L'editoriale di Nico

Nico Cereghini: “A 180 all’ora per dodici ore”

- Questa la curiosa pagina pubblicitaria della Guzzi V7 cinquant’anni fa. Esagerati: la bicilindrica di Mandello non li raggiungeva nemmeno, i 180. Però il messaggio non era del tutto ingannevole, perché uno squadrone di piloti, sulla sopraelevata di Monza…
Nico Cereghini: “A 180 all’ora per dodici ore”

Ciao a tutti! Il garante della pubblicità lo ammetterebbe, oggi, questo messaggio della Guzzi? Ahi, ahi, Colaninno e la sua squadra passerebbero dei bei guai, io credo, come minimo sarebbero denunciati per apologia di reato. Eppure nei primi anni Settanta questo suggeriva la casa di Mandello: la nostra V7 può tenere i 180 all’ora per dodici ore filate, voi chissà.

Bisogna dire che la cosa già allora fu giudicata un po’ ambigua. Certo, i limiti di velocità non esistevano e sul piano teorico l’impresa sarebbe stata anche possibile, ma di sicuro non era questa la moto adatta: io la V7 Special la conosco bene, provata e riprovata, e non ricordo che superasse i 170 effettivi. La potenza non arrivava a 60 cavalli (secondo qualche fonte era più vicina ai 50), il peso era sui 240 chili a secco, l’aerodinamica quella che appare. Una moto confortevole e anche stabile, ma veloce no. La chiamavamo “la mucca”…

Però il compianto Roberto Patrignani, il mio collega e maestro, se l’era giocata bene. Roberto era l’addetto stampa della Moto Guzzi e nel ’69 era andato personalmente all’attacco di una serie di record mondiali con una V7 molto speciale. Sulla pista sopraelevata di Monza, la moto aveva coperto la distanza delle 12 ore a una media superiore ai 180. Anzi, sull’ora aveva toccato addirittura la media dei 217.

La V7 Prototipo è lì da guardare nel museo di Mandello: carenata, potenziata, alleggerita all’osso e con serbatoio da 29 litri. Ben poco a che vedere con la V7 di serie, naturalmente. Lino Tonti era a capo del progetto e mise insieme una bella squadrona di piloti: Mandracci, Venturi, Pagani, Vittorio Brambilla, Patrignani, Bertarelli, Trabalzini e Tenconi. La sopraelevata era giù di forma e già piuttosto sconnessa, ai limiti della praticabilità, e i racconti dei protagonisti io li ascoltai: il terrore di quella giornata era vivo dopo anni anche per Vittorio Brambilla, che pure amava visceralmente le Guzzi e aveva due braccia d’acciaio…

Nel giugno del ’69 il tentativo fu più volte interrotto per vari cedimenti ciclistici e alla fine sospeso per lo scoppio di una gomma. Guidava Venturi che se la cavò per miracolo. Patrignani fece un turno e non ne volle più sapere. Poi tornarono più preparati ad ottobre e finalmente, con le Dunlop giuste, portarono a casa diciannove record per le classi 750, 1000 e tre ruote con lo specialista Dal Toè. Da quel record nacque l’idea del modello V7 Sport che tanto successo avrebbe incontrato dal 1971.

Nella pagina pubblicitaria della Guzzi si mette in evidenza che il motore ha una tale riserva di potenza che “corre, corre per ore e ore, e non gli si tira mai il collo”. Dall’arcaico, oggi si potrebbe tradurre “questo motore non è mai al limite e non sente la fatica”. E sotto questo profilo anche a cinquant’anni di distanza non si può dire proprio nulla: la V7 era davvero indistruttibile, concepita all’origine per i corpi militari e altamente affidabile. Avanti, per i tempi.

  • Lorenzo.Baldi
    Lorenzo.Baldi, Rovello Porro (CO)

    Ce l’ho avuta, la “mucca”, Tra il 1970 e il 1972 e in versione Special. Memorabile la vacanza in due con la tenda, girando tutto il Sud, partito con un amico e tornato con la ragazza e un amico di meno. Posso confermare. I 180 non li raggiungevi (a parte che farsi 12 ore col manubrio a corna di bue e niente carena....). Il motore era, perlopiù, affidabile ma non certo il più potente (ma ricordo di aver guardato con terrore, nei retrovisori, una fumata blu dagli scarichi a 170 all’ora sulla Mi-To, per fortuna niente di troppo grave). Le Kawa 2 tempi e la CB750 erano già in giro e le Laverda, anch’esse, ne avevano di più. Ricordo, invece, una gran ciclistica, soprattutto sul veloce, quando la Serravalle-Genova era una palestra per scemi come me e tanti altri. Il problema più serio erano i freni (solo il CB aveva freni a disco, mi pare). Ricordo ancora con terrore, mentre percorrevo un curvone della Tangenziale Ovest di Milano a 140 orari abbondanti, un OM Leoncino a non più di 65 uscire in sorpasso proprio davanti a me. Freni pochi e in curva, giù una marcia su 4, col cardano la ruota dietro si blocca, traverso da motocross... è andata bene, per fortuna.
  • enrico.giani
    enrico.giani, Gubbio (PG)

    Caro Nico, devo riconoscere che hai la capacità rara di riuscire a fare emozionare chi legge. Faccio il medico e adesso sono brutti momenti in quanto siamo tutti diretti da una massa di incompetenti e sono spuntati migliaia di virologi e super esperti ( che prima chissà dov'erano) ma se si parla di moto sei il numero 1.
    Vado in moto da sempre e ho 6 catorci nel mio garage. Proprio stamattina ero in crisi d'astinenza e ho messo in moto la beta rev 270 per fare 50 metri tranquillo quando ho incrociato la forestale e non ho trovato di meglio che imboccare un sentiero impraticabile per loro con il fuoristrada in dotazione, per poi ridiscendere a motore spento e passargli dietro in discesa. Ho 60 anni compiuti e oggi me ne sono sentiti 17 o 18 al massimo.
    Ma torniamo alle emozioni : hai nominato Trabalzini, un campione "minore" che ha corso con Agostini e Pasolini e che ho avuto il piacere di conoscere a Roma negli anni 80 quando preparava e riparava preferibilmente Laverda 750 nella sua officina in via Pio XI( ma aveva una Gilera Saturno con cui raccontava di aver fatto cose folli ).
    Dovrebbe essere ormai deceduto da tanti anni e non ne ha mai parlato nessuno. Era un vero fenomeno.
    Una volta comprai da lui di nascosto dai miei una Laverda SF. Mi ricordo come se fosse ieri che guidava lui sull'Olimpica, a Roma, sotto la pioggia . Ad un semaforo gli dissi che non me la sentivo di prenderla contro il volere dei miei e mi scusai per il ripensamento ( stavamo passando all'ACI a fare il passaggio). Frenò e si mise a guidare in un modo rabbioso per rientrare in officina facendo numeri da circo sul bagnato. Ma non mi mandò a quel paese: mi fece solo sentire un ragazzino indeciso e la Laverda era roba da uomini duri !
    Ciao Nico. Enrico di Gubbio
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