Africa Eco Race. Nicola Dutto: “Dieci anni dopo… Baja 1000!”
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Dahkla, 13 Gennaio 2020. “Oggi compio 50 anni. Voglio regalarmi qualcosa di speciale. Qual è la cosa più bella? Il miracolo? No, non è possibile. Non nel mio caso. E comunque vivo già il miracolo della mia vita risparmiata, della compagna e della figlia. Degli amici. Qui parliamo di un pensiero, di un regalo di compleanno. Mi dico, allora. Cosa c’è di più speciale di una conquista? Nulla! Niente che possa uguagliare il senso della soddisfazione. Non è questione se è un regalo grande o piccolo, costoso o simbolico. Non è un regalo che può essere messo a confronto con gli altri. È la questione basilare del senso compiuto. Compiuto, finito, completato. Oggi entriamo in Mauritania, siamo qui e vi dico che il mio regalo per il compleanno dei 50 anni è conquistare Dakar. Tagliare il traguardo del Lago Rosa. È un regalo per me, per la mia famiglia, per tutti quelli che hanno partecipato e partecipano alla mia vita e alla missione…”
Qualche giorno dopo. La spiaggia del Lago Rosa, il traguardo di Africa Eco Race. È fatta. Anche bene. Vogliamo una sensazione a caldo…
Nicola Dutto. “È bello. Il Rally è bello. Africa Eco Race. Mi è piaciuto molto. Moltissimo. Mi è piaciuta la Gara dura, mi è piaciuta l’Africa, e moltissimo la Mauritania. Là hai la sabbia soffice, anche se spesso con i sassi sotto, le dune che ti sfondano, le Speciali lunghe. Dai 400 chilometri in su. È tutto bello, a parte quei 700 chilometri da Tangeri, è bello partire e arrivare praticamente al bivacco, senza trasferimenti, o ridotti davvero al minimo per non partire dalla tavola della colazione e arrivare a quella della cena.”
Risultato e Atmosfera
Tecnicamente come vedi il tuo risultato?
ND. “Tecnicamente ho dato molto. Volevo arrivare fino al traguardo. Dopo l’esperienza della Dakar volevo un traguardo finale. Si è ripetuta la storia della Dakar. Africa Eco Race ha un regolamento che ti dà una chance. La stessa che mi avevano dato i commissari della Dakar in Perù, salvo poi essere rimangiata dagli organizzatori. Sapete che corriamo in tre, io e due angeli custodi. Sono loro che mi devono rialzare di peso se e quando cado. Era la penultima tappa, quella della tempesta di sabbia. Siamo arrivati a metà, al rifornimento, e l’hanno neutralizzata. Tutti via in trasferimento. Solo che io avevo la moto in panne, iniettori, che avevo, forse sabbia nel cambiarli, e quella di Julian con lo statore fuso. Mi hanno fatto salire su una macchina dell’organizzazione e hanno caricato le 2 moto sul camion scopa. Solo che il “balai” è arrivato tardissimo, non in tempo per la partenza della tappa successiva. Così abbiamo sfruttato l’opzione di Africa Eco Race. Abbiamo preso la forfetaria e siamo ripartiti da Saint Louis per disputare l’ultima frazione fino al lago Rosa. Dal primo terzo della classifica generale al secondo terzo. Ma non è questo che contava, il risultato è dentro di me. Comunque ci abbiamo messo dentro anche il nostro valore. Tutti i waypoint, tutti i giorni con un buon tempo, nella mischia e non ai margini. Ecco come è andata. Gli organizzatori del Rally sono dei “giusti”. Ci tengono che i partecipanti si divertano e, possibilmente, che arrivino tutti alla fine. Certo non puoi distribuire forfetarie tutti i giorni, ma avere una chance, anche una sola, è una bella cosa.”
Quindi ambiente, atmosfera. Bello anche questo aspetto?
ND. “Bellissimo. È lo spirito, lo spirito dei Rally. Quello giusto! Ci si aiuta, si condivide, si sta assieme. Un giorno siamo rimasti senza benzina a 20 chilometri dalla fine della tappa. Si sono fermati tutti, tutti finché non siamo ripartiti! Poi, magari, in speciale coltello tra i denti, ma non fuori. Fuori dall’arena del deserto è il Bivacco di tutti. Lo spirito vero della Dakar.”
Lucci-Poskitt e Dakar
Un pensiero sulla faccenda Poskitt – Lucci?
ND. “Di questa storia ho saputo sul Lago Rosa. Da un lato ti dico: cavolo, bisogna vincere sul campo! Tra l’altro se ho capito bene il reclamo non era neanche indirizzato a delle gomme non omologate, bensì al fatto che non avevano l’indice di carico o di velocità, e quindi non potevano essere usate nei trasferimenti su strada. Diobono, proprio un cavillo! D’altra parte è chiaro che Poskitt è uno che non lascia niente al caso. Si è presentato che le sue moto erano perfette, avevano tutto, anche gli specchietti, e sapeva il regolamento a memoria. Per i suoi sponsor, certo, un podio è un podio, e lui ha deciso di giocare tutte le sue carte. Da avvocato probabilmente uno avrebbe fatto come ha fatto lui. Da pilota, cavolo, uno dovrebbe preferire giocarsela sul campo!”
Facciamo un confronto con l’ambiente della Dakar?
ND. “A pelle. L’ambientazione dell’Africa Eco Race è una figata. Sei sempre nel deserto, lontano dalle città. La tua città ogni giorno è il bivacco. Vivi la tua avventura completamente, in pieno. L’organizzazione, la logistica, sono buone. È chiaro che in quanto a organizzazione la Dakar è una macchina da guerra. Non ci piove. Quando dai e ricevi la tua moto, per esempio. Burocrazia, fogli, documenti, ma precisione e fiducia assolute. Non scappa nulla. Da noi, invece, è tutto un po’ più leggerino, le moto sono tutte lì al porto. Metti che a qualcuno venga in mente di prendere la tua… non è successo nulla di sgradevole a nessuno, ma magari qualcosa si potrebbe migliorare. D’altra parte è spesso questo il limite di un ambiente così “umano” e famigliare.”
Gli organizzatori di Africa Eco Race. Come sono?
ND. “Jean-Louis Schlesser, suo figlio Antoine, René Metge. Sono sempre, sempre in mezzo alla gente, sempre con noi. Nei limiti del possibile, appena arrivano sono con noi, mangiano con noi, vivono con noi. Parliamo, ci ascoltano. Sono sempre disponibili a sentirti, a risolvere i tuoi problemi se ne hai. Quando il camion balai è arrivato tardi rischiavamo di trovare chiusa la dogana tra Mauritania e Senegal. Ci hanno pensato loro, hanno tenuto aperto fino a che l’ultimo è passato.”
... e ora Baja 1000
Passando sotto lo striscione d’arrivo di Africa Eco Race, hai pensato che ti eri “vendicato” della Dakar?
ND. “Guarda, quando ero in moto, io non ci ho mica pensato tanto. Quasi mai. La Dakar fa parte di un capitolo della mia vita. È andata come è andata. Ho girato pagina, la Dakar è rimasta indietro nel libro della mia vita. Quello che mi interessava era soltanto partire e arrivare all’Africa Eco Race. Nessuna “vendetta”, non sono andato all’Africa Eco Race per vendicarmi. Mi piace andare in moto e non vedo perché dovrei inquinare un grande piacere con dei cattivi pensieri!”
Il tuo assetto tattico, pere favore.
ND. “Assetto riveduto rispetto alla Dakar. Julian Villarubia, mio storico ghost rider, e promozione di Stefano Baldussi da meccanico e angelo custode. Il bresciano è sempre stato con me, si allena con me, è bravo ed è l’unico che riesce da solo a tirar su me e la mia moto. Un po’ preoccupato alla prima esperienza, è stato spettacolare. Meccanici, Stefano Caputo dalla Baja California, un altro “storico”, lo spagnolo Alberto Mosquera, Elena, naturalmente, e un amicone che si è aggiunto come jolly, Massimo Camia, uno chef “stellato” che cucina da dio a Barolo. Naturale che avevamo anche la nostra “kambusa”!
E ora, missione compiuta, in che direzioni vuoi guardare?
ND: “Innanzitutto Baja Aragon a luglio. Ci andiamo in comitiva, con amici appassionati, un Team “istigato” dal mio amico Massimo Doris. E poi… questo è un anno particolare, Baja California. La Baja 1000, quella vera, quella in linea da Ensenada a La Paz, Mexico! Un anno particolare, dicevo. Ho cinquant’anni, e giusto dieci anni fa avevo in programma di correre la Baja 1000. Poi l’incidente... Adesso ci terrei a partire, e in modo particolare ad arrivare al traguardo!”
Grazie, a naturalmente In Bocca Al Lupo!
© Immagini AER – Alessio Corradini
Un esempio di umilta e sacriicio per tutti
A una figura cosi non puo'che andare tutta la miastima e ammirazione