto i 35°C e spero ti riassaporare il tepore dei 20, almeno fra qualche giorno. Parto nel tardo pomeriggio, per evitare il calore e il traffico e in meno di 80 chilometri la strada comincia a salire e a farsi interessante. La vetrina del Pakistan davanti al quale mi trovo presenta dorsali verdeggianti, tornanti, cottage con vista, punti di ristoro turistici e decine di famiglie pakistane in villeggiatura. Sembra che il territorio divida il paese in due, a sud caldo afoso e conflitti civili e a nord fresco e turismo. Eppure sono nello stesso identico paese. la strada mi porta in un vortice di tornanti montuosi che si svolgono fra piccoli borghi sovrappopolati e l’andatura diminuisce fino a spazientirmi. Se i 900 km fino al confine con la Cina sono tutti così temo che avrò un esaurimento nervoso. Nel dubbio provo a deviare per il Kashmere, ma c’è un punto di controllo dove mi viene richiesto un lascia passare che non ho e così mi ritrovo a cenare sulla stessa strada, consapevole di aver percorso 50 chilometri per niente. L’unica cosa divertente è stata l’attraversamento del ponte sospeso che vedete nel video: troppo lungo per non farsi spaventare.

Trovo un angolo di paradiso immerso nel verde dei 2.000 metri e 20 gradi, leggermente umido di guazza e silenzioso. L’atmosfera notturna è tetra, ma ho dormito in posti molto più inquietanti di questo e sono contento di poter finalmente dormire sull’erba bagnata e avvolto dal canto dei grilli. Ho con me dei manghi freschi e buonissimi per la colazione e vado a coricarmi rasserenato dal cambio paesaggistico e climatico. La mattina però mi sveglio turbato da strani rumori, come fossi preso di mira da un ragazzino che si diverte a lanciarmi schiamazzi dalla boscaglia dietro di me. Mi avvicino alla moto e infatti mi accorgo che la busta con i manghi legata allo specchietto è stata lacerata e il contenuto divorato avidamente, con residui di polpa sul serbatoio e la strumentazione. Intanto il codardo continua a chiamarmi dal bosco. Smonto la tenda e me ne vado e mi accorgo poco dopo che la zona è abitata dalle scimmie e io ho amabilmente regalato la mia colazione alla prima che passava di lì.Continuo la mia traversata su quella che chiamano “vecchia Karakorum”, tratto di oltre 200 chilomertri che non dimenticherò mai per la bellezza mozzafiato dei suoi panorami e vallate messe a contrasto con una delle strade asfaltate più disastrate ch’io abbia mai percorso. Buche su buche, botte, salti, cigolii del posteriore e di tutte le parti in metallo della mia moto mentre io guido in piedi da decine di km e grido (si, grido) parolacce da ore per far evaporare quella rabbia dovuta dal presagio di auto annientamento causato dalla strada.
Ma se mi concentro e guardo lontano vedo una delle realtà più belle ch’io abbia mai attraversato. Le tracce della vecchia Via della Seta qui si conservano e sono tangibili, anche se da lontano appaiono come linee rette scavate nella montagna. Da vicino, in quei punti in cui la strada si eleva al di sopra del vecchio sentiero, si può distinguere chiaramente quello che oggi viene chiamato “Kino-Kutto”, ovvero il percorso lungo il quale si trasportava la seta e altre mercanzie, prima a piedi, poi mediante un pony e solo successivamente, con dei veicoli a 4 ruote (una sola corsia). Trovarmi oggi in moto sulla nuova “Via della Seta” e percorrerla a velocità supersonica in confronto ai viaggiatori di un tempo, mi fa sentire veramente privilegiato.
Fortunatamente la maggior parte dei 900 km della Karakorum Highway sono stati ripavimentati da poco, rendendo assai più piacevole il viaggio verso la vetta di 4.733 m.s.l.m che confina con la Cina. Il campeggio non è un problema in messo a queste zone aride e desolate, ma trovare un posto appartato e accessibile non mi risulta così immediato come speravo. Oltretutto, nonostante i 3.000 metri, la temperatura è ritornata sui 40°C e spero di avvicinarmi alle vette innevate al più presto per ritornare sotto ai 30.

Sono chilometri paesaggisticamente belli come il Pamir, ma più vasti e certamente più scorrevoli grazie alla presenza dell’asfalto. Ogni chilometro di questa statale è costato l’impegno dei pakistani e dei cinesi che hanno unito le forze per forgiare questo capolavoro che scala in agilità una delle zone più vertiginose che ho visto. Lì dove la presenza di villaggi abitati ha concentrato i lavori a valle, c’è la forza del fiume a rendere le cose difficili.Continuo a risalire per km e km e noto come, in presenza di pioggia, molti tratti di strada siano stati ripuliti da frane rocciose e fangose. Spero solo di avere la solita sfiga di trovarmi bloccato qui una volta che sarò sulla via di ritorno. Ad ogni sosta i poliziotti si offrono di scortarmi così per divertimento, ma devo insistere per rimanere da solo; i locali, in visita per vacanza o impegnati nei lavori turistici che fruttano di più, sono estremamente ospitali e curiosi, rischiando spesso di farmi perdere la pazienza. Così, quando sono quasi prossimo a rispondere male all’ennesimo curioso, deciso di chiedere esplicitamente il perché di così tanto fascino nei nostri confronti e la risposta dissuade i miei animi caldi in un batti baleno, insegnandomi anche quello che è il punto di vista altrui su qualcosa che potevo ritenere banale all’inizio:
– dall’11 2001 settembre il turismo qui è sparito quasi del tutto e ogni volta che vediamo un visitatore per noi è come se fosse un ospite e vogliamo che abbia una piacevole esperienza.
La cosa sorprendente infatti è che i Pakistani, dopo averti avvicinato senza pudore alcunuo, chiedono subito se possono esserti di aiuto, così, gratuitamente.
Il sole mi accompagna fino alla vetta prefissata e così scatto le foto di rito davanti alla dogana cinese e arricchisco questo momento catartico con un malinteso in inglese con la guardia che intima di arrestarmi. Bei momenti alterati dalla mancanza di ossigeno.
La strada percorsa fino ad ora è stata talmente bella e intensa che ripercorrerla una seconda volta quasi completamente non mi dispiace affatto, fatta eccezione per il tratto con il manto stradale danneggiato, che spero di evitare scegliendo la “nuova Karakorum” che mi riporta a Islamabad passando dall’interno.

Trovarmi oggi in moto sulla nuova Via della Seta e percorrerla a velocità supersonica in confronto ai viaggiatori di un tempo, mi fa sentire veramente privilegiato


Questa strada si rivela ancora più bella e sorprendente del previsto e il mio arrivo a Islamabad sembra poter accadere con un giorno di anticipo, per permettermi di velocizzare l’ingresso in India. Purtroppo però, ogni volta che mi compiaccio di un vantaggio sulla tabella di marcia, mi accorgo che c’è un imprevisto in agguato e così, fermo a fare benzina, controllo la moto sul mono ammortizzatore perché ho notato che, dopo tutte quelle buche, la moto cigola di più ed è molto più bassa. Avevo pensato al mono ammortizzatore scarico e mi ero messo il cuore in pace, convincendomi che tornare in Italia con il mono scarico non avrebbe poi fatto tutta questa differenza, ma mi sbagliavo.
Mentre guardo la moto con attenzione mi accorgo che in realtà la moto si è abbassata perché ho strappato la parte di telaio sulla quale è fissato l’ammortizzatore. Gli strappi sono enormi e adesso ogni sollecitazione derivata dal manto stradale grava su un lembo di metallo che potrebbe cedere a momenti.
Mi trovo ancora nelle campagne pakistane e per evitare di trovarmi con la moto divisa in due sul manto della strada, mi fermo a chiedere aiuto alle persone del posto che, dopo avermi fatto rimbalzare da più di un meccanico mi portano nel posto che sembra essere in grado di aiutarmi.
Smonto la moto e osservo mentre i ragazzi (aiutati dai curiosi accorsi da ogni lato) ribattono a grandi martellate il pezzo di telaio strappatosi e lo saldano con abbondanti dosi di elettrodo. Poi vernicio e rimonto tutto come prima, sperando di riuscire almeno ad arrivare in Thailandia.
Non so se ce la farò o se questo intervento durerà pochi cchilometri, ma non mi rimane altro da fare che sperare e continuare a guidare, certo che sia giunto il momento di cambiare moto.
Torno a Islamabad per la notte, poi Lahore il giorno dopo, dove sono obbligato a dormire perché la frontiera chiudeva troppo presto e non lo sapevo (ma per fortuna un CS mi ha ospitato, rallegrando questo 3 mese di viaggio iniziato abbastanza male con il problema al telaio). Il giorno dopo esco dal Pakistan ed entro in India, avvolto dalla curiosità per questo paese che ho sempre voluto visitare e che, oggi, finalmente scopro con i miei occhi. E una volta arrivato a Nuova Delhi decido di concedermi un hotel come si deve e aggiornarvi sugli ultimi fatti di questo ennesimo viaggio che, aimhé, sarà l’ultimo per la mia vecchia e instancabile Transalp.

Gionata Nencini

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