“Tony Cairoli, the Movie”, il film sul campione
Chi l’avrebbe immaginato, che quello scricciolo aggrappato alla prima moto si sarebbe issato sul tetto del mondo? Il più stupito, sembra essere proprio lui: malgrado gli otto titoli, Tony conserva un’aria timida, per nulla spavalda. Forse per questo non anima il mondo del jet set, anche se ne avrebbe tutti i motivi. Ma in fondo gli sta bene così: è rimasto un puro, dentro e fuori.
Mostra solo per pochi fotogrammi quelle tre parole, “Velocità fango e gloria”, tatuate sulle spalle; gli avversari sono ormai abituati a leggerle mentre lo inseguono in pista e lui è lanciato verso l’ennesimo traguardo. Il prossimo è quello assoluto: raggiungere, e magari superare, la leggenda Stefan Everts, che nel 2006 vinse il suo decimo iride.
Antonio, che ha settembre ha compiuto 29 anni ed è nella pienezza psico-fisica, è arrivato ad otto: inutile girarci intorno, l’obiettivo è quello.
Intanto, la storia del ragazzo nato nella polverosa Patti che con tenacia ha realizzato i suoi sogni, è diventata un film, un bel film: “Tony Cairoli The Movie”, diretto da Nick Janssen e Jean-Paul Maas, è dal 27 ottobre in 25 multisale del Circuito Uci Cinemas di tutt’Italia, da Catania a Venezia, da Cagliari a Moncalieri. L’elenco completo è sul sito ucicinemas.it; i biglietti possono essere prenotati anche attraverso Facebook.
Il film - la cui visione consigliamo non solo agli appassionati di motocross, ma a quanti hanno un sogno da raggiungere - racconta la carriera e la vita del campionissimo: la sua realizzazione ha richiesto mesi mesi di riprese sui tracciati di gara e comprende interviste a familiari, amici e colleghi. Non si tratta di un banale omaggio al pilota più vincente degli ultimi anni, ma di un documentario che scava nel profondo la sua personalità, fornendone un ritratto credibile e molto umano.
In occasione della prima romana, abbiamo approfittato della disponibilità di Tony Cairoli per strappargli un'intervista: ecco come ha risposto alle nostre domande.
Il film racconta la storia di un ragazzo che diventa campione: con quali percentuali nella tua storia hanno contato la determinazione, la voglia di farcela, la fortuna, il talento?
«Definire le percentuali con le quali incidono talento, voglia di farcela e fortuna è impossibile: di sicuro però servono tutte, altrimenti non si arriva a traguardi importanti come gli otto titoli mondiali finora vinti. La voglia di fare, la determinazione, la volontà di emergere da una situazione disagiata com’era la mia da ragazzo ha contribuito senz’altro a formare il mio carattere: quando vieni da un piccolo paese di Sicilia e la tua famiglia non ha i mezzi economici per supportarti, l’unica possibilità che ti resta è quella di mettercela tutta e crederci fino in fondo. La mia storia insegna questo: se sei determinato e costante, qualsiasi traguardo è a portata di mano».
Ci racconti tre episodi felici della tua carriera sportiva ed umana che ricordi con più piacere?
«La prima vittoria, indimenticabile, a Namur, in Belgio. Oggi non si corre più su quella pista per ragioni di sicurezza: era un tracciato storico molto affascinante che potremmo paragonare a Montecarlo per la Formula Uno, solo che a Namur invece di gallerie e tornanti ci sono il bosco ed i bastioni della fortezza sui quali si passava.
Ancora, ricordo con molto piacere il primo titolo Mondiale, conquistato sulla sabbia di Lierop, una soddisfazione incredibile e la conquista dell’ultimo titolo che volevo fortemente per dedicarlo ai miei genitori».
Quali invece i momenti più tristi o sfortunati?
«Tra i più tristi, senz’altro la scomparsa di mia madre nel 2011 e poi quella di mio padre quest’anno. Il momento sfortunato non saprei indicarlo, e quello più brutto di sicuro l’episodio che mi ha visto protagonista della squalifica in Francia nel 2005; reagii male, d’istinto, ad un avversario che mi aveva buttato per terra per l’ennesima volta e rimediai una squalifica che poteva costarmi il titolo; però dagli errori si deve sempre imparare ed oggi, sicuramente, non rifarei un errore simile».
A quali persone credi di essere in qualche modo debitore se oggi sei pluricampione di cross?
«Alla mia famiglia, senza ombra di dubbio, hanno fatto tutto il possibile ed anche di più per farmi andare avanti: senza di loro non sarei qui oggi a fare quest’intervista. Poi c’è Claudio De Carli e tutto il Team, che sono divenuti la mia seconda famiglia: spostarmi da loro a Roma nel 2004 ha dato una svolta decisiva alla mia carriera. E poi, come non citare la mia fidanzata Jill? Lei è parte fondamentale della mia vita».
Cosa consiglieresti ad un ragazzo con la passione delle gare che volesse imitare la carriera di Cairoli?
«Un consiglio, innanzi tutto, lo vorrei dare ai genitori: non forzate i vostri figli, non metteteli in moto aspettandovi grandi cose. Fateli solo divertire, se son rose fioriranno. Ai ragazzi che volessero provare col cross dico solo di avvicinarsi a questo sport meraviglioso, con il giusto atteggiamento, senza cioè prenderlo sottogamba. Per arrivare in alto ci vuole tanto lavoro, tanto sacrificio e tanta dedizione, ma non smettete mai di divertirvi».
Foto di Stefano Taglioni
poco risalto
Bellissimo non solo per gli appassionati