La definitiva supremazia nella classe 500 dei motori a 2 tempi
Agli inizi degli anni Settanta era ormai chiaro che rispetto ai loro cugini a quattro tempi i 2T consentivano di ottenere potenze specifiche nettamente più elevate.
In campo agonistico la superiorità appariva ormai sempre più evidente. L’ultima paladina dei 4T è stata la MV Agusta che però ben presto è stata costretta anche lei a cedere le armi.
Gli ultimi mondiali li ha conquistati nel 1973 e nel 1974 rispettivamente nelle classi 350 e 500. Pure per quanto riguarda la produzione di serie nelle piccole cilindrate la lotta appariva impari, in termini di prestazioni. E qualcuno ha anche pensato che i motori a due tempi potessero rivelarsi vincenti pure tra le maximoto, delle quali era ormai iniziata l’era…
La Kawasaki ha mostrato che razza di prestazioni era possibile ottenere con una tricilindrica di soli 500 cm3, presto seguita da versioni di differente cilindrata realizzate con identico schema. Si trattava della H1 (nota anche come Mach III) con raffreddamento ad aria, aspirazione controllata dal pistone e quattro condotti di travaso per ogni cilindro. L’albero a gomiti composito (9 parti unite per forzamento) poggiava su 6 cuscinetti di banco. Con un alesaggio di 60 mm e una corsa di 58,5 mm, il motore erogava 60 CV a 7500 giri/min e consentiva alla moto accelerazioni brucianti. Di questo modello, presentato nel 1968, è stata anche realizzata una versione da corsa, la H1 R destinata ai piloti privati, che è arrivata ad erogare 75 CV a 9000 giri/min. Il tempo delle Norton Manx e delle Matchless G50 era ormai definitivamente finito…
La H2, presentata nel 1971 e nota anche come Mach IV, era realizzata con uno schema identico. Aveva una cilindrata di 750 cm3 (alesaggio x corsa = 71 x 63 mm) ed erogava 74 CV a 7800 giri/min.
La Suzuki aveva messo in produzione la sua bicilindrica T 500 (ben presto conosciuta come Titan) nel 1967, ma si trattava di un modello destinato a un impiego più tranquillo, rispetto alla H1.
Anche in questo caso dalla moto di serie è stato comunque derivato un modello da corsa (TR 500), che ha avuto un ampio impiego sia nel mondiale (secondo e terzo posto nella stagione 1971) che nelle gare nazionali in diversi paesi e che da metà 1972 è stato dotato di raffreddamento ad acqua. Nel corso degli anni la sua potenza è aumentata fino ad arrivare a circa 80 CV a 8900 giri/min nell’ultima versione.
La casa di Hamamatsu è entrata nel settore delle maximoto con una tricilindrica raffreddata ad acqua e dotata anch’essa di aspirazione controllata dal pistone. Denominata GT 750, questa moto aveva un motore che, con un alesaggio di 70 x 64 mm (stesse misure della 500), erogava 67 CV a 6500 giri/min.
Nel 1974 sono arrivate le tricilindriche ad aria di 380 e di 550 cm3. La prima di queste due moto, nonostante l’handicap di cilindrata (correva nella classe 500), si è molto distinta nelle gare in salita grazie alle ottime caratteristiche di erogazione.
All’inizio degli anni Settanta anche la Yamaha ha pensato di entrare nel settore delle maximoto con un modello a due tempi. Si trattava della GL 750 con motore a quattro cilindri in linea con ammissione controllata dal pistone e con raffreddamento ad acqua, che è stata presentata al salone di Tokyo del 1971 e purtroppo non è mai entrata in produzione di serie.
Per gli appassionati è stato un vero peccato. La moto era bellissima e aveva tutte le carte in regola per fornire prestazioni straordinarie. Aveva un alesaggio di 65 mm e una corsa di 56 mm e pare erogasse oltre 70 CV a un regime dell’ordine di 7000 giri/min. Il prototipo esposto al salone era addirittura dotato di alimentazione a iniezione. Già si cominciava però a parlare di riduzione delle emissioni negli USA (principale mercato di esportazione per la casa giapponese) e la Yamaha non se l’è sentita di procedere alla industrializzazione del progetto.
I vertici dell’azienda hanno deciso di puntare sulla nuova TX 750 a quattro tempi (scelta scellerata, dato che questa moto è stata un autentico flop) e parallelamente di continuare con lo sviluppo delle moto da competizione e delle bicilindriche stradali raffreddate ad aria con cilindrate fino a 400 cm3, che ben presto sono state dotate di alimentazione controllata da valvole a lamelle.
Vista la sempre maggiore rilevanza che le gare per le grosse derivate di serie stavano ottenendo (a cominciare dalle 200 miglia di Daytona e di Imola). La FIM ha deciso nei primi anni Settanta di varare un trofeo destinato alle 750. Per l’omologazione occorrevano 200 esemplari, ma non era specificato se dovevano essere in origine modelli stradali.
La Kawasaki ha derivato dalla sua 750 di serie la H2R che nel 1973 erogava un centinaio di cavalli a 9000 giri/min. Nel 1975 questa moto è diventata la KR 750 ed è stata dotata di raffreddamento ad acqua. La potenza è salita a 115 cavalli.
La Suzuki ha realizzato la TR 750 derivandola dalla GT 750. Nonostante il fatto che avesse solo due travasi per ogni cilindro questa moto all’inizio del nuovo campionato era la più potente dello schieramento. Nel 1973 erogava quasi 110 CV a un regime dell’ordine di 8000 giri/min.
Poi è arrivata la Yamaha TZ 750 e la situazione è completamente cambiata. Questa moto, presentata nell’estate del 1973, non derivava da un modello stradale prodotto in serie ed era stata sviluppata con lo stesso schema della sfortunata GL 750.
Costruita in un numero di esemplari largamente superiore a quello richiesto dalla FIM e dalla AMA per l’omologazione, è stata realizzata in più versioni successive e ha monopolizzato il campionato, vincendolo tutti gli anni tranne il primo. Inizialmente il motore, dotato di ammissione lamellare, manteneva le stesse misure della 350 bicilindrica (64 x 54 mm), aveva una cilindrata di 700 cm3 ed erogava circa 100 CV, saliti a 107 nel 1973.
Lo schema costruttivo era eguale a quello adottato per la 500 da Gran Premio sviluppata nello stesso periodo. Spiccava l’impiego di due alberi a gomiti (uno per ogni coppia di cilindri). Ognuno di essi era dotato di un ingranaggio in presa con quello dell’albero ausiliario che, tramite due ruote dentate poste sul lato destro, inviava il moto alla frizione. I cuscinetti di banco erano otto.
Verso la fine del 1974 con la TZ 750 B l’alesaggio è stato portato a 66,4 mm in modo da fare arrivare la cilindrata a 748 cm3. La potenza è salita a 120 cavalli ed è aumentata ancora nelle versioni successive. Alla fine della evoluzione questa quadricilindrica ha superato i 135 CV.
Alla fine il due tempi si è rivelato un vicolo cieco.