“Un giorno vinceremo”: il mantra della Honda diventa un libro
L’autrice, Yoko Togashi, ha studiato a Londra e a Tokyo, è motociclista, ha fatto qualche gara nazionale e viaggi importanti, dal ‘78 è giornalista e traduttrice. Appassionata di moto e di Honda in particolare, nel 1986 diventa coordinatrice e interprete per la HRC e lo è fino al 2008, da Spencer fino a Rossi e Pedrosa; segue così i GP, conosce e ha l’occasione di parlare direttamente con tutti i protagonisti della storia.
Il suo libro “Un giorno vinceremo” è edito da La Mala Suerte Ediciones (info su lamalasuerte.es). In vendita su Amazon e sul web, prezzo di copertina 20 euro, 288 pagine. Assolutamente da leggere.
Il libro inizia con una inesattezza (è Ago nel 1975 e non Sheene nel ‘76 a conquistare il primo titolo a due tempi della 500) ma poi subito avvince. Mai ci era accaduto di entrare così profondamente nella storia e nella mentalità dei giapponesi e della gente Honda, si sale e si scende sull’altalena delle sconfitte e dei successi, si scopre una serie di personaggi e di chicche: chi ebbe l’idea delle otto valvole e dei pistoni ovali, come andò la prima volta al banco con il monocilindrico sperimentale da 152 cc e 10 cavalli nel luglio del 1978, come si arrivò al telaio monoscocca e alle ruote da 16 pollici, e così via.
La NR aveva enormi problemi di affidabilità (si rompeva un po’ tutto) dopo pochi giri di pista, tenacemente si cercò di risolverli ma con scarso successo. L’esordio di Silverstone poi, 10 agosto 1979, fu traumatico: 38° tempo per Katayama (a sette secondi da Roberts in pole!), 41° per Grant, e il doppio ritiro dopo essere partiti (allora a spinta...) ultimi: Grant fuori alla prima curva, moto a terra e poi a fuoco, Katayama dopo tre giri.
Quel giorno ero là in Gran Bretagna, insieme ad oltre centomila appassionati, proprio per vedere le fantomatiche Honda a pistoni ovali. Fu un disastro. La NR venne in seguito faticosamente evoluta, ricevette tra l’altro il telaio in tubi quadri e le ruote da 18, ma riuscì a finire una gara soltanto un anno dopo. E vinse finalmente una corsa, nazionale però, il 18 giugno 1981 a Suzuka, con Kiyama; sui 200 km della gara gli hondisti riuscirono a battere le due tempi con la strategia: furono gli unici a non fermarsi per il rifornimento.
Poi Spencer, l’artista della guida, colui che battè Roberts e la Yamaha con la NR a Laguna, in una gara internazionale che avevamo dimenticato, di soli cinque giri con una superpartenza (quella volta a motore acceso). Freddie voleva restare alla Honda ma voleva anche vincere il titolo: fu solo per trattenerlo che Takeo Fukui decise di abbandonare la sua amatissima NR e avviare il progetto NS, a due tempi.
Con la NS500 la svolta
Dal 1982 la storia cambia completamente segno, però rivelando anche qui una serie di chicche sulle scelte tecniche e dei piloti. Tre cilindri contro i quattro della concorrenza (scettica) con la intuizione che leggerezza e maneggevolezza avrebbero prevalso, i piloti come Marco Lucchinelli, che Honda voleva fortemente perché campione in carica. Si legge che Fukui lo incontrò segretamente a Milano, Marco chiese il doppio di quanto offriva la Honda, alla fine firmò per 60 milioni di yen, ma “meno di Spencer”.
La prima vittoria della NS500 nell’82 poteva essere proprio di Lucchinelli: a Salisburgo, il 2 maggio (era la seconda prova stagionale), all’ultimo giro del duello di testa con Uncini Marco cadde rovinosamente compromettendo anche la carriera. Rottura di una caviglia e anche qualcosa dentro la testa del pilota. Fu Freddie due mesi dopo, a Francorchamps, a vincere per primo con la NS. E poi l’anno seguente arrivò il titolo mondiale, dopo una gran battaglia con Kenny e nell’ultima gara di Imola.
Dunque la storia di un clamoroso e bruciante insuccesso chiamato NR500: la quattro tempi rivoluzionaria, troppo ambiziosa e costosa, ostinatamente perdente, persino “maledetta” per qualche giapponese della Honda. E poi la gloria con la NS. Un viaggio nella tecnologia, dove la Honda ha saputo costruirsi un vantaggio che ha sfruttato nella produzione.
E’ interessante notare come la prima delle due moto, vista da un europeo, potesse sembrare il frutto di una idea improbabile e addirittura masochista. Invece vista da dentro, da una voce giapponese immersa in quel mondo, è tutt’altro: è l’epopea di una squadra che non ha mai fatto un passo indietro, ostinatamente fissa sull’obiettivo con ogni genere di sacrificio, determinazione, con l’amore per il rischio e le sfide tecnologiche e umane.
Quando il racconto passa alla NS500, allora sembra di respirare l’aria che deve aver caratterizzato gli anni Sessanta, quando la Honda vinceva in tutte le classi stupendo il mondo. Spencer, Katayama e Lucchinelli come furono allora Hailwood, Redman e Taveri. E dietro tutti loro il comune denominatore: Soichiro Honda, una vera leggenda. L’uomo (1906- 1991) che ha creato un gruppo di ingegneri e team manager, tecnici e meccanici, capaci come lui di trasformare il lavoro in un ideale.
Ho acquistato il libro appena l'ho sentito menzionare da Manuel "Manolo" Pecino in un video con Zam.
Adesso lo sto leggendo ed è veramente interessante.
Mi è indifferente l'errore storico su Agostini: non è quel tipo di informazioni che cercavo in un libro del genere, così come capisco e accetto innocui errori di traduzione su terminologie strettamente tecniche (e.g. cascata di ingranaggi).
Trovo invece molto, molto interessante per un appassionato di moto e di tecnica, scoprire i retroscena di ciò che vediamo solo una volta in pista.
Come hanno creato la squadra, come sono nate le scelte tecniche più radicali: bello, bello, bello!
Dovrebbero nascere libri del genere per moto come la Ducati del 2003, le Honda V5, le Ducati con il telaio in carbonio, insomma tutte capostipiti di nuovi progetti.