I fantastici Supermono da gara
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Per gli amanti dei grossi monocilindrici il periodo che va dalla metà degli anni Ottanta a quella del decennio successivo è stato straordinario.
A renderlo tale non è stato tanto il numero di nuovi modelli che sono stati presentati ma l’evoluzione derivante dalla esigenza di essere competitivi nella Parigi/Dakar e nelle gare dei Supermono. La maratona attraverso il deserto ha acquisito una importanza crescente (fino al 1993 circa, dopo di che le case ufficiali hanno iniziato a ritirarsi) e ciò ha spinto alcuni costruttori a schierare motori specificamente studiati per questo tipo di impiego.
In genere si trattava di grossi monocilindrici, spesso sviluppati partendo da modelli di serie ma in qualche caso addirittura inediti.
I Supermono, che già avevano iniziato ad essere piuttosto popolari all’estero, sono approdati da noi all’inizio degli anni Novanta. Le prime due gare italiane le ho organizzate io come “sperimentali”, facendole inserire in manifestazioni dei motoclub Inverunese e Berardi Riccione sulle piste di Monza e di Misano.
C’è stato un buon interesse e nel 1993 la FMI ha istituito il campionato per le moto di questo tipo. È cominciata così una breve e appassionante stagione che per molti versi appare irripetibile.
Inizialmente venivano impiegate realizzazioni artigianali, con telaisti come Moretti e Golinelli che davano sfogo alla loro abilità e alla loro creatività. Oltre alle ciclistiche costruite ad hoc ce ne erano altre semplicemente prelevate da modelli stradali sportivi di diversa cilindrata, come la Cagiva Mito.
In quanto ai motori, che in genere venivano profondamente modificati, si impiegavano quelli delle enduro stradali come la Yamaha XT 600 (e poi 660) o, meno frequentemente, della Honda XL 600 (o della Dominator).
A quest’ultimo ha pensato Rumi che ne ha addirittura realizzato una versione dotata di un nuovo gruppo termico, con raffreddamento ad acqua, distribuzione bialbero e cilindrata portata a 700 cm3 mediante aumento dell’alesaggio, che dai 100 mm del Dominator era passato a 104 mm.
Di una buona diffusione hanno goduto anche i monocilindrici delle enduro competizione Husqvarna e KTM. Questi motori erano compatti e leggeri, non avevano alcun albero di equilibratura e disponevano già in origine di una potenza ragguardevole.
Dal suo monoalbero di serie raffreddato ad aria di 560 cm3 la Rotax ha addirittura ricavato una versione di 600 cm3 specificamente destinata alle gare dei supermono. Il raffreddamento ad aria veniva mantenuto solo per il cilindro, mentre la testa, completamente nuova, era refrigerata ad acqua ed era dotata di una distribuzione bialbero. La potenza del motore, così come fornito dalla casa, era di una settantina di cavalli.
Il Suzuki Big aveva dalla sua la cilindrata ma, oltre ad essere grosso e pesante, aveva una corsa di ben 90 mm (nella versione 800; per la 750 ci si accontentava di 84 mm…). Da noi lo hanno utilizzato in pochi, al contrario di quanto accaduto in Germania.
La Gilera ha cominciato impiegando la sua Saturno bialbero, una sportiva stradale bellissima ma non certo pensata per un impiego agonistico. Molto rapidamente però i tecnici di Arcore hanno sviluppato una nuova moto specificamente studiata per questo tipo di competizioni, dotata di un telaio a doppia trave in lega di alluminio e denominata Piuma 600. Il motore, notevolmente potenziato rispetto a quello di serie, era stato dotato di un nuovo basamento fuso in terra.
Nel primo anno di gare la Yamaha-Byrd ha impiegato il motore a quattro valvole raffreddato ad aria della XT 600, che però non si è dimostrato pienamente alla altezza delle aspettative.
Si è passati allora al monocilindrico 660 a cinque valvole, pesantemente modificato dall’ing. Mariani, al quale era stato affidato il compito di sviluppare la versione da corsa del motore di serie. La cilindrata è stata portata a 734 cm3 mediante incremento dell’alesaggio, cresciuto di ben 5,5 mm rispetto a quello originale; ciò ha reso necessaria l’adozione di una canna riportata in ghisa. La potenza è arrivata a superare gli 80 cavalli.
Prima di varare il programma che ha portato alla realizzazione di questo supermono (vincitore del campionato nel 1995) la Yamaha ha sondato la strada con un prototipo nel quale, nel telaio di una 125 sportiva stradale, era stato installato un motore di 753 cm3 di una moto della Parigi-Dakar. L’azienda ha dimostrato di credere nelle grosse monocilindriche sportive stradali realizzando nel 1995 la SZR 660 con telaio a doppia trave in alluminio e motore della Tenerè, ma i risultati commerciali sono stati deludenti.
La Ducati ha varato il “progetto supermono” affidandone la responsabilità al giovanissimo ing. Domenicali che ha realizzato una moto splendida, dotata di un nuovo motore, sempre con distribuzione desmodromica comandata da una cinghia dentata.
Si trattava in pratica di un bicilindrico bialbero privato del cilindro verticale, al posto del quale in un apposito “rigonfiamento” della parte superiore del basamento trovava posto un equilibratore dinamico molto efficace e decisamente innovativo per il settore moto.
Era costituito infatti non da un albero ausiliario ma da una massa oscillante azionata da una biella, montata sul perno di manovella dell’albero a gomito a fianco della biella “vera”. All’interno della casa bolognese il sistema è stato chiamato “a batacchio”. La cilindrata di questo eccellente motore non poteva essere portata a livello di quella della concorrenza, ma i regimi di rotazione che raggiungeva erano impensabili per gli altri. La moto inoltre era particolarmente agile e leggera. Al termine della evoluzione alla prima versione, di 550 cm3 se ne è aggiunta un’altra di 572 cm3 che erogava circa 80 cavalli a 10.000 giri/min. Questa moto, prodotta in soli 67 esemplari (oggi ricercatissimi), si è imposta nel campionato del 1993.
Pure la Bimota è scesa in campo nelle gare dei Supermono. Inizialmente ha impiegato il motore Gilera ma ben presto è passata al BMW 650. Questo monocilindrico bialbero raffreddato ad acqua è nato con una testa a cinque valvole e ha equipaggiato l’Aprilia Tuareg a partire dal 1992.
Poi è entrata in scena la BMW che ha profondamente riveduto il progetto adottando una bronzina anulare per la biella e, soprattutto, realizzando una nuova testa a quattro valvole. Di questo motore, impiegato sulla F 650 di serie della casa bavarese, la Bimota ha sviluppato la sua versione supermono, con cilindrata portata a 726 cm3 (719 per la variante “clienti”) mediante incremento dell’alesaggio. Era anche previsto un modello stradale, con motore di 650 cm3, che è stato regolarmente omologato e costruito in un numero ridottissimo di esemplari.
L’entrata in scena di moto ufficiali prodotte da case come la Gilera, la Ducati, e la Yamaha-Byrd ha modificato la scena iniziale delle gare dei Supermono, riducendo lo spazio a disposizione dei preparatori e rendendo via via meno competitive le realizzazioni artigianali (ciò ha portato anche a una diminuzione del numero dei partecipanti).
È stato un vero peccato perché la creatività non mancava di certo e di passione ce ne era tanta…
Tra i piloti protagonisti delle gare supermono vanno ricordati almeno Dal Maso, per diverso tempo pressoché imbattibile, Teneggi e i tre vincitori dei campionati, ossia Lucchiari, Pasini e Guareschi.
tra le curve dell'Appennino si fanno ancora valere, in discesa e quando piove ancora di più, cioè quando i cv non bastano per stare davanti.
Mauro - Bologna