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My365Days: il giro del mondo in 365 giorni/parte 7

- Iran alle porte dell’oriente. Pakistan blindato dalla scorta

Parlavi dell’Iran, terra ricca di storia e cultura, merita un approfondimento del suo vasto territorio, che purtroppo non ho vissuto, quindi mi rimane difficile. Le sue regioni sono tra loro diverse e contrastanti dove la “bellezza”, di ognuna, è il denominatore comune. Questo viaggio è un viaggio di strada fatto di tante soste in luoghi dove ritrovi il persiano ed è con lui che ti rapporti.

L’ingresso nel paese dalla Turchia è stato veloce, da quel momento ti ritrovi in un altro mondo. L’impatto è forte, non per pensare di essere l’unico occidentale ed avere gli occhi puntati addosso, ma vedere le donne con il velo, da una parte e la forte aggregazione maschile dall’altra. Un contrasto culturale che ho vissuto in prima persona, senza giudizio o pregiudizio, cercando di comprenderne le sue usanze.

Gli schemi ai quali sono abituato qui non funzionano. L’Iran va vissuto e compreso leggendone la storia.

Visto che comunicare con la sim italiana non è stato possibile, ho deciso di acquistarne una iraniana mettendomi nelle condizioni di continuare a postare. Ahimè mara sorpresa, Facebook in Iran non è accessibile, l’unico social che può essere utilizzato è Istagram, in più la rete Wi-Fi è pessima. Pro e contro di questo viaggio, lo assapori senza troppe distrazioni, ma la voglia di condividerlo rimane ed è forte.

Dell’Iran mi ricorderò 3 cose: gli uomini vestono sempre in ciabatta, le strade sono piene di dissuasori e nonostante la vastità del territorio trovi la polizia sulle superstrade con i puntatori laser! Freeway non a pagamento per gli stranieri, almeno per noi italiani. Welcome to Iran! Where are you from? Italia! La risposta del casellante: Italia? Francesco Totti! Non solo del casellante...

Ho attraversato il deserto di Kerman con 42 gradi costanti, è praticamente steppa, decisamente un luogo inospitale in tutti i sensi. L’Iran una terra di forti contrasti dove la libertà è fortemente limitata dalla religione, è come essere in un acquario, l’acqua in cui sei è l’unica che ti è concessa, non hai la possibilità di andare oltre, il mondo esterno, quel poco, lo riesci ad intravvedere dal il vetro sottile che difficilmente s’infrange.

Pakistan

Attraversare il Pakistan si è rivelato essere impegnativo, ha richiesto una prestazione fisica non indifferente congiunta ad una forza mentale non da meno. Prima del Pakistan è da prendere in considerazione l’ultima parte dell’Iran, per avere un quadro delineato di ciò che è stato per me e di cosa potrà essere per voi se decideste di attraversare questi luoghi con il proprio mezzo.

Prima di giungere al border d’ingresso con il Pakistan, ho attraversato l’ultima parte del deserto iraniano. La temperatura è arrivata fino a 52 gradi ed è rimasta costante per quasi 2 ore. L’abbigliamento tecnico è fondamentale. A quella temperatura ha aiutato tutto di cui dispongo, ma vi posso assicurare che a fare la differenza è stato l’approccio mentale: resistere, andare avanti e non fermarsi.

A Zahedan, ho soggiornato una sola notte, all’alba mi sono diretto a Taftan, il primo distretto pakistano. Il border d’ingresso apre alle 7.00 a.m e chiude alle 16.00 p.m.

Impensabile disporre immediatamente della scorta, l’intera giornata la si trascorre a Taftan ospiti delle forze paramiltari denominate Levies. Il giorno dopo si è già in viaggio verso Quetta che dista circa 630 km; la tappa intermedia dove ho soggiornato obbligatoriamente è il paese di Dalbandin in un hotel già assegnato e dove prima di me altri motoviaggiatori sono passati. Dovete sapere ed è bene ricordare, che per attraversare il Belucistan, regione del Pakistan nord occidentale, occorre la scorta; tappe ed i circuiti dove permanere per l’alloggio fino a Quetta sono prestabiliti.

Il mio viaggio in Pakistan ha come meta il border con l’india a Lahore. I percorsi sono decisamente impegnativi e richiedono massima concentrazione in quanto il manto stradale varia moltissimo. Innumerevoli sono i ceckpoint per l’identificazione e per il cambio Levies. Arrivato a Quetta obbligatoriamente ho soggiornato al Bloom Star Hotel per 2 notti; la mattina del giorno dopo sono stato scortato in questura per il rilascio di un permesso che autorizzasse la scorta da Quetta a Sukkur direzione Multan.

Quetta non si può visitare se non con la scorta, il mio soggiorno per le 2 notti è stato rigorosamente in hotel. La tratta Quetta – Sukkur è stata intensa e lunga, i Levies si alternano anche con il motorino perciò la velocità di crociera è bassa. Alle porte di Sukkur la scorta mi ha abbandonato riconquistando cosí l'amata libertá.

Viverla è stata faticoso, ma un’esperienza che rimarrà indelebile nella memoria. Pakistan, mi risulta difficile descrivere un popolo che non ho vissuto, una terra che ho attraversato blindato da Levies. Ricordo solo volti impressi nella memoria. Il tempo trascorso non è stato sufficiente per conoscere un popolo che vive le nostre città e che ogni giorno, ogni sera, ritroviamo nei chioschi di frutta e verdura sotto casa. Curiosità forzatamente negata da una realtà imposta è fatta passare come: sicurezza personale.

Li chiamo terroristi, realtà o finzione per isolare un popolo, o giudicare una nazione. Ho attraversato sotto scorta la regione del Belucistan dove sei isolato blindato, poi da Sukkur a Multan e da Multan a Lahore, entri in un altro mondo un altro Pakistan fatto di caos, frastuono a suon di clacson e tanta sabbia che copre ogni cosa, stenti a percepirla inizialmente, poi se guardi con attenzione ne sei coperto.

Volti, solo maschili in ogni angolo, non s’intravede una donna, neanche un velo nero. Uomini solo uomini e la loro aggregazione, forte e nascosta quanto l’evidente declinazione. Pakistan chiuso e schiacciato tra terre dove la guerra al terrorismo fa loro un popolo di terroristi, dove un popolo clandestino, quello afgano, vede il Pakistan solo come una terra senza nome da varcare per giungere in Iran sperando nella lontana Turchia.

Pakistan dove una partita di Cricket con l’India si festeggia a colpi di kalashnikov, dove ad ogni angolo il kalashnikov sembra essere un arto o un concetto astratto di una sicurezza che cela semplicemente la paura ad un confronto soffocato dalla stessa ipocrisia.

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