Honda, Triumph, Ducati e le moto Made in Thailandia
Incentivi agli investimenti, capacità e qualità produttiva, posizione geografica favorevole, esenzione da dazi doganali molto elevati.
E' questo ciò che offre la Thailandia a chi vuole aprire impianti produttivi nei suoi confini. E' stato così che nel giro di una decina di anni il paese asiatico si è trasformato da un piccolo produttore di moto superiori a i 500 cc a grande esportatore in quella che è l'area di maggior sviluppo mondiale del settore e non solo in quella.
Con una popolazione di 67 milioni di abitanti, e con un Pil procapite di 16.000 dollari l'anno (è superiore a quello di alcuni paesi europei come Romania o Serbia), la Thailandia accoglie impianti produttivi e di assemblaggio di Honda, Yamaha, Kawasaki, Suzuki, Triumph e Ducati, mentre Harley-Davidson ha annunciato l'apertura di una fabbrica dopo quella già realizzata in India.
L'Indonesia, poi la Malesia e il Vietnam sono altri paesi capaci di attrarre importanti costrutteri, ma questa volta vogliamo concentrarci sul fenomeno tailandese.
Dazi terribili
Un mercato interno che tira fa certamente da volano agli investimenti stranieri. A maggior ragione per le marche occidentali che, se vogliono vendere in quel paese, devono pagare dazi molto elevati: il 60% in Thailandia e fino al 100% in altri paesi di quell'area ASEAN della quale fanno parte Thailandia, Indonesia, Filippine, Malesia, Vietnam, Singapore, eccetera.
Le nazioni del sud est asiatico che compongono questa associazione hanno anche creato accordi di libero scambio commerciale: un'azione concepita per attrarre aziende straniere. La cosa è naturalmente vantaggiosa anche per il costo del lavoro contenuto, il che dà competitività alle vendite locali e all'esportazione.
Ci sono poi gli incentivi governativi erogati dal BOI (Thailand Board of Investment) dedicati agli investimenti stranieri.
Nel 2012 un pacchetto di incentivi è andato alla produzione di moto superiori a 500 cc e l'anno dopo il sostegno fiscale è stato esteso alla produzione di moto superiore ai 250 cc. Che sono poi un buon numero di modelli di cilindrata medio bassa che arrivano pure in Europa.
Lo stesso BOI ha negoziato con Ducati e Triumph l'apertura degli impianti prima di quella data.
Recentemente il governo ha stanziao la somma di 110 milioni di dollari per la realizzazione di un centro tecnico e di collaudo a favore delle industrie delle due e quattro ruote attive sul territorio.
Per i costruttori giapponesi la questione dazi è superata, perché esiste un accordo bilaterale di libero scambio con la Thailandia, tuttavia il vantaggio economico nel delocalizzare la produzione per vendere lì e per esportare è ovviamente alto.
Mercato interno ed export
Nel 2017 la vendita di moto e scooter in Thailandia ha superato la cifra di 1,8 milioni; per dare l'idea di grandezza basta ricordare i circa 1,1 milioni di veicoli a due ruote venduti nell'intero mercato europeo che conta 28 nazioni.
E' vero che circa la metà delle vendite tailandesi è composta da veicoli di piccola cilindrata, dai 100 ai 150 cc, ma la recente tendenza è al rialzo. Honda detiene ben il 78% del mercato e Yamaha, al secondo posto, il il 15%; tuttavia nel 2017 il suo incremento è stato del 20%.
A ben guardare già nel 2012 le vendite in Thailandia avevano superato 2,1 milioni di unità, ma poi c'era stato un calo motivato dalla gravissima crisi politica interna, fino ad arrivare al 2017 con la prima ripresa del +4,5% rispetto all'anno precedente. Nel frattempo ha ripreso a crescere anche il turismo che è la voce principale nell'economia nazionale assieme all'industria manifatturiera.
Se i dati disponibili valutano in circa un milione di esemplari il numero delle moto oltre 500 cc che è stato venduto l'anno scorso nel mondo, per un fatturato prossimo a 10 miliardi di euro, si nota che quasi il 15% di queste moto è stato prodotto in Thailandia. Gli analisti stimano che la produzione valga un miliardo di euro, tenuto conto che Europa, Giappone e USA costruiscono modelli venduti a un prezzo superiore.
Nel 2015 in Thailandia sono state assemblate o costruite 120.000 moto di media cilindrata, di queste 90.000 sono state esportate. Nel 2016 i volumi sono saliti rispettivamente a 175.000 e 135.000. E la previsioni di crescita delle vendite interne nel 2018 per le oltre 400 cc è stimata nel 10-15%.
Un grande affare
Honda ha delocalizzato una parte significativa della produzione giapponese e ora costruisce in Thailandia non meno di 16 modelli fino a 750 cc di cilindrata (vedi la serie CB500, le CB650, la CMX500, la MSX 125, eccetera) che poi vengono esportati in gran parte del mondo. Il costruttore giapponese ha fatto investimenti di tale entità per cui oggi oltre il 90% delle componenti che usa per la costruzione dei questi modelli è realizzato localmente.
Lo stabilimento Ducati inaugurato nel 2011 nella provincia di Rayong (dove arriverà anche Harley-Davidson) ha una capacità teorica di 20.000 moto assemblate l'anno. Anche la nuovissima Panigale V4 destinata ai mercati del sud est asiatico sarà assemblata lì per non essere penalizzata dai dazi. Vale lo stesso discorso per le Scrambler che già sono costruite a Rayong e che sono destinate anche al mercato nordamericano e australiano.
L'inglese Triumph è stata la prima casa non giapponese ad approdare in Thailandia nel 2002 pensando alla leva dell'esportazione, non soltanto per assemblare ma anche per produrre molte componenti in loco (motore, ciclistica e sovrastrutture) nei tre stabilimenti di Chonburi: almeno il 40% del veicolo deve infatti essere made in Thailand per essere venduto localmente.
Peraltro Triumph produce nei suoi stabilimenti tailandesi anche telai, forcelloni, serbatoi e altro che poi spedisce alle sue linee di montaggio di Hinckley.
Nel 2017 Triumph dovrebbe nuovamente confermare la produzione nel paese asiatico di oltre 40.000 moto: l'80% dei modelli che ha venduto nel mondo.
La zona industriale a sud di Bangkok dove ci sono Triumph e Ducati vede anche la presenza di Honda e di altre fabbriche di componentistica come Kayaba, Ohlins, FCC (frizioni), Basf (catalizzatori). La Thailandia, oltre a essere geograficamente vicina agli altri importanti mercati dell'area nella quale esporta, è logisticamente prossima a paesi ricchi di tecnologia come il Giappone con i suoi acciai speciali o la Corea con le sue evolute lavorazioni dell'alluminio.
A confermare l'importanza motociclistica crescente del paese ci sono infine i campionati del mondo Motocross e Superbike, sbarcati da qualche anno in Thailandia, e il riconoscimento della MotoGP che per la prima volta andrà a correre quest'anno in Thailandia.
O meglio, un'equazione.
La globalizzazione cresce, la rete di trasporti mondiale sempre più efficiente ed economica, quindi è normale che andare nei paese "vantaggiosi" diventa sempre più conveniente.
La logistica costa sempre meno, l'Italia costa sempre di più e le aziende sono tartassate da uno stato il cui unico scopo è trovare un motivo per chiedere maggiori soldi....
Tuttavia, a chi vanno i benefici di queste scelta?
Mi spiego meglio, e premetto che lo faccio soltanto per amore di analisi: andare a produrre in un paese dove i fattori produttivi sono più economici o i mercati più accessibili genera certamente un vantaggio competitivo. Ma chi è che gode di questo vantaggio? L'azienda? I consumatori/motociclisti? I manager? Gli stati esteri sede dei nuovi stabilimenti?
Ecco, quando sento che una Verlicchi chiude perché i suoi telai costano qualche dollaro in più di quelli costruiti in Vietnam questa domanda me la pongo e oggettivamente non so rispondermi con certezza. Certo, se i prezzi delle moto re-importate non rispecchiano il vantaggio della delocazzazione vuol dire che i consumatori non ne hanno tratto alcun beneficio diretto. Ma è la globalizzazione, baby. Il mercato è il mio pastore, il mondo è una sola sede produttiva, il gioco è globale.
Ducati, Triumph, KTM, BMW ecc. fanno benissimo a produrre fuori dai confini nazionali, proprio perché ormai risulta difficilissimo stabilire dove abbia sede un'azienda (predete FCA, per esempio) e quindi non si pone nemmeno il problema etico di curare eventuali interessi nazionali.
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