Esaltare Fleximan è apologia di reato? Ecco cosa ne pensa il legale
Da quando l'oscuro soggetto chiamato Fleximan ha inziato ad abbattere i pali degli autovelox un'onda di commenti ha sommerso ogni articolo o post social avente questo argomento.
Molti di questi commenti rimarcano l'esasperazione di una parte di utenza verso l'apposizione degli autovelox in punti dove è facile oltrepassare il limite di velocità, altri ritengono che talvolta i limiti siano incomprensibilmente bassi, alcuni pur notando come il gesto sia in sè un atto illegale sia almeno un segnale di una qualche ribellione a un modo di multare gli utenti della strada che a volte sembra più orientato a far cassa che a far prevenzione. Altri, e sono tanti, incitano, approvano, sostengono ed esaltano l'operato di Fleximan con frasi ad effetto (talvolta così argute ed ironiche che ci strappano volentieri una risata) che però - come segnalato Procuratore della Repubblica di Treviso Marco Martani - potrebberoo configurare la fattispecie penale di apologia di reato. Migliaia di italiani potrebbero essere accusati ed eventualmente condannati per apologia di reato se nei commenti social o in altro modo si esprimono a favore di Fleximan?
Questo è stato il quesito che abbiamo posto all'Avvocato Giovanni di Benedetto che ci ha risposto così:
L'art. 414 del Codice Penale stabilisce la pena della “...reclusione da uno a cinque anni per chi pubblicamente fa l'apologia di uno o più delitti. La pena ... è aumentata se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.” Ci chiediamo dunque se le lodi e le dichiarazioni di approvazione e solidarietà dilaganti sui social in favore dell'ormai arcinoto Fleximan possano in concreto integrare la fattispecie di reato. Ora, occorre in primis chiedersi se la distruzione di autovelox messa in atto da Fleximan integri effettivamente un reato e più specificamente un delitto.
A mio parere sì, per come ho già avuto occasione di affermare in precedenza. In proposito, non trovo condivisibile l'inquadramento della fattispecie -minoritario- nell'ambito meramente amministrativo ex art. 15 c.d.s., dato che un autovelox non mi pare un'opera o un impianto che “appartiene” alla strada (art. 15, lettera “a”, cds), né un manufatto “attinente” alla segnaletica stradale (art. 15, lettera “b”, cds), quanto piuttosto un bene strumentale all'attività di polizia stradale, pubblico servizio. Tanto più che l'imperfetta corrispondenza tra le condotte descritte nell'art. 15 del codice della strada e nell'art 635 del codice penale (in combinato disposto con l'art. 625, n. 7, c.p.) ingenera anche dubbi di non poco momento in ordine all'utilizzabilità del criterio di specialità nella fattispecie in esame, posto peraltro che tale criterio, portato dall'art. 9 della legge 689/1981, affanna ancora oggi nell'incertezza interpretativa sia i teorici che i pratici del diritto. Ciò detto, se distruggere un autovelox è reato, come ritenuto dai più -ed in particolare è un delitto, dato che la fattispecie prevista dall'art. 635 c.p. rientra tra i delitti contro il patrimonio mediante violenza alle cose o alle persone – dobbiamo ancora chiederci quale condotta integri l'apologia penalmente rilevante, ed anche se possa ritenersi che gli agiografi dei social abbiano commesso apologia “pubblicamente”. Per aversi apologia non basta, secondo la giurisprudenza, un'espressione di approvazione nei confronti del reo; occorre, in estrema sintesi, che questa sia tale da generare un concreto pericolo di emulazione: in altre parole, il giudice dovrà accertare se la condotta abbia in concreto messo in pericolo l'ordine pubblico. Ben si percepirà che la definizione lascia al decidente un certo margine di apprezzamento discrezionale.
Mi pare peraltro che la potenzialità offensiva della condotta risulti in concreto legata a doppio filo con la sua pubblicità. Ed invero, credo che un commento scritto sui social da un profilo privato, non leggibile dalla generalità degli utenti, indipendentemente dalla sua intrinseca intensità, o suggestività, possa esprimere un'offensività assai limitata, o per meglio dire non possa generare pericoli apprezzabili per l'ordine pubblico, né considerarsi una condotta messa in atto “pubblicamente”. Dunque tale condotta certamente non rientrerebbe nell'alveo della fattispecie di reato, ovvero sarebbe penalmente irrilevante. Vedo diverso il caso dei profili aperti, ancor più se riconducibili a personaggi pubblici o per qualsiasi motivo noti o particolarmente seguiti: in quel caso, la notorietà dell'agente e la sua capacità suggestiva potrebbero comportare un più serio pericolo di emulazione e quindi di turbamento dell'ordine pubblico: ne scaturirebbe la probabile rilevanza penale della condotta. Altresì, non credo si debba sottovalutare l'eventuale particolare visibilità dell'arena virtuale nella quale l'agente -magari un perfetto sconosciuto- si sta esprimendo. Né, va dimenticato che i commenti sui social vengono per forza espressi “attraverso strumenti informatici o telematici”, circostanza questa che nel caso venisse accertata l'apologia comporterebbe un aggravamento della pena. In definitiva, l'ipotesi del Procuratore Martani non può essere semplicisticamente bollata come un'esagerazione o una forzatura, ma va tenuta in serissima considerazione, e ciò in modo particolare da personaggi pubblici, influencers di qualsiasi cabotaggio e perfino da privati che solo occasionalmente vivono una circostanza di particolare esposizione.
Ci mettiamo in scia all'Avvocato Di Benedetto: per non incorrere in reati quando si commenta o si esprime un'opinione sui social occorre sempre prudenza e misura, oltre che attenersi alle norme di legge.
tanto poi chi paga i danni (oltre alle multe) siamo noi