Perché il clacson di Vespa e Lambretta gracchiava
Da sempre i motociclisti sono portati a considerare la motocicletta un oggetto essenzialmente meccanico.
Oggi non è più così, perché la parte elettrica, quella elettronica e quella - non meno importante - del cablaggio hanno assunto un ruolo determinante ed esclusivo.
Le prime motociclette di elettrico avevano solo il magnete, unico dispositivo allora adatto a generare la scintilla nella candela per l'accensione della miscela aria-benzina.
Una prima evoluzione arrivo con l'accensione a spinterogeno che sostituì il magnete. Questo avvenne per facilitare l'avviamento del motore in quanto l’energia fornita alla candela non era più proporzionale al numero di giri del motore,ma costante.
Infatti, quando si avvia un motore tramite la pedivella di avviamento, o a spinta, il magnete gira a un regime molto basso e di conseguenza l'energia erogata alla candela è relativamente bassa. Questo non avviene con l'accensione a spinterogeno che fornisce alla candela un'energia costante ma richiede l'uso di una batteria e di conseguenza la necessità di un dispositivo di ricarica della stessa e cioè della dinamo, la quale fornisce però un'energia variabile proporzionale al numero di giri del motore e quindi si rese necessario l'utilizzo di un regolatore di tensione per salvaguardare la batteria stessa in quanto una tensione eccessiva ne avrebbe causato una durata brevissima.
Con l'accensione a magnete non era necessario nessun impianto elettrico in quanto l'unico cavo indispensabile era quello tra la presa alta tensione del magnete e la candela stessa. L'accensione a spinterogeno invece prevedeva i cavi tra la dinamo e la batteria, quelli tra questa e la bobina d'accensione, quelli tra la stessa e la chiavetta solitamente posta sul faro d’illuminazione e le puntine dello spinterogeno. Insomma, qualche pezzetto di cavi incominciava a vedersi.
L'adozione della batteria mise appetito ai progettisti di motociclette. Infatti una sorgente di energia elettrica sempre disponibile a tensione costante aprì la via all'adozione dei fanali anteriori e luci targa e, successivamente, all’adozione dell'avvisatore acustico (clacson).
Ciò non comportò soltanto la necessità che essi venissero alimentati ma fu necessario dotare gli stessi degli opportuni interruttori per poterli disattivare (fanali e luci targa) e pulsanti dell'attivazione dell’avvisatore acustico. Per poter essere certi di lasciare la motocicletta con tali dispositivi sconnessi si adotto un interruttore generale: la chiave solitamente posta sul fanale che escludeva ogni dispositivo perché, nel caso si fosse lasciato il fanale acceso o le puntine dello spinterogeno fossero casualmente chiuse ciò avrebbe causato la scarica della batteria o addirittura provocato la bruciatura della bobina d'accensione.
Inoltre a batteria scarica l'avviamento della motocicletta era molto difficoltoso, se non impossibile. Per questo motivo le produzioni italiana ed inglese adottarono totalmente il magnete per l'accensione e dinamo e batteria per i servizi di illuminazione e avvisatore acustico mentre quella tedesca preferì la versione a spinterogeno. Le marche di questi componenti più diffuse sul mercato: Magneti Marelli in Italia, Bosch in Germania e Lucas in Inghilterra.
Ci fu anche chi propose e costruì magnete e dinamo accoppiati, ma le dimensioni erano tali da costringere i progettisti di un motore a compiere, come suol dirsi, i salti mortali, per poter collocare e trasmettere allo stesso la rotazione del motore.
Tutto ciò avveniva prima e durante la seconda guerra mondiale. Dopo questa, con l’uscita sul mercato degli scooter e delle piccole e piccolissime motorette fu introdotto il Magnete Volano Alternatore: fu un’autentica trovata.
Infatti questo dispositivo sopperiva a tre diverse funzioni: era un magnete e quindi provvedeva all’accensione del motore; era un volano necessario alla regolare rotazione del motore ed infine era un alternatore che forniva l’energia necessaria a fanali e clacson.
All’inizio c’era una sola limitazione: questa era un’energia alternata, costituita cioè da numerosissimi impulsi contrapposti l’uno dall’altro che non potevano caricare una batteria. Ciò non influiva sull’illuminazione, ma produceva nel clacson un gracchiare del tutto particolare: sgradevole. Chi non ricorda questo “ rumore “ pensando alle Vespa, Lambretta e Guzzino di un tempo.
Poi però si stava sviluppando una tecnologia nuova: l’Elettronica che mise fine a questo problema. Infatti fu disponibile sul mercato il Raddrizzatore nelle varie versioni all’ossido di rame, al selenio ed infine al silicio, che permise addirittura al Magnete Volano Alternatore di poter caricare la batteria. In quegli anni l’Italia primeggiava nella produzione con le marche Magneti Marelli, Filso Magneti, Dansi e Nassetti.
A questo punto un impianto elettrico era realizzabile con meno di 5 metri di cavo e solitamente veniva assemblato durante il montaggio della moto. L’addetto srotolava il cavo da una matassa posta a terra, lo tagliava alla misura necessaria, lo spellava con le forbici alle estremità e lo collegava ai dispositivi previsti.
Questo per ogni pezzo necessario. Infatti non erano allora previste guaine protettive ed i cavi erano solo ancorati al telaio tramite fascette metalliche. Oggi tutto ciò sembrerebbe anacronistico, ma allora si faceva così. A complicare le cose intervenne la legislazione col Codice della strada che rese obbligatorio anche sulle moto il segnale di arresto, il cosiddetto Stop e successivamente anche gli indicatori di direzione, cioè le frecce. Tutto questo portò a considerare l’impianto elettrico non più una parte quasi secondaria, ma come un componente vero e proprio.
Da qui l’idea di costruire l’impianto elettrico non più parte integrata della motocicletta, ma separata ed applicabile e removibile facilmente.
Intanto si affacciava sul mercato una nuova potenza produttiva: il Giappone. Questa nazione era allora, assieme agli Stati Uniti, all’avanguardia nell’elettronica e, forse addirittura prima, nella sua miniaturizzazione.
Le motociclette che arrivarono dal Giappone furono quasi uno shock. Erano, dal lato elettrico estremamente complesse rispetto alla produzione europea. Erano infatti dotate di accensione elettronica, di regolatori di tensione elettronici, centraline elettroniche di prima generazione che gestivano l’anticipo automatico dell’accensione e davano in uscita l’indicazione dei giri del motore, lo stato di carica della batteria le principali ed altre indicazioni come temperatura dell’acqua di raffreddamento se il motore fosse di questo tipo.
L’industria europea reagì subito e la sua produzione migliorò in qualità e prestazioni affiancando e, in alcuni casi, superando quella giapponese.
Questo salto tecnologico comprendeva l’avviamento elettrico del motore e la scomparsa della pedivella, ma necessitava di una batteria di capacità molto maggiore e con cavi di sezione più elevata. Inoltre si era passati dalla dinamo all’alternatore, molto più affidabile in quanto non richiedeva l’uso, e la conseguente usura, delle spazzole o carboncini. La grande produzione di motociclette indusse l’industria ad una necessaria unificazione di componenti elettrici che, senza giungere ad una standardizzazione totale, portò sul mercato componenti uguali adottati da diverse fabbriche di motocicli.
Ad esempio le dinamo, i magneti ed i fanali erano gli stessi per Moto Guzzi, Gilera, Bianchi, Sertum ecc.
A questo punto il cablaggio tra i vari componenti elettrici divenne la parte più importante da progettare per poter collegare gli stessi in modo rapido e, soprattutto, assolutamente affidabile.
Nel prossimo articolo ci occuperemo del cablaggio: come si è evoluto e come viene prodotto oggi, quali materiali vengono usati e quali caratteristiche devono possedere.
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Paolo Adi, Chiavari (GE)Decisamente interessante ed istruttivo. Bravi.