INTERVISTA

David Casteu: "Sogno la Dakar"

- A pochi giorni dall’avvio della Dakar il francese della Yamaha spiega a Moto.it le sue esperienze e i suoi obiettivi | Massimo Zanzani
David Casteu: Sogno la Dakar


Il suo sogno? Vincere la Dakar!
Sono anni che David Casteu ci va vicino, ma per una ragione o per l’altra non è mai riuscito a trionfare nella gara che lo stregato sin da ragazzo. Campione del mondo rally raid, il suo miglior risultato nel rally più ambito e famoso è stato il secondo posto del 2008, ma è arrivato anche quarto oltre ad essere anche stato protagonista di un serio incidente che non ha però influito sulla sua voglia di vittoria. «Ho combattuto tanto per farcela – ha spiegato David - ho fatto sperare molti amici e la mia famiglia, ora ci terrei tantissimo a centrare il primo posto. Tutti sanno che questo è il mio sogno, vorrei vincere per me ma anche per loro, questa è la mia motivazione».


Nato a Nizza il 6 aprile 1974, le sue prime esperienze in fuoristrada le ha fatte in sella alla moto da trial, specialità che in cui si è impegnato per una decina d’anni conquistando anche un titolo nazionale, per poi avere una breve pausa dalla moto in seguito all’arrivo di tre figli in una botta sola che lo ha portato ad aprire un negozio di moto nel sud della Francia per sbancare il lunario. Ma tra una vendita ed una riparazione il suo pensiero fisso era sempre quello di fare la Dakar, ad ogni edizione non mancava una tappa in televisione e ogni volta ripeteva a suo padre che un giorno anche lui avrebbe tentato questa avventura.


«Nel ‘95 ho iniziato gradatamente con la moto enduro grazie a Cyril Esquirol che abitava vicino a casa mia, lui mi insegnava a fare enduro e io gli insegnavo a fare trial. Ho fatto la Gilles Lalay e il campionato francese, anche se la mia specialità era comunque il trial. Finalmente nel 2000 ho fatto il mio primo rally, in Tunisia, completamente da privato e senza nessun supporto. Ho subito amato le gare nel deserto, ho continuato con Dubai, Tunisia, Marocco, ma il mio sogno era comunque sempre quello di fare la Dakar. E così alla fine del 2002 mi sono detto: parto, e ho fatto la gara con una moto di serie senza alcuna assistenza, facendo tutto da me. Allo stesso modo ho fatto le edizioni 2003, 2004 e 2005 prima con una Honda XR 650, poi con una Cagiva che mi ha dato tanti problemi, e infine con una KTM 660 con la quale sono arrivato tredicesimo nella classifica generale, primo dei privati e primo degli amatori. Nel 2004 ho fatto conoscenza con Fabrizio Meoni, gli ho prestato una ruota e così l'anno dopo il suo meccanico mi ha dato un po’ di aiuto. L'anno dopo la Gauloises mi chiese se volevo far parte del team KTM, e così a giugno del 2005 mi sono ritrovato su una moto ufficiale chiudendo il rally del Marocco terzo assoluto.


Grazie a questo risultato gli austriaci mi chiesero di fare da portatore d'acqua per Esteve Pujol alla Dakar, accettai e nel 2006 sono arrivato ottavo dopo aver salvato la vita a Pujol che era incorso in una brutta caduta. Mi ricordo che si arrabbiò con me perché chiamai l’elicottero mentre lui voleva proseguire la

Si arrabbiò con me perché chiamai l’elicottero mentre lui voleva proseguire la gara, ma io avevo capito che c'era qualcosa che non andava in lui e se non avessi chiamato i soccorsi dopo una quindicina di minuti sarebbe morto per una emorragia interna

gara, ma io avevo capito che c'era qualcosa che non andava in lui e se non avessi chiamato i soccorsi dopo una quindicina di minuti sarebbe morto per una emorragia interna. A fine gara il capo della KTM si è congratulato con me, e anche l'anno dopo sono rimasto in squadra. Ho continuato a fare il portatore d'acqua, questa volta di Cyril Despres, ma in una tappa lui ruppe il cambio mentre io correvo molto bene diventando così il pilota di punta tanto da terminare secondo assoluto. Nel 2008 la Dakar fu annullata, ma vinsi altri rally importanti davanti a buoni piloti e quindi la KTM ha voluto continuar con me senza però più garantirmi un supporto ufficiale perché la Gauloises dovette abbandonare la sponsorizzazione. Di punto in bianco mi sono ritrovato ad avere moto e ricambi ma nessuna assistenza, mi sono appoggiato ad un team privato finendo quarto all’edizione fatta per la prima volta in Argentina. Nonostante ciò a Mattighofen mi informarono che per continuare ad avere il materiale ufficiale avrei dovuto pagare alcune centinaia di migliaia di Euro, quindi non potendo affrontare una spesa del genere creai una mia scuderia personale con una moto francese, la Sherco 450, con la quale mi schierai al via dell’edizione 2010.


Il debutto fu entusiasmante, vinsi a sorpresa la prima speciale e meravigliai sia gli spettatori che i miei avversari i quali non riuscivano a capacitarsi come avessi fatto con una moto del genere ed una struttura privata. Il giorno dopo ho vinto ancora e sono rimasto in testa alla Dakar per tre giorni, ma poi sono caduto pesantemente a forte velocità e mi sono infortunato ad una gamba rimanendo 25 minuti per terra con l'arteria femorale danneggiata. Fortunatamente l'elicottero è arrivato in tempo, mi hanno operato immediatamente in un ospedale militare dove sono stato ricoverato un mese e mezzo perché sono stati costretti ad asportarmi una parte di muscolo. Ma l’incidente non mi ha scosso, mi sono rimesso e sono partito per il rally del Dubai con la mia struttura e ho vinto subito perché avevo una grande motivazione, dopodiché ho fatto secondo in Tunisia e in Sardegna, ho vinto in Egitto e in Brasile mi sono laureato campione del mondo 450 in sella alla Sherco che avevo praticamente costruito io assieme al mio gruppo. E' stato qualcosa di incredibile, e così nel 2011 ho rinnovato con la Casa francese per altri tre anni ma alla Dakar ho avuto un sacco di problemi col cambio che non funzionava e che si rompeva continuamente. Mentalmente è stato molto dura, per cui quando la Yamaha mi ha offerto una buona moto e una struttura ben organizzata ho firmato con loro e alla Dakar 2012 sono rimasto terzo fino a tre giorni dalla fine quando il motore mi ha lasciato a piedi. Ma ci può stare, con la moto mi sono trovato bene e quindi anche la prossima edizione la farò in sella alla Yamaha, questa volta però con la mia squadra al completo, tra cui il mio motorista, così arrivo al via della Dakar sicuro della mia struttura puntando ad arrivare nelle prime cinque posizioni».


Ma la Dakar era meglio una volta o com'è ora?

«E' completamente diversa, in Africa quando incontri la gente ti vede come se fossi un marziano, ti tocca, non riescono quasi a capire perché sei vestito così e cosa stai facendo, tutto è più selvaggio e più avventuroso. In Sudamerica è l’opposto, ti conoscono, ti chiamano per nome, fanno il tifo per te, e quindi è tutta un'altra cosa. Ma non ce n'è una più bella dell'altra, l'ideale sarebbe farne due, una in Africa e una in Sudamerica. A me piacerebbe farne una che parte da Parigi, fare una tappa in Spagna, una in Portogallo e poi terminare in Marocco perché ci sono dei percorsi molto belli, dieci giorni di gara seguita bene dalla televisione e con delle belle speciali. Mi piacerebbe organizzare un evento del genere, chissà che un giorno non riesca a portarlo avanti».


Nella Dakar sudamericana c'è ancora il senso dell'avventura?

«Sì, ma è lì è tutto molto più organizzato, come ad esempio i pernottamenti in camper. In Africa dormi in tenda, ti alzi la mattina molto presto, e il senso dell'avventura si sente molto di più. Per quanto

In Africa dormi in tenda, ti alzi la mattina molto presto, e il senso dell'avventura si sente molto di più

riguarda la sicurezza è difficile dire se è più pericoloso correre nel continente africano o sudamericano. In Africa ci sono più incognite come un animale che può attraversare, o le piste con molti sassi, in Sudamerica i percorsi sono più prevedibili ma la velocità può rendere tutto più pericoloso. Oggi le gare sono diventate come dei lunghi sprint, si è sempre a tutto gas e la lettura della gara è cambiata, i rally rimangono comunque una delle discipline più pericolose e per cavarsela bisogna conoscere molto bene sé stessi, fisicamente, tecnicamente e psicologicamente».


Come si fa a mantenere ritmi così veloci per centinaia di chilometri e per così tanti giorni consecutivi?

«Bisogna allenarsi molto e molto bene, conoscere il proprio corpo e mantenere assolutamente la concentrazione ora dopo ora. Bisogna anche conoscere la moto, devi darti sicurezza e poter contare su buoni pneumatici e sospensioni efficaci».


E le donne come fanno a mantenere lo stesso ritmo?

«Anche se fisicamente per loro è molto difficile, mentalmente le donne sono molto forti e arrivano ad avere un grado di concentrazione altissimo. Quando le vedi all'arrivo vedi benissimo che le donne che ce la fanno sono estremamente determinate».


Quanto incide la moto per ottenere un risultato ai vertici?

«Nei rally molto, avere un motore performante è importante ma per mantenere la velocità che ti può permettere di vincere sono fondamentali le sospensioni perché quando vai a 170 km orari tra buche e sassi sono quelle che ti fanno restare a contatto col terreno».


Sulla tua Yamaha hai scelto Öhlins, per quale motivo?

«Quando correvo con KTM avevo delle sospensioni ufficiali che andavano molto bene, e quando mi sono ritrovato a correre da privato mi è stato impossibile trovarne di quel livello. Quando la Yamaha France mi dato la moto aveva già forcella e mono Öhlins, ma alla Dakar avevamo problemi di stabilità della moto. Da qui è nata la relazione con l'Andreani Group che mi ha fatto un setting ideale. Dopo qualche test hanno capito immediatamente in che direzione bisognava andare, abbiamo lavorato molto e abbiamo trovato una messa a punto perfetta, soprattutto per quanto riguarda la forcella perché quando arrivi veloce in staccata tutto il carico si sposta sull'anteriore e specialmente nei cambi di direzione e nelle manovre improvvisate è importantissimo avere un avantreno stabile perché è quello che ti fa tenere la strada. In più quando arrivi a così alte velocità e c'è un ostacolo hai bisogno che la moto mantenga la stabilità, se comincia a imbarcarsi è pericolosissimo e con il setting che abbiamo trovato mi sento benissimo».


Tu decidi un setting prima della partenza ma in un percorso di centinaia di chilometri ci sono condizioni di terreno diverse, come fa ad andare bene dappertutto?

«E' proprio questo l’eccellente lavoro che hanno fatto i tecnici dell’Andreani: l’aver trovato il compromesso ideale che si adatta a praticamente tutti i percorsi. In più hanno realizzato il sistema PVS (Progressive Valve System) di precarica della molla dell'ammortizzatore regolabile sul manubrio che mi permette di variare il precarico man mano che la benzina diminuisce e la moto si alleggerisce, così posso regolarlo per le diverse condizioni di utilizzo riuscendo a mantenere l'assetto della moto sempre basso».


Cosa pensi del ritorno di Honda alla Dakar?
«E’ eccezionale, per noi piloti e per tutto l’ambiente, ora che ci sono KTM, HRC e BMW anche la Yamaha Europa sta cominciando a pensarci sempre di più, è fantastico».


Il momento più brutto della tua carriera?
«Ne ho avuti due. Il primo quando sono caduto infortunandomi alla gamba, stavo seguendo un pilota, c'era molta polvere e ad un certo punto ha cambiato traiettoria per evitare un masso grande come una moto e non

Quando Meoni cadde alla Dakar, io gli sono arrivato subito dietro, l'ho visto sanguinante ed è una immagine che non riesco a dimenticare perché anche adesso Fabrizio per me rimane il pilota esemplare

ho potuto evitare l’ostacolo. E' stato un mio errore, ho avuto troppa fretta di superarlo e gli stavo troppo vicino, quando mi sono trovato a terra vedevo il sangue colare dalla gamba senza riuscire a fermarlo, sono stati minuti davvero brutti. L'altro momento desolante è stato nel 2005 quando Meoni cadde alla Dakar, io gli sono arrivato subito dietro, l'ho visto sanguinante ed è una immagine che non riesco a dimenticare perché anche adesso Fabrizio per me rimane il pilota esemplare, amava tantissimo la sua disciplina, aveva un gran cuore con la gente, aveva una parola per tutti, è per questo che ancora oggi si continua a parlare di lui. Oggi i rally sono così anche grazie a lui, a quello che ha fatto per il nostro sport».


Quello più bello invece?

«Sicuramente quando sono diventato campione del mondo, quello è stato strepitoso. Ma anche il secondo posto alla Dakar, e anche quando il manager di KTM venne a ringraziarmi per aver salvato la vita a Pujol, è stato un momento che mi ha toccato dentro».


Hai iniziato anche a fare dei tour in Africa.
«Ho creato la Casteu Adventure che ha come base in una piccola sede che ho comprato in Marocco dove organizzo dei giri turistici con la moto. L'idea mi è venuta perché correndo nel deserto provo delle emozioni bellissime, e mi piace rendere partecipi le persone che amano la moto, far provare queste esperienze e mostrare loro splendidi paesaggi.


In futuro ci sarà un tuo passaggio alle auto?

«Probabilmente sì, magari tra un paio d'anni. Correre in fuoristrada con le auto mi piace, l’ho già provato, ma Finché mi diverto così tanto a guidare la moto aspetto ancora un po’».

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