"L'americano" in gita all'EICMA. Sempre come la prima volta
Novembre per me da sempre significa “Salone di Milano”. La prima volta che ci sono venuto avevo 15 anni, nel 1983. Ero ancora zoppicante per una gamba rotta girando sulla pista di Schianno (VA) con il mio Caballero 50 Regolarità Casa, durante l’estate, ma camminai per chilometri avanti e indietro per i padiglioni, seguito dal fedele Paolino che sono certo dopo meno di un’ora si era già pentito di essere venuto con me.
Era la prima volta, quella che non si dimentica mai. Ogni edizione dell’EICMA (che allora era biennale) richiama un ricordo diverso: sognare davanti alle Valenti e Tresoldi 80, rimanere senza parole di fronte alle Gilera RV e le Honda NS, infine sbavare al cospetto della Gilera (ancora una Gilera!) Arizona 250, l’Aprila RC 250 Rally ed infine la mia preferita, la Yamaha TT350.
Sembra impossibile che da quei giorni siano già passati 32 anni… voglio dire… quando ero un ragazzino pensavo che nel 2000 avrei avuto 32 anni, un vecchio! E adesso eccomi qui a parlare dei bei tempi andati come un nonnetto al bar sport.
Ma non vi confondete: sebbene io ami le linee classiche delle moto Anni ’60 e ’70, so apprezzare al 100% l’affidabilità, le prestazioni e la guidabilità delle moto moderne. Incredibile pensare a come si siano evoluti telai, freni e sospensioni rispetto a quanto avevo a disposizione sulla mia Zundapp KS 125 (con l’adesivo 175 taroccato per poter andare in tangenziale…).
Comunque, che ci crediate o no, da quei primi Anni ’80 io di “Saloni” ne ho persi forse solo 3 o 4. Li ho fatti da appassionato, poi da giornalista, poi da fotografo, poi da commerciale e poi tutto assieme, perché in questo mondo a due ruote finisci sempre per indossare due (o anche tre) maglie alla volta. Negli anni gli amici con cui andavo a girare nei boschi dietro a Varese sono diventati imprenditori di alto livello, oppure i figlioletti dei titolari di allora sono adesso a capo dell’azienda di famiglia: siamo cresciuti assieme e in qualche modo, al momento di varcare l’ingresso dell’EICMA, mi sembra sempre un po’ come aprire la porta di casa. Ci possono essere ospiti, nuovi amici venuti da vicino o anche da molto lontano, ma il nucleo della famiglia, tutti i miei fratelli e sorelle, sono li ad aspettarmi. Con alcuni ho condiviso infinite trasferte in camion o in macchina per seguire le gare in Europa, con altri ci siamo persi nei meandri del porto del Pireo mentre cercavamo l’albergo (avete presente come scrivono i greci, vero?), con altri ancora ci siamo incontrati nelle situazioni più improbabili mentre visitavamo un fornitore o un cliente dall’altra parte del mondo. C’è anche chi in questi anni se ne è andato via, ha mollato, ha trovato un “lavoro serio”. Ma ogni sera, ne sono convinto, rientrando nel traffico sogna a occhi aperti di quando la sua unica preoccupazione era azzeccare la carburazione del duemmezzo o convincere il coriaceo importatore tedesco a credere nella nuova linea di caschi o abbigliamento.
Per me, personalmente, da qualche anno le cose sono ulteriormente cambiate. Nel senso che da quando vivo negli Stati Uniti la mia visione della fiera è andata progressivamente modificandosi. Dopo anni di “militanza” devo ammettere che ad un certo punto avevo iniziato a dare per scontati lo sfarzo degli stand, la carrellata di novità, la sfilata di supermodelle e i plotoni urlanti di adolescenti alla caccia di un adesivo o un portachiavi. Il mio lavoro sempre più si svolgeva dietro le quinte, tra porte chiuse e riunioni fuori orario, nelle giornate riservate agli operatori e alla stampa. Certe cose non le vedevo più o semplicemente le consideravo un ovvio corollario alla solita routine.
In America mi ci sono trasferito definitivamente subito dopo il Salone del 2008, esattamente il 7 novembre. Ricordo di aver fatto il giro per salutare tutti, dicendo che la prossima stagione non mi avrebbero più visto sulle piste, almeno non quelle europee. Mi sono staccato, ho assunto una nuova prospettiva, un nuovo punto di vista.
E da lì in poi per me è stato come tornare ragazzino. Ogni anno vengo in Italia apposta per l’EICMA ed invariabilmente rimango a bocca aperta davanti allo “sfarzo degli stand, la carrellata di novità, la sfilata di supermodelle e i plotoni urlanti di adolescenti alla caccia di un adesivo o un portachiavi”. In America, nella grande America non esiste niente di paragonabile, anzi non esiste niente di paragonabile in tutto il resto del mondo. Da nessun’altra parte ci sono così tante moto, accessori, caschi, abbigliamento, piloti, giornalisti ed appassionati riuniti sotto un unico tetto per 5 giorni. Ne in America ne in alcun’altra parte del mondo ho provato la stessa adrenalina e lo stesso senso di appartenenza, le stesse farfalle nello stomaco e lo stesso orgoglio che forse ho sempre inconsciamente avvertito all’EICMA ma che solo la lontananza e un diverso punto di vista hanno fatto riaffiorare.
Ebbene sì, ogni anno, dal 2009 in poi, mi è sembrato di rivivere un po’ “la prima volta”, quell’unico e irripetibile Salone del 1983, quando la notte successiva non riuscii a dormire pensando a cosa ci sarebbe voluto per comprare questa o quell’altra moto, a quanto avrei dovuto insistere con i miei per questo o quel casco o per l’emozione ancora freschissima di avere intravisto il mio idolo Michele Rinaldi.
Pietro Ambrosioni