I viaggi dei lettori: Il ritorno dell’elefante selvaggio
Le sue due sorelle gemelle “Veterana” e “Poderosa”, ammantate dei leggendari colori Lucky Explorer, le avevo già portate in giro per l’Europa, ma stavolta toccava alla “Portentosa”, vale a dire alla mia Cagiva 125 Tamanaco nella versione cromatica “ispirata” agli altrettanto mitici colori HRC della primissima Honda Africa Twin, ricevere il “battesimo del fuoco”.
Quell’anno, il 2018, ricorreva del resto il suo 30° anniversario (essendo stata costruita nel 1988), nonché il 40° anniversario della fondazione del suo Costruttore: la Cagiva, la fantastica “fabbrica dei sogni” sulla riva del lago di Varese. La doppia ricorrenza esigeva un’avventura degna del pedigree “selvaggio” del Tamanaco, che comprendesse il suo ritorno, dopo 30 anni, al glorioso stabilimento che l’aveva forgiato.
Con l’ormai consueto mix di impazienza (per il desiderio di scoprire posti nuovi ed emozionanti) e timore (per i rischi legati a un lunghissimo viaggio, ampiamente “fuori dimensione” per una piccola moto con motore 125 a due tempi, progettata 30 anni prima per il tragitto casa -scuola e poco più), presi il traghetto dalla Sicilia alla Calabria intenzionato a visitare alcuni dei luoghi più belli della nostra stupenda Penisola.
Mi fermai quindi a Matera, dove scattai una bella foto dal piazzale antistante la “perla della Basilicata” e proseguii per il Castel del Monte, che si staglia nella campagna pugliese attorno ad Andria.
La foto ricordo è di quelle “proibite”, perché l’ingresso in moto nei viottoli che circondano il castello non è consentito, come non lo è l’ingresso in moto nel parco antistante la Reggia di Caserta.
Dopo una tappa di omaggio alla nostra Capitale, visitata brevemente assieme all’amico Daniele, mi diressi verso la storica sede della Cagiva, nella frazione di Schiranna (VA), arrivandovi proprio il giorno della celebrazione del 40° anniversario della sua fondazione. L’emozione era grande, per un siciliano come me, nel riportare il mio “elefante” davanti agli hangar in cui fu costruito 30 anni prima, e la foto ricordo all’ingresso dello stabilimento è fra le più emozionanti del viaggio.
Trenta primavere, però, per una moto con un piccolo motore a due tempi molto spinto, comportano inevitabilmente una certa dose di acciacchi, e proprio mentre il mio “Tamanaco Selvaggio” posava accanto alle gloriose Elefant replica delle moto vincitrici della Parigi-Dakar negli anni ’90, qualcuno notò una perdita d’olio proveniente dal motore.
A prima vista, mi parve un inconveniente serio, tale da richiedere grosse riparazioni e quindi la conclusione anticipata del mio viaggio. Fortuna volle, però, che fra i presenti vi fosse il signor Mariano, un “mago dei motori” e storico meccanico Cagiva, che fu immediatamente chiamato in causa dall’amico cagivista Nicola. Una brevissima occhiata bastò al sopraffino tecnico per sentenziare che trattavasi in realtà di un’innocua perdita dalla marmitta, dovuta ad un vecchio o-ring ormai divenuto “incontinente”.
La riparazione fu effettuata l’indomani, in men che non si dica, dallo stesso gentilissimo sig. Mariano nella sua officina, che è un autentico paradiso per gli appassionati del marchio Cagiva, piena com’è di moto e di cimeli della gloriosa Casa varesina. Rimesso in piena forma il “Tamanaco Selvaggio”, mi diressi verso il Trentino per vedere un’autentica meraviglia, il Lago di Resia, dalle cui acque spunta come per magia un campanile.
Attraversato il Tirolo, dopo un breve tour della graziosa Innsbruck e una sosta presso la fabbrica KTM a Mattighofen per sperare di intravedere la (allora) vociferata Adventure 790, seguii le indicazioni per la Repubblica Ceca desiderando, per motivi più o meno nobili, visitare la stupenda città di Praga, i cui luoghi più iconici, compresi quelli protetti dal divieto di accesso per i veicoli a motore, raggiunsi e fotografai a bordo del mio Tamanaco.
Dopo tre giorni di “ozi di Praga”, mi rimisi in sesto e quindi in marcia verso Sud, attraversando prima la Slovenia, con visita a Lubiana, al parco di storia militare di Pivka e al magico lago di Bled, e poi la Croazia, con sosta a Fiume e passeggiata lungo la sinuosa e panoramica “strada vecchia” che da lì porta a Zagabria, fotografando di passaggio i mezzi militari presenti nel museo all’aperto nei pressi di Karlovac.
Da lì, tornai verso la stupenda costa dalmata, visitando Zara, con la sua caratteristica scalinata che produce suoni flautati mentre viene battuta dalle onde dell’Adriatico. Spinto dalla mia passione per la storia militare, mi avventurai in seguito nuovamente nell’entroterra croato in cerca di un aereo militare americano abbattuto durante la seconda guerra mondiale, la cui carcassa giace in una foresta nei pressi della base aerea di Željava, al confine con la Bosnia, per poi dirigermi verso la pittoresca e inquietante cittadina di Mostar, che reca ancora visibili, sui muri delle case nonché sulla pelle e negli sguardi dei suoi abitanti, gli orrori di una guerra devastante.
Una volta completata la “parte militare” dell’avventura, decisi di rilassarmi un po’ ridiscendendo verso il mare per godermi i meravigliosi panorami offerti dalla “Magistrala”, la strada statale 8 che costeggia l’Adriatico, stupenda soprattutto nel tratto fra Spalato e Dubrovnik. Quel tratto, però, più che per l’incomparabile bellezza del mare e delle tantissime isole che lo punteggiano, lo ricorderò sempre per l’inquietudine prossima al terrore che provai quando fui investito da una spaventosa tempesta di vento che mi sorprese a metà strada costringendomi a rimanere per ore aggrappato a un guard-rail per evitare di essere - a seconda della direzione delle poderose folate di vento - proiettato verso la Bosnia o scaraventato nell’Adriatico, in totale solitudine a causa della completa assenza di traffico (appresi poi che era stata diramata un’allerta meteo e vietata la circolazione nella stessa strada che mi trovai, ignaro, ad affrontare con una motoretta di soli 120 kg. dotata di ampie carene e quindi di un’estesa superficie di esposizione al vento).
Sfumata la possibilità di raggiungere Dubrovnik in tempo per imbarcarmi, come da programma, verso Brindisi, non mi rimase che tornare a Spalato e prendere l’indomani il traghetto per Ancona, da dove partii alla volta della Sicilia.
Ma, come in ogni avventura che si rispetti, non tutto poteva filare liscio e infatti, poco dopo aver deciso (contro ogni logica) di non fermarmi per la notte nella zona in cui le tenebre mi avevano raggiunto (ossia nei pressi di Salerno), optando invece per percorrere la temibile Salerno-Reggio Calabria tutta d’un fiato in piena notte, sentii un preoccupante rumore proveniente dal motore.
Capii immediatamente di cosa si trattava, poiché avevo già sentito quel rumore un paio di volte sulle altre mie Tamanaco, e decisi di fermarmi e chiamare il carro attrezzi, sapendo che la valvola parzializzatrice della luce di scarico stava interferendo col pistone rischiando di spaccare tutto da un momento all’altro.
Giunto il carro attrezzi, appresi dall’operatore dell’esistenza di un salvifico collegamento quotidiano da Salerno a Catania via traghetto, che mi consentì, l’indomani, di imbarcarmi con la moto a Salerno e, sbarcato a Catania, di percorrere i pochi chilometri che mi separavano dal garage di casa alla guida della mia superba Cagiva 125 Tamanaco, sfidando volutamente la sorte (e tutte le leggi della meccanica) in modo da concludere degnamente la mia avventura in sella al magnifico destriero con cui l’avevo iniziata.
Da allora, la mia “portentosa” 125 d’epoca, assieme alle sue sorelle gemelle, si gode la meritata pensione nel comfort del mio garage, uscendone di tanto in tanto per qualche giretto sul lungomare.
Massimo Barbagallo
Belle anche le foto con le quali ci hai permesso di visualizzare i posti da te descritti.