Dakar 2023-D2. Fotofinish. È Davvero Una Bella Dakar?
Al’Ula, 2 Gennaio. È davvero una bella Dakar? Si è autorizzati a porci una domanda così, dopo soli due giorni di gara? Dico di sì perché ne sono già successe molte, di cose parecchio sgradevoli. Qui parliamo delle Moto.
Si inizia con una tappa micidiale, cosiddetta di mise en jambe, di riscaldamento, “senza particolari difficoltà”, e si continua con una prova d’altri tempi, infinita e pericolosa che però viene presentata con qualche tratto “tecnico e guidato ma in uno scenario di paesaggi spettacolari”. Dico “di una volta” perché ci sono state Dakar che in due giorni falcidiavano due terzi dei Concorrenti.
Forse me la prendo troppo perché alle “bugie” degli organizzatori bisognerebbe aver fatto l’abitudine. Me la prendo per un paio di ritiri emblematici. Un professionista bravissimo, Sam Sunderland, che era venuto a difendere il suo Titolo, e un privato che ha già visto quel che succede qui, Tiziano Internò, e c’è tornato solo per amore. Me la prendo per un rookie italiano, Tommaso Montanari, che è già all’ospedale con un femore rotto. Doveva andare più piano, questo è certo. Ma queste cose alla Dakar si imparano solo dopo il gesso. Mi sembra già troppo, soprattutto per il contesto, soprattutto perché vorrei sapere quanti hanno trovato “belle” le due prime Speciali.
Si ha un bel dire che “c’est le Dakar” e quindi tutto buono, compresa la perversione, e si ha un bel pensare quando la gioia di una cavalcata in Moto lunga come non mai nella vita diventa un inferno.
Credo che la Dakar di quest’anno, nella sintesi delle prime due tappe, abbia esagerato: troppo inutilmente dura. Che poi chi ce l’ha fatta sia contento di una Torino-Venezia di sassi perché ha vinto la sfida, così come chi ha considerato questo Enduro troppo duro e pericoloso sia quanto meno perplesso, non cambia la sostanza del possibile che non c’è stato: una tappa lunga, fortemente impegnativa ma… possibile. Ci sono ancora 13 giorni per visitare l’inferno!
Che il primo ci abbia messo, Tappa 2, poco più di 5 ore va bene, che l’ultimo abbia impiegato il doppio, e che gente come Iader Giraldi si sia fatto le ultime dune al buio, è pericoloso. Per quel che può succedere e per quel che resta al freddo, al buio di una notte cortissima e agitata, nello sfinimento, di una giornata che per molti non è ancora finita, o è diventata l’esperienza dello sfigato sul Camion Scopa.
Me la prendo troppo e lo dico. Magari domani sarò di nuovo innamorato del senso di quella Dakar che ieri e oggi fatica a trovare il suo senso.
© Immagini ASO Media, Red Bull Content Pool, DPPI
Nella vita ho la fortuna di essere parente di Beppe Donazzan. Lui amava la Dakar... ma non questo modello di Dakar. Anche lui come me, amava la Dakar del decennio 80-90, quando si poteva partecipare anche senza esser ricchi (o avere sponsor disposti a spendere), quando sul manubrio della moto si vedevano anche le foto di moglie e figli.
La Dakar dove l'uomo era ancora la parte principale dell'avventura quello che sfidava la natura e le fragilità della meccanica.
Oggi, non so perché, ci si sforza per rendere le cose sempre più impossibili e meno divertenti. Sarà per quello che non ci sono poi tutti questi estimatori veri, intendo.
Le visualizzazioni sul web possono essere tante ma quella passione per la gara, ormai è decompressa.
Marchi di moto, di accessori, di pneumatici, di caschi, di giubbotti... primeggiano sull'uomo. Una fiera più che un'avventura.
Sopra e dentro solo gente che per vedersi fra le righe di un articolo di stampa, o per non scomparire, è disposta a sacrificarsi... anche del tutto.
20/30 anni fa le tappe erano altrettanto dure e selettive.