L’alimentazione a iniezione nelle moto
Per lungo tempo, fin dagli albori del motorismo, i tecnici hanno lavorato per sviluppare sistemi e dispositivi in grado di inviare ai cilindri una miscela aria-carburante con dosatura accuratamente calibrata nelle diverse situazioni.
Ovvero di far sì che la miscela stessa avesse una dosatura tale da soddisfare le esigenze del motore in qualunque condizione di funzionamento.
Dunque, in linea ideale, sensibilmente ricca (ma non troppo!) quando occorreva la massima potenza (accelerazione, alti regimi con la manopola del gas spalancata) e leggermente magra nella marcia “in crociera”, ossia a regime non troppo alto e più o meno costante, con la manopola aperta solo parzialmente.
Non solo, ma occorreva anche che il carburante venisse debitamente “polverizzato” in modo da rendere più agevole un suo intimo miscelamento con l’aria e un più rapido passaggio dalla fase liquida a quella gassosa.
I primi carburatori erano rudimentali, ma in seguito una importante evoluzione li ha portati ad essere dispositivi che, pur mantenendo un disegno complessivamente semplice, erano decisamente raffinati a livello di dettaglio e fornivano risultati assai buoni, in termini di prestazioni.
Esistevano comunque delle limitazioni e questo ha spinto diversi tecnici a cercare di fornire carburante al motore in maniera differente, iniettandolo nel condotto di aspirazione o direttamente nel cilindro e non aspirandolo dalla vaschetta del carburatore.
I carburatori infatti funzionavano sfruttando la differenza di pressione tra la sezione ristretta del condotto e l’interno della vaschetta stessa. L’obiettivo dei tecnici era cioè quello di passare alla iniezione.
Impiegavano rozzi sistemi di iniezione il motore del famoso aereo dei fratelli Wright del 1903 e alcuni Antoinette realizzati qualche anno dopo.
A differenza di quelli delle auto e delle moto i motori d’aviazione funzionano però a regime costante (o quasi), e non sono soggetti a brusche e repentine variazioni di carico e di regime e ciò rendeva le cose più agevoli.
I primi sistemi di iniezione costruiti in serie sono stati sviluppati per il settore aeronautico e hanno fornito ottimi risultati. Si trattava di quelli dei motori tedeschi Daimler-Benz (serie 600) e Junkers Jumo (serie 210) prodotti a partire dalla seconda metà degli anni Trenta. Il carburante veniva iniettato direttamente nella camera di combustione ed era messo in pressione e dosato da un sistema analogo a quello impiegato nei motori diesel dell’epoca, con un elemento pompante per ciascun iniettore.
Si trattava quindi di una iniezione diretta meccanica.
Nei primi anni Cinquanta questo stesso sistema è stato utilizzato dalle tedesche Gutbrod e Goliath per i loro motori a due tempi destinati ad alcune minivetture costruite in svariate migliaia di unità. Poi esso è stato impiegato dalla Mercedes-Benz per le sue straordinarie monoposto da competizione che hanno vinto i mondiali di F1 nel 1954 e nel 1955 e per la vettura sport 300 SLR, tutte con motore a otto cilindri dotato di distribuzione desmodromica.
Pure il modello sportivo di serie 300 SL, con motore a sei cilindri in linea, utilizzava lo stesso sistema, ma in seguito è passato alla iniezione indiretta (con il carburante che veniva immesso nei condotti di aspirazione), sempre di tipo meccanico. In quello stesso periodo l’iniezione si è affermata anche a Indianapolis.
In questo caso si impiegava il sistema Hilborn, realizzato in maniera molto differente, con gli iniettori che immettevano il carburante nei condotti di aspirazione in maniera continua.
In campo moto, già nell’anteguerra la Guzzi aveva sperimentato (e anche impiegato in un paio di gare, tra cui la Milano-Taranto del 1939) l’iniezione indiretta Caproni-Fuscaldo a controllo elettromeccanico montandola su una sua 250 sovralimentata.
Alcune prove con questo stesso sistema le hanno compiute anche la Gilera e la Benelli prima che il conflitto ponesse fine a queste sperimentazioni.
Nel 1952 la Guzzi ha realizzato, su progetto dell’ing. Gianini, una 500 da Gran Premio a quattro cilindri in linea longitudinale, con trasmissione finale ad albero. Il motore aveva la distribuzione bialbero e veniva alimentato da un sistema di iniezione indiretta piuttosto macchinoso che è stato ben presto sostituito da quattro carburatori.
Nello stesso anno la BMW ha schierato una 500 bicilindrica boxer da competizione (con la famosa distribuzione passata alla storia come “monoalbero sdoppiato”) nella quale sono stati provati e usati due sistemi di iniezione meccanica indiretta, con l’iniettore di ciascun cilindro collocato rispettivamente nel condotto, tra la valvola del gas e la valvola di aspirazione del motore, e in corrispondenza della presa d’aria, ovvero della trombetta (posizionamento che in seguito è stato definito “a doccia”).
Nel 1953 la casa bavarese, sempre per le sue moto ufficiali, ha adottato l’iniezione diretta, anche in questo caso meccanica. Sui circuiti misti però ha continuato ad impiegare i carburatori, come quelli utilizzati sulle moto destinate ai piloti privati.
Occorre anche ricordare che alla metà degli anni Cinquanta la MV Agusta ha sperimentato l’iniezione non sulle sue moto da competizione ma su una 175 a quattro tempi e una 125 a due tempi di serie.
In campo automobilistico a destare un grande interesse tra i tecnici sono stati in particolare i grandi successi ottenuti dalle Mercedes da competizione, con sistemi che, come già visto, erano interamente meccanici e sfruttavano una tecnologia analoga a quella utilizzata sui motori diesel e in campo avio, per la quale grande merito va alla Bosch.
Interessanti sperimentazioni sono state compiute dalla Maserati che sulla sua vettura di F1 nel 1956 ha impiegato l’iniezione diretta anche in alcuni Gran Premi. In quello stesso anno la Jaguar ha iniziato a utilizzare l’iniezione indiretta Lucas nelle sue vetture sport, famose per le loro vittorie a Le Mans.
La Vanwall di Formula Uno ha impiegato per diverso tempo l’iniezione diretta Bosch, come ha fatto la Borgward sulla sua 1500 RS, grande protagonista del campionato della montagna.
Perché l’iniezione decollasse davvero in campo auto si sono però dovuti attendere i primi anni Sessanta. Nel 1966, quando è entrato in vigore il regolamento che prevedeva una cilindrata massima di 3000 cm3 per le monoposto di F1 con motore aspirato, la scena era praticamente dominata dalla iniezione indiretta Lucas.
Per le moto si sono dovuti attendere ancora molti anni e nell’utilizzare questo tipo di alimentazione i modelli di serie hanno nettamente preceduto quelli da competizione (Continua).
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Alberto101Il carburatore, essendo molto sensibile alla pressione atmosferica, ovviamente pone dei problemi nell'uso aeronautico, dove le variazioni di altitudine sono elevate, e quindi l'iniezione presenta un grosso vantaggio. Ricordo i carburatori tipo aeronautico montati sulla vecchia bmw GS80, uno spettacolo di tecnologia "all'antica". A mio modesto parere, senza l'avvento dell'elettronica, non so se l'iniezione si sarebbe diffusa in modo cosi massiccio, tanto da trovarla ormai anche su prodotti di bassa gamma