Bicilindrici a V: non solo per l’asfalto!
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Negli anni Sessanta di bicilindrici a V longitudinali in Europa non se ne parlava proprio. C’erano solo gli Harley-Davidson, a corsa lunghissima e con teste e cilindri in ghisa, che in quel periodo da noi erano una autentica rarità.
Nel 1960 la Rumi, ormai prossima alla chiusura, aveva presentato un interessante bicilindrico a V di 125 cm3 realizzato con alcune soluzioni innovative, che avrebbe dovuto essere prodotto anche in versioni di 98 e di 175 cm3. Purtroppo a causa delle difficoltà finanziarie della casa bergamasca, non si è andati oltre lo stadio di prototipo.
Dopo oltre dieci anni sono arrivati i motori Ducati 750 (e poi 860), che si ponevano in una categoria a sé stante. Nessuno li definiva a V: per tutti erano a L!
Il vero rilancio dei bicilindrici a V longitudinale è arrivato con gli eccellenti Morini della serie 3 ½, entrati in produzione nel 1973 e costruiti anche in versioni di 500 e di 250 cm3. Con tali motori, nei quali l’angolo tra i cilindri era di 72°, la casa bolognese ha davvero mostrato la strada.
La Honda ha adottato questa architettura costruttiva diversi anni dopo, con grande successo. Nel 1983 ha messo in produzione la VT 500, che è stata la capostipite di una straordinaria famiglia di bicilindrici a V di 52° raffreddati ad acqua, con distribuzione monoalbero a tre valvole. Nel corso degli anni Ottanta sono così apparse la famosa Transalp, l’Africa Twin e la Revere, accolta tiepidamente in Italia ma divenuta ben presto popolarissima in nazioni come l’Inghilterra.
Un’altra Honda bicilindrica apparsa all’inizio dello stesso decennio ha avuto una diffusione notevolmente minore. Si trattava della XLV 750 raffreddata ad aria, con angolo tra i cilindri di 45°, distribuzione monoalbero e trasmissione finale ad albero, prima enduro stradale con più di un cilindro della casa giapponese. In ciascuna testa erano alloggiate tre valvole che venivano comandate dagli eccentrici tramite bilancieri a due bracci montati su perni eccentrici. Appositi dispositivi telescopici idraulici agivano sui perni in questione consentendo la ripresa automatica del gioco delle valvole. Il motore, che aveva un alesaggio di 79,5 mm e una corsa di 75,5 mm, erogava 61 CV a 7000 giri/min.
Qualche tempo prima negli USA qualcuno aveva pensato di contrastare il predominio delle Harley-Davidson XR 750 nel flat track realizzando una moto con un motore Honda. Per essere competitivi nella specialità in questione occorreva però un bicilindrico a V. Il problema era che alla fine degli anni Settanta nell’unico motore di questo tipo costruito dalla casa giapponese la V era trasversale. Il bicilindrico era infatti quello della CX 500, con raffreddamento ad acqua, distribuzione ad aste e bilancieri con quattro valvole per cilindro, angolo tra i cilindri di 80° e trasmissione finale ad albero.
Per impiegare questo motore è stato necessario ruotarlo di 90° in modo da disporre la V longitudinalmente. In questo modo inoltre la trasmissione finale è diventata a catena. Sono state effettuate diverse modifiche ma il risultato finale è stato incoraggiante. La moto ha esordito nel 1980 ed è stata sviluppata sensibilmente nei due anni successivi. Pure la cilindrata è stata aumentata variando sia l’alesaggio (per quanto possibile…) che la corsa. Ci sono stati anche un notevole interesse e un adeguato supporto da parte della casa madre e questa bicilindrica, che si è fatta valere in più occasioni e che è stata pilotata anche dal giovanissimo Freddie Spencer, è stata denominata NS 750.
Per lottare ad armi pari con le Harley, e magari batterle, occorreva però qualcosa di diverso. La Honda ha perciò realizzato una moto completamente nuova, sviluppata specificamente per essere impiegata nel flat track, che ha debuttato nel 1983. Denominata RS 750, era azionata da un bicilindrico a V di 45° con raffreddamento ad aria che mostrava una forte parentela con quello della XLV 750.
La distribuzione era sempre monoalbero ma in questo caso le valvole erano quattro per cilindro e non tre. E, naturalmente, la trasmissione finale era a catena. Le misure caratteristiche erano 79,5 x 75,5 mm in entrambi i casi ma siccome il regolamento AMA consentiva di incrementare l’alesaggio fino al massimo limite di maggiorazione consentito per le riparazioni, ovvero 1 mm, esso era stato portato a 80,5 mm, con conseguente aumento a 768 cm3 della cilindrata. Questa curiosa norma valeva anche per i motori che non potevano essere rialesati in quanto dotati di cilindri privi di canna in ghisa, come quelli della RS, che erano al Nikasil. La potenza era dell’ordine di un centinaio di cavalli a oltre 8500 giri/min.
La nuova bicilindrica Honda si è subito dimostrata vincente, conquistando il titolo AMA dal 1984 al 1987 con Graham e con il mitico Bubba Shobert.
Parlando di bicilindrici a V da flat track non si può non parlare di una recente realizzazione di elevato livello tecnico, destinata a gareggiare negli USA ma nata in Europa e più precisamente alla SwissAuto, azienda assai nota da anni per la sua attività di progettazione e costruzione di motori da corsa, sia a due che a quattro tempi.
Il bicilindrico in questione, a V di 53°, è quello della Indian FTR 750, con raffreddamento ad acqua e distribuzione bialbero a quattro valvole per cilindro, inclinate tra loro di 23°.
L’albero a gomiti monolitico, che lavora su bronzine, ha un unico perno di manovella sul quale sono montate entrambe le bielle; i cilindri hanno la canna integrale con riporto Nikasil.
Per comandare gli alberi a camme si impiegano due catene Morse (ossia una per ciascuna testa) che prendono il moto dai due alberi ausiliari di equilibratura dei quali il motore è dotato. L’alesaggio di 88 mm è abbinato a una corsa di 61,5 mm e la potenza è di 109 cavalli a 10.000 giri/min