Rosario Sala: "L'Africa secondo me"
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In tutto il suo viaggio, Rosario Sala ha percorso più di 22.000 chilometri attraversando Sud Africa, Lesotho, Botswana, Zimbabwe, Zambia, Namibia, Angola, Congo RDC, Congo Brazzaville, Gabon, Camerun, Nigeria, Benin, Togo, Ghana, Costa d’Avorio, Mali, Senegal, Mauritania, Marocco, Spagna, Francia e Italia.
La prima parte del viaggio, la considerava “la vacanza”: circa 4.500 chilometri in 18 giorni in sella alla moto visitando il Sud-Africa, il Lesotho, il Botswana, una parte dello Zimbabwe e dello Zambia: quell'area zona del sud dell’Africa, benché abbia ancora molti problemi di ordine sociale, è abbastanza tranquilla, le strade sono ben tenute e i servizi sono di prima qualità. Conosceva già i luoghi che hanno visitato, li aveva attraversati nel viaggio da Trento a Cape Town fra il 2014 e il 2015. Sabrina era la prima volta che affrontava un viaggio in moto di questo tipo e, per lei, questa parte di viaggio è stata sicuramente un’avventura.
Alla partenza da Cape Town si presenta subito la Chapmans Peak Drive, spettacolare strada che scende verso Cape Good Hope lungo la costa dell’oceano Atlantico, incastonata fra le pareti rocciose che scendono verticali fino all’oceano regalando paesaggi spettacolari. Se la si attraversa durante il tramonto, le rocce di granito, alternandosi a distese di spiagge di sabbia bianchissima, prendono un colore rosso e fanno da contrasto al blu intenso dell’oceano, regalando emozioni uniche: è facile incontrare comunità di foche, pinguini, scimmie e struzzi. Questa parte di oceano Atlantico, che più a sud si incontra con l’oceano Indiano, è ricca di squali e in determinati periodi dell’anno si possono vedere anche le balene. In ogni piccola o grande località è possibile mangiare del pesce buonissimo appena pescato.
Superato il capo di buona speranza (Cape Good Hope) in direzione Gansbaai, città di pescatori affacciata sulla baia di Walker, hanno attraversato per un breve tratto la zona di Stellenbosch, famosa per la produzione di rinomati vini. Passati per Cape Agulhas, il punto più a sud dell’Africa dove l’oceano Atlantico si inontra con quello Indiano, si sono fermati per la notte nella piccola cittadina di Struisbaai. Percorsa la Garden Route fino a Jeffreys Bay, hanno campeggiato per un paio di giorni a due passi dall’oceano Indiano. La costa è perlopiù abitata da bianchi di origine olandese, inglese e tedesca, e l’architettura degli edifici è molto simile a quella nordeuropea. In alcune delle zone più belle sono state edificate delle aree residenziali recintate e sorvegliate con all’interno delle ville lussuose.
Risalendo la costa, dopo Port Elizabeth, città dove termina la Garden Route, sono saliti verso l’interno fino ad Aliwal North, città confinante con il Lesotho: Questo Paese è uno Stato all’interno di un altro Stato, come S.Marino e Città del Vaticano in Italia. Qui si nota già la forte presenza di persone di colore, con gli edifici e l’organizzazione urbanistica che iniziano a rispecchiare la cultura africana. La notte hanno dormito in un piccolo B&B gestito da una coppia di origine olandese che parlava l’afrikaans. Il giorno seguente si sono partiti per il Lesotho.
Le pratiche di dogana sono veloci. La strada per arrivare a Semonkong, meta della giornata e asfaltata, segue la morfologia di questi luoghi, con salite verticali e discese altrettanto ripide. Il paesaggio è surreale: poca vegetazione, le montagne appaiono verdi e sinuose, con torrenti ricchi di acqua che scendono fino a valle regalando un forte senso di libertà. La povertà è tangibile: le persone del luogo, tutte di colore, vivono in capanne, e per la maggior parte sono dedite all’allevamento. Considerate le basse temperature si coprono con una tipica coperta di lana chiamata “basotho” che prende il nome dall’etnia maggiormente rappresentativa del Lesotho.
Arrivati a Semonkong nel pomeriggio, a quasi 2.300 metri di altitudine, l’aria fresca si fa sentire. Il piccolo paese è costituito da baracche, con qualche edificio ad un piano costruito da associazioni o da istituzioni statali. I nostri visitano le cascate Maletsunyane che distano qualche chilometro da Semonkong, ma purtroppo non c’è acqua, e lo spettacolo non è proprio quello che si aspettavano.
Rientrati in Sud Africa fanno tappa a Pretoria dove li aspetta Pauli, titolare della Touratech South Africa. Fortunatamente risolve il problema del filtro della benzina che hanno riscontrato durante il passaggio in Lesotho, e possono così continuare la strada verso il Botswana. Decidono di non andare al parco del delta dell’Okawango, ma di salire direttamente a Kasane e visitare con un po' più di calma quella zona. Nel parco del Chobe avvistano pochi elefanti, tanti coccodrilli, ippopotami, gazzelle, impala e scimmie, ma non leoni.
Entrano in Zimbabwe e poi Zambia e qui si fermano qualche giorno per riposare. Con l’occasione visitano le cascate Vittoria e un villaggio locale, accompagnati dal tassista di fiducia James. A questo punto del viaggio, Rosario accompagna Sabrina all’aeroporto, lei rientra in Italia e lui prosegue in solitaria il suo viaggio verso nord: non sale però verso l’interno dello Zambia, del Malawi, della Tanzania e dell’Uganda per arrivare ad attraversare il Congo RDC, perché purtroppo la stagione delle piogge si è prolungata e le strade sono coperte di fango. Ci vorrebbe troppo tempo per attraversarlo, tempo che non ha. Non riesce nemmeno a raggiungere la località di Ingobokolo, dove con l’associazione Acav di Trento ha realizzato un pozzo per l’acqua per le popolazioni del luogo. Quindi decide di modificare il suo programma e di rientrare in Botswana, attraversare la Namibia e salire dall’Angola per raggiungere Kinsasha. Alla frontiera fra Namibia e Angola altro problema: il visto di entrata è scaduto e non lo fanno entrare. Fortunatamente, con l’aiuto di un poliziotto riesce a fare il visto online, e dopo un giorno di attesa entra.
L’Angola la percorre lungo la costa, si ferma qualche giorno a Luanda da amici per ottenere il visto della Costa d’Avorio. Lungo la strada si vedono ancora le carcasse di carri armati risalenti alla guerra civile finita nel 2002. Al confine con il Congo RDC, a Sala, viene rubato lo zaino con macchina fotografica professionale, telecamera, denaro e altri accessori: non era mai accaduto che gli rubassero qualcosa durante i suoi viaggi, ma sono cose che possono succedere e lui non è tipo che si scoraggia facilmente.
L’ingresso a Kinsasha è un’ardua impresa: occorre più di un’ora per fare qualche chilometro, il traffico impressionante e lo stato pessimo delle strade non gli consentono di arrivare prima di un paio d’ore alla missione dove lo stanno aspettando i padri Agostiniani. La stanchezza e la tensione sono quasi al limite, ma anche questa volta Sala raggiunge la sua destinazione. A Kinsasha acquista una macchina fotografica: non avrà le prestazioni di quella rubata ma almeno fa fotografie migliori di un telefono. Nei giorni di sosta ha tempo di riposarsi e visitare un po’ Kinsasha accompagnato da padre Erik. Insieme si recano da alcune famiglie che si trovano nella periferia della città: una zona dove la povertà è assoluta ed impressionante. Necessita di qualche giorno per fare il visto del Camerun e intanto passa anche il Natale. Si organizza il trasporto, suo e della moto, attraverso il fiume Congo per raggiungere Brazzaville, la capitale della Repubblica congolese.
Il giorno della partenza da Kinsasha caricano la moto su una barchetta dove sale anche lui, e per circa venti minuti se ne sta con il cuore in gola. Attraversato il fiume Congo, via verso Loubomo. Il giorno successivo c’è il passaggio di frontiera per arrivare in Gabon, una delle strade più impegnative del viaggio: circa 300 chilometri di strada sterrata, fango e l’attraversamento di innumerevoli guadi. Una strada dove c’è pochissimo passaggio di mezzi e persone. In più di un’occasione si è trovato in difficoltà, dovendo poi aspettare qualcuno che lo aiutasse ad uscire da un guado. Alla fine della giornata, quando ormai era buio, arrivato alla strada asfaltata ha tirato un sospiro di sollievo.
In Africa, oltre a non funzionare bancomat e carte di credito, non accettano neppure i dollari: non sono quindi mancate grandi difficoltà per i rifornimenti di benzina, l’approvvigionamento di viveri, il pagamento di pedaggi ecc. Il Gabon l’ha attraversato velocemente: è un Paese posizionato all’altezza dell’equatore, dove la gente per la maggioranza non soffre la fame come in Congo o Nigeria, le strade sono belle e ci sono molte coltivazioni di banane, ananas e ortaggi.
Altro momento di difficoltà a Douala, la capitale del Camerun: lì era ospite di una famiglia locale che doveva aiutarlo anche per l’attraversamento del confine con la Nigeria via mare, ma purtroppo il traghetto presente fino a qualche mese prima era affondato portando con sé la vita di molte persone. A quel punto l’unica soluzione era andare a nord, dove c’era l’unica frontiera aperta fra Camerun e Nigeria. Il passaggio però, oltre ad essere molto difficile dal punto di vista della strada, era pericoloso per la presenza in quei luoghi di un’enclave anglofona. Questi ribelli improvvisavano scorribande facendo furti e saccheggi nei villaggi vicini. Come se non bastasse, attraversato il confine della Nigeria, si parlava di dover chiedere la scorta della polizia per circa trecento chilometri a causa della presenza dei fondamentalisti islamici di Boko Haram.
Dopo qualche giorno di riflessioni e valutazioni, Sala ha deciso di partire comunque e per fortuna alla fine è andato tutto bene: ha attraversato tutta la Nigeria, una terra con un altissimo tasso di povertà, dove alla fine si è comunque trovato bene, senza mai avere per un attimo la percezione del pericolo.
Fra il Benin e il Togo ha avuto la fortuna di vivere a contatto con delle associazioni di volontariato e delle missioni che fanno un lavoro immenso per queste popolazioni. Le suore che sono a Kouvè, in Togo, appoggiate anche dall’associazione Stella Bianca di Cembra che ha aiutato, mandano avanti da sole il più grande ospedale della zona ed accolgono tutti i bisognosi di cure, aiutano le famiglie in difficoltà, gestiscono un reparto di neonatologia e una scuola materna, il tutto senza l’aiuto dello stato, che in queste zone è inesistente.
In Costa d’Avorio Rosario è stato costretto a modificare nuovamente il programma di viaggio: anziché passare da Liberia e Sierra Leone, ha preferito salire in Mali per raggiungere il Senegal: il tempo che gli rimaneva per rientrare in Italia era poco e non voleva rischiare di rompere la moto o arrivare in ritardo. E’ stato ospitato prima ad Abidjan, in Costa d’Avorio, dalle suore, poi a Bamako in Mali e a Dakar in Senegal da famiglie locali. Arrivato a Dakar il viaggio era praticamente finito, almeno dal punto di vista delle difficoltà. Rimasto un paio di gironi a casa di una famiglia, ha vissuto le loro abitudini: tutti dormono assieme, i bambini in una stanza, gli adulti in un’altra, non utilizzano le posate e mangiano con le mani da un unico grande piatto. Ha visitato la città nelle zone meno turistiche e il mitico lago Rosa, dove una volta arrivava la famosa Parigi-Dakar.
Da Dakar in poi si incrociano motociclisti, camper, viaggiatori in bici. La strada che sale dal Senegal, poi Mauritania fino alla capitale Nouakchott, è un po’ impegnativa: sterrati, tratti sabbiosi ed i pochi tratti asfaltati sono pieni di grosse buche.
Da Nouakchott a salire al confine con il Marocco fino a Tangeri la strada è molto bella, passa vicino alla costa dove a sinistra si trovano delle scogliere che alle volte lasciano il posto a delle spiagge infinite, e dall’altra parte l’immensità del deserto. Arrivato in Spagna con il traghetto da Tangeri ad Algesiras, dopo poco più di due ore Rosario Sala si è sentito praticamente a casa.
Dopo circa 22.000 chilometri ha terminato il suo viaggio a Trento, accompagnato da tanti amici che gli sono venuti incontro da Genova, Milano, Verona, Vicenza, Firenze ed altre città del nord e centro Italia.
Rosario Sala