Nico Cereghini ci racconta gli anni Settanta, 1ª puntata
Anni Settanta, prima puntata. Non abbiate fretta, vedrete che racconteremo tante cose. Tutto parte dalla Kawasaki 500 Mach tre del ’69, che già ci aveva colpito al cuore con il suo sibilo e il suo fumoso ma potente stacco da fermo. A quel tempo noi ragazzi, spesso capelloni e contestatori, eravamo ridotti a sognare la paciosa e lunga V7 della Guzzi e detestavamo le BMW dei fighetti con la giacca di pelle scamosciata, quelli disposti a spendere il doppio pur di avere i filetti del serbatoio dipinti a mano… Ma poi a febbraio del ‘70 comparve in Italia la Honda CB750 Four con il suo quattro cilindri e il freno a disco davanti, meraviglia tecnologica, bella come un sogno. E il nostro mondo cambiò. Sì perché le moto inglesi e le prime cosiddette “maxi-moto” italiane si guidavano benino ed erano stabili, più stabili delle nuove giapponesi, ma le prestazioni e anche l’affidabilità erano dalla parte dei gialli. Fummo abbagliati dall’esuberanza delle pluricilindriche giapponesi; tutti quei cavalli, i motori che giravano altissimi e regolari come orologi, misero in secondo piano i limiti di frenata e stabilità. La Honda Four: 67 cavalli! che voce! Che bomba! E che bella erogazione!
E lì nacquero le gare per le derivate di serie. Merito del MC Milano: i soci più ricchi andarono a vedere Daytona, e organizzarono la prima 500 km di Monza vinta dalla Laverda di Brettoni e Angiolini. Le giapponesi erano subito più veloci, ma soffrivano al curvone, e poi i team italiani erano più organizzati, Laverda già vinceva le 24 ore. Monza, poi l’anno dopo anche Modena e Vallelunga; più avanti sarebbe arrivato il dominio delle Triumph Trident di Koelliker, le tre cilindri con Villa e compagni, ma già il regolamento veniva tradito.
Intanto, a Imola Checco Costa replicava la favolosa 200 Miglia americana. La prima delle tredici edizioni italiane è del ’72, vinta dalle Ducati argento di Smart e Spaggiari. Che gara! Ero in tribuna alle Minerali, ricordo Ago che con una speciale MV 750 provò ad inserirsi ma poi ruppe, Villa con la Triumph fu terzo ma staccato.
Io tifavo Bruno Spaggiari e anche lui pensava di vincere la volata: andò dritto alla Rivazza come tuttora sostiene Smart o finì la benzina come dice lui? Chissà, lì nacque comunque il mito delle sportive Ducati, quelle con il desmo, e nella stagione successiva apparve la prima Sport 750 che è la capostipite delle moderne Superbike. L’industria italiana fece vedere in quegli anni una bella grinta, come vedremo. L’anno dopo, 1973, la 200 Miglia di Imola fu divisa in due manche e vinse Saarinen come aveva fatto a Daytona. Con la nuova Yamaha TZ350 ad acqua, ancora davanti a Spaggiari e Villa, su Ducati e Kawa. Povero, grande Jarno! Poche settimane dopo sarebbe morto a Monza con Renzo Pasolini. Ma di questo parleremo nella prossima puntata. Agostini poi vinse la terza edizione della 200 Miglia di Imola, 1974, con la Yamaha 700. Quella la ricordo bene,
secondo fu Kenny Roberts, che esordiva in Europa e faceva esordire anche le gomme slick che non avevamo mai visto prima. Vedete? Che anni! Ogni domenica una scoperta.
Intanto la Honda proponeva anche la CB 500 Four e poi la 350, che aveva poca coppia e fu presto sostituita dalla 400; gioiellini progettati dagli stessi tecnici che avevamo fatto le bellissime GP a due, quattro, cinque e sei cilindri degli anni Sessanta, moto da brividi. La Suzuki restava fedele al 2 tempi con la 500 bicilindrica Titan e poi le tre cilindri 750 e 550, più tardi anche 380; e la Kawasaki pure: 500 e 750 tre cilindri, dinamite in accelerazione, prima di passare alla bellissima 900 Z1 quattro che troveremo più avanti. Yamaha restava indietro con la bicilindrica XS 650, ma poi si rifarà con le RD 250 e 350, più o meno quando arriverà il grande Ago.
Agostini, che fenomeno! Era il dominatore delle due classi maggiori e i vecchi motociclisti milanesi dicevano “per forsa, gh’è dumà lù!” C’è solo lui. E in effetti nei primi anni Settanta Ago non aveva concorrenti, però all’inizio della sua carriera aveva incontrato e battuto gente come Hailwood e come Bryans. Vinceva troppo facilmente per convincere tutti però talento ne aveva, eccome! Conclusa la stagione ’73, conquistato il suo tredicesimo titolo mondiale con la MV 350, decise di passare alla Yamaha e qui fu una botta, un tradimento per molti, uno scandalo. Ma non un azzardo. Avrebbe vinto ancora due titoli: grande Mino, grande anche come seduttore, pieno di donne, ma anche il primo vero professionista della moto. Allora mi pareva vanesio; col tempo, imparando la vita, l’avrei apprezzato sempre di più.
Fonti video: Le Cheval de Fer; On Any Sunday; Bolidi sull'asfalto a tutta birra
Ci voleva proprio.
www.toscanainmoto.it
e pensare