Aermacchi Ala d’Oro: la più veloce del mondo
Delle Aermacchi a cilindro orizzontale ci siamo già occupati qualche anno fa. Stavolta analizziamo in particolare il modello da corsa, la famosa Ala d’Oro, e parliamo anche dei prototipi poco noti, con distribuzione bialbero, da essa derivati.
La storia di questa moto, direttamente estrapolata dai normali modelli stradali, mostra chiaramente come, grazie ai miglioramenti via via apportati nel corso degli anni, sia stato possibile raggiungere risultati formidabili in termini prestazionali.
Già poco tempo dopo la sua comparsa, l’Ala d’Oro era probabilmente la 250 di maggiore interesse per i piloti privati e per gli juniores.
Ben presto le vittorie hanno iniziato ad arrivare, non soltanto in Italia, e si sono susseguite per lungo tempo. Nel curriculum agonistico spiccano ben nove campionati italiani della montagna (quattro dei quali per merito del comasco Angelo Tenconi), conquistati tra il 1965 e il 1973, e quattro titoli Juniores. Numerosi sono stati anche i campionati conquistati all’estero. Vanno pure ricordate due vittorie alla 100 miglia di Daytona (1963 e 1964).
C’era anche la versione 350, che è stata costruita in un numero nettamente minore di esemplari, tra il 1964 e il 1971, e che ha ottenuto un notevole successo.
La prima Ala d’Oro è stata la 175; ben presto però la casa ha perso interesse per questa classe di cilindrata, concentrando i suoi sforzi sulla 250 (e, in seguito, anche sulla 350).
Le Ala d’Oro sono state impiegate per diversi anni anche nei Gran Premi, con ottimi risultati. Spesso, subito dopo moto specificamente nate per tale tipo di impiego (MV tre cilindri, Benelli quattro, Morini bialbero) c’erano loro. In varie occasioni l’Aermacchi ha schierato un paio di moto ufficiali, direttamente uscite dal suo reparto corse, con piloti come Renzo Pasolini (fino al 1966), Alberto Pagani e Gilberto Milani.
L’Ala d’Oro 250 ha fatto la sua comparsa nel 1960, poco tempo dopo la 175. Inizialmente si trattava solo di una moto stradale preparata per le corse, ma in seguito l’evoluzione ha portato a soluzioni specificamente sviluppate per impiego agonistico, come un nuovo telaio con piastre nella zona posteriore (1966), per non dire delle sospensioni e dei freni, che da un certo punto in poi non hanno più avuto nulla a che fare con quelli impiegati nella produzione di serie.
Nei modelli stradali, tra i quali spiccava la sportiva Ala Verde, il motore era a corsa lunga (66 mm x 72 mm) e aveva il cilindro in ghisa; sulla Ala d’Oro però si è ben presto passati a un alesaggio di 72 mm e a una corsa di 61 mm, con un nuovo cilindro in lega di alluminio con canna riportata. Naturalmente le misure delle valvole sono via via aumentate. Hanno inoltre fatto la loro comparsa una biella specificamente realizzata, che differiva da quelle dei motori di serie sia come disegno che come robustezza, e un pistone forgiato al posto di quello fuso in conchiglia impiegato nelle prime versioni (e nei modelli stradali).
A metà degli anni Sessanta è stata adottata una frizione a secco e, poco dopo, l’albero a gomito è stato modificato e dotato di volantini a mannaia (e non più discoidali); inoltre alla sua estremità sinistra è stato montato un volano esterno. Verso la fine della evoluzione di questo modello hanno fatto la loro comparsa perni dei bilancieri eccentrici per la regolazione del gioco delle valvole, al posto degli usuali registri a vite.
Nel reparto corse sono state provate diverse lunghezze della biella e diverse altezze del cilindro. Rispetto a quelle impiegate nella produzione di serie, le aste della distribuzione sono diventate più corte e di maggiore diametro (ma con minore spessore di parete). Nell’ultimo periodo di produzione pare sia stato realizzato anche un certo numero di motori con un alesaggio di 74 mm e una corsa di 58 mm. Le Ala d’Oro 250 sono arrivate ad erogare circa 33 cavalli a 10.000 giri/min.
Nonostante lo straordinario sviluppo del quale questi motori erano stati oggetto, a un certo punto è stato chiaro che la distribuzione ad aste e bilancieri costituiva un serio limite al raggiungimento di potenze sempre più elevate. Per questa ragione nel reparto corse della Casa sono stati realizzati, nel 1967, due motori con testa bialbero (forse a quattro valvole), che però, per decisione dei vertici aziendali, non sono usciti dallo stadio di prototipo.
Gli alberi a camme venivano azionati da una cascata di ingranaggi posta sul lato sinistro. Nello stesso periodo, Celestino Piva, del reparto esperienze della Aermacchi, agendo per proprio conto al di fuori degli orari di lavoro ha costruito un altro motore bialbero. In questo caso a comandare gli alberi a camme provvedevano un alberello ausiliario e due coppie coniche, posti sul lato destro. Pure questo interessante monocilindrico non è uscito dallo stadio sperimentale.
Nel 1967 lo svizzero Marly Drixl, che all’epoca viveva a Milano, ha presentato un telaio per le monocilindriche Aermacchi da competizione con disegno a doppia culla continua rialzata, che è stato costruito per un certo tempo, in un ridottissimo numero di esemplari: erano nate le Drixton. Veniva offerta anche la moto completa, con una forcella B&B costruita a Trezzano sul Naviglio.
È interessante osservare che i telai di questo tecnico svizzero sono in seguito diventati più noti e diffusi nella versione studiata per ospitare il motore bicilindrico Honda 450.
E che solo in in un successivo momento optò per la soluzione monoalbero delle Ala d'oro 250.
(Motivazione dettata dai limitati finanziamenti e ristrettezze economiche di Aermacchi e dello stesso Tonti, che si vide a metà progetto menomato del suo "pezzo forte").
Si tratta di un refuso quello che viene riportato in alcuni articoli che indicano l'accoppiata di due mono monoalbero Ala d'oro sin dall'inizio?
Chiedo tutto ciò dopo aver avuto modo di parlare con chi quella moto oggi la tiene custodita gelosamente.