Queens’ Cavalcade Canarias 2016. Part #2, La gara
Nessun dubbio: vado giù con la mia BMW. Poi subentrano alcuni fatti inaspettati. La moto mi serve per altri viaggi e non posso mandarla via all’inizio di settembre, d’accordo, ma soprattutto c’è una “grana”. Raggirandolo, ho scoperto da Papi che con le stesse moto sono iscritti Stefano Sala (nella vita commercialista di grido, R100, come la mia) e Paolo Guercini (abbigliamento di grido, R90S, l’epica). Contro ufficiali di quel calibro non ho scampo. Uno alla volta passi, ma tutti e due… E figuriamoci che in un primo tempo intendo che anche Alberto Consani, avvocatone di grido poi prigioniero di una Royal Enfield, sarebbe sceso in gara con la stessa moto. Comunque, decido che forse è meglio cambiare categoria e accettare l’offerta di Gubra Moto, Zenit delle Harley (e Triumph, e MV Agusta) dell’Arcipelago. Manuel, principe della filiale di Santa Cruz, a Gran Canaria regna invece Enriquez, è convincente: mi offre una Forty Eight ufficiale, la mia HD preferita insieme alla Nightster, un veicolo di assistenza e supporto, sulla carta inutile ma non si sa mai, e la sua personale assistenza veloce con una moto gemella. Neanche Stoner, che del resto negli ultimi tempi non è così affidabile, è mai stato così corteggiato. Accetto.
Inizialmente non sono così interessato alla gara, preferisco il lato turistico dell’evento di Papi, ma la Queens’ Cavalcade mi incuriosisce per quel qualcosa di indefinitamente speciale che trasuda dalla nonchalance di Daniele. Mi insospettisce. Papi ha sempre fatto cose un po’ speciali, anche quelle meno riuscite, e questa si presenta come una mano d’assi. Vincente, lo vedremo.
Se la classe non è acqua e sta sopra a tutto, la categoria di appartenenza è una chiave importante per aprire la porta di Queens’ Cavalcade. Più la moto è anziana e più è favorita e il segreto, accidenti ai Sala-Guercini che l’hanno capito al volo, è il punto storico di equilibrio nella forbice tempo/prestazioni. L’antesignana R32 degli anni venti, con i suoi otto cavalli, per esempio, “pagherebbe” bene ma non arriverebbe mai in tempo a un traghetto, e più gravemente mai a uno spuntino di mezzodì. Al contrario, una moderna GS, per quanto agile e veloce, ha un coefficiente penalizzante. In medio stat virtus, la mia BMW sarebbe stata perfetta… non fosse stata anche la scelta delle due vecchie volpi.
Il confronto si annuncia delicato.
Già alle verifiche di Santa Cruz si capisce che i locali sono scesi agguerriti, incondizionatamente decisi a respingere lo sbarco degli Europei. In particolare Alvaro Trujillo, che si presenta con una BMW R60/2 bianca del ‘66, immacolata, e Cristobal Ramirez Santana con una Triumph T120 originale del 1967. Il primo è uno specialista del Restauro (notate la “R” maiuscola), il secondo un “risparmiatore” di moto: in oltre 40 anni ne ha messe da parte 250, garage e storia da capogiro. Quel giorno, sul prato del Mencey e con la testa piena di sole, certamente sottovaluto Gloria de Los Angeles che è arrivata con una CB175 del 1974, e Domingo Higuera che fa cantare davanti agli sbalorditi commissari Enzo Paris e Massimo Sironi, FIM Europe, una Gold Wing 1000 del 1976. Le due Honda sembrano nuove. Forse lo sono.
Di fatto sottovaluto la mia voglia di concorrere alla conquista del Trofeo Queens Cavalcade, opera dello scultore Alfredo Sasso, e preferisco considerarmi un viaggiatore al seguito, come la cinquantina di Canari che si alterneranno nell’Evento, ma non in gara, durante la quattro giorni della Regolarità delle Isole.
La prima tappa verrà a dimostrarlo, subito e ampiamente. Ma andiamo con ordine. La regola è semplice. Un tour al giorno, la “Tappa”, disegnato per offrire il meglio di ciascuna delle isole interessate dalla gara, Tenerife, Gran Canaria (due tappe) e Fuerteventura, e in ciascuna delle tappe un tratto che dovremo percorrere a media imposta, né troppo forte né troppo piano, meglio “esattamente”, in sincronismo perfetto con il tempo imposto in quei passaggi segreti dove verremo rilevati. Facile, a dirlo.
A parte le regole, che dovremmo aver letto tutti e che il Signor Papi ci ha illustrato in un’introduzione telematica dal pathos dell’ultimo Obama alla nazione, la sera al Mencey arriva anche il momento del briefing, quello che precede la prima giornata della manifestazione.
Papi è lapidario: “Ricordate tre cose. Che alle Canarie la Polizia è tutt’altro che tenera, che 80 curve su cento sono cieche, e che i pedoni sono come le vacche sacre in India. Per il resto avete abbastanza indicazioni sul road book e sulle istruzioni che vi abbiamo già dato. È un viaggio, con un pizzico di gara che scoprirete una volta dentro, e un’occasione per il gruppo di diventare… Gruppo. Divertitevi!”
Stecchito! In tre regole mi ha steso. Faccio come Stoner, sempre più deciso a prenderla da turista. Comunque studio il percorso, memorizzo i punti cruciali del road book, fisso la tabella e l’inizio della prima “Prova Speciale”. Per riconoscere il mio destino, tuttavia, mi bastano tre curve della strada che si affaccia sulla spiaggia di San Andres. È stata fatta artificialmente, riportando sabbia prelevata dal Sahara, dicono. È perfetta, una cartolina. Mi fermo e giù fotografie, i piedi nudi in quella sabbia che conosco bene (e anche Papi). Poi si attraversa la foresta di raggi di sole, e quindi si attacca il Vulcano Teide. Altre soste, sempre più spesso, sempre più a lungo. Il Vulcano è maestoso, l'esperienza emozionante! Quando arrivo a Santiago del Teide, Controllo Orario di partenza della prova di media, c’è solo una metà del gruppo, e Sala, che dietro alla facciata da ragioniere per benino considero il più pericoloso, il Perozzi direbbe che ha l’occhio perfido, è appena arrivato. Vuol dire, penso, che hanno sbagliato strada. Pivelli. Mi sveglia Il Chelotti, responsabile del CO: “Guarda che questi qui hanno già fatto anche i 40 chilometri della prova di media. Te hai 40 minuti di ritardo al controllo e, se non ti dispiace, dovresti partire così io vado a mangiare!” Non faccio una piega, seppure offeso dal sottinteso, mi avvio sulla vuelta di Masca a passeggio e rientro a Santiago che solo alcuni non hanno ancora preso il caffè. Segnato!
D’altra parte non c’è ancora una classifica “vera”. La gente sta prendendo le misure con la formula inedita e non mancano i colpi di scena. Al solito, ci si lamenta delle sospensioni, setting sbagliato, o della scelta delle mescole, tutti partiti con gomme da asciutto, ma poi, quelle quattro, dannate gocce d’acqua… Morale, Vince Borja Naranjo, un fenomeno dell’Isola taciturno e “consistent” con un’improbabile Enfield, Gloria de Los Angeles è seconda e Domingo Higuera terzo. 3 a zero. Lo dicevo che li avevo sottovalutati, così come ho “snobbato” a torto Manuel Sosa Hernandez, distributore Indian per le Isole, che porterà una poderosa Chief alla snellezza dinamica di un Velosolex. Ronni Giarelli ha fatto meglio di Sala, che sembrava chissà chi, Guercini è indietro, non morde. Tappa di riscaldamento, dicono. Io me la cavo per fortuna assoluta, e ben peggio di me riescono a fare solo Umberto Panzeri, con una Royal Enfield che neanche la sua bravura di chirurgo orologiaio sa far andare, e Marco Masetti, sì, proprio lui, che ha preso la forfetaria per un malore, KO sul Teide.
Ma la gara viene da sola, ti prende. Soprattutto quando… le prendi. Ci riuniamo tra sconfitti, ma non per leccarci le ferite. “Domani bisogna che ci inventiamo qualcosa!”. Siamo sportivi: “Chiodi?”, “Zucchero nei serbatoi?” “Il vecchio, infallibile trucco del lassativo nel dolce?” “No – è Umberto Panzeri che parla – “Strategia!”
Ma domani piove sul bagnato. Appena partiti da Puerto de las Nieves, a Gran Canaria, mi perdo alla prima rotonda. Allora chiedo a un partecipante dell’Isola, con la compagna su un cargo Victory che batte bandiera polacca, se sa dove dobbiamo andare. “Tranquillo, cerca di starmi dietro!” Arriviamo alla periferia di Las Palmas, l’obiettivo della sera, tutta autostrada! Io dietro, come un pirla. E dietro di me Masetti e Panzeri in una avvilente catena di fiducie mal riposte. Torniamo indietro e ritroviamo la strada giusta, ci sbarazziamo della “guida” mandando deliberatamente il polacco-canario su un’altra strada sbagliata, e al primo caffè su quella giusta ci fermiamo. Panzeri, Masetti e io. “Ragazzi (si fa per dire) facciamo qualcosa!” Masetti: “Bisogna giocare di squadra”. Panzeri: “Gioco di squadra. Giusto. E ora vi dico come faremo”. Scende nel dettaglio.
Panzeri sarà dal quel momento il tattico. Masetti, che per matrice regionale ed esperienza è la “manetta” del gruppo, il Guastatore. Io, che vengo ritenuto, a torto beninteso, un “fermo”, il pilota. Panzeri sviluppa il suo piano mentre finiamo di sparecchiare la tavola, che nel frattempo l’oste ha imbandito di “imbutidos”, pane di patate e birre. Ricordo che sono appena le nove-dieci di mattina. Il piano è semplice. Masetti, che corre con un’agile Ducati Scrambler, ha il compito di innervosire gli avversari, un po’ come fanno sul Muraglione quando ti sorpassano in piega, in modo da romperne il ritmo, ed io, nel frattempo, resto concentrato sulla media e sui calcoli per mantenerla. Ci basta che uno solo di noi vinca, è lo spirito di squadra. Sembra funzionare tutto alla perfezione. Masetti che passa con il ginocchio scintillante sull’asfalto è irresistibile, la vittima si “ingarella” e perde il lume della ragione. Io penso all’orologio e al contachilometri. Panzer Panzeri mi segue per tenermi sotto controllo.
La sera siamo curiosi come scimmie, ma facciano finta di niente. Ci leggono i risultati, sprofondiamo. Metà classifica! Non ha funzionato. Ma qualche tavolo più in là, autoctoni, c’è agitazione. Sentiamo dire: “Cuidado, esta noche el Pequeno Cobra Italiano està venenoso!” Attenti, stanotte il Piccolo Cobra Italiano è velenoso. Da lì a poco capiamo. Fabio Bonati non è d’accordo sull’elaborazione delle classifiche. Dice che c’è un errore. Perché? Perché lui non sbaglia! E per quel drammatico perché, caso unico nella sua vita registrata, Papi ha saltato la cena. È in camera d’albergo a controllare le classifiche. Non ci dormirà, e finalmente all’alba si accorgerà di aver riportato male la lettura del punto GPS del controllo segreto. La giustizia trionfa sempre, l’indomani lo sapremo. Piccolo Cobra non ha vinto lo stesso. Abbiamo vinto noi, Panzeri, Masetti ed io. Il mio nome è scolpito sulle tavole della leggenda come quello del primo e per ora unico “Pilota” ad aver vinto una tappa di Queens’ Cavalcade girando a zero. È un risultato che trasporta l’evento su un piano trascendentale, sconfina nell’esoterico e riporta sulla terra un elemento che è proprio della sfera celeste: la perfezione. Il magistrale gioco di Squadra ha funzionato. Masetti è lì lì per organizzare una mini conferenza stampa, Panzeri è un’intervista dietro l’altra al telefono, io ricevo anche un WhatsApp con i complimenti del Direttore di Moto.it. Telefona anche Stoner. Sala, solo terzo, singhiozza in un angolo, ma mantiene un altissimo livello di dignità, e Guercini, secondo, lo consola. In fondo sono andati complessivamente abbastanza bene. Il Cobra si rivolge agli dei che l’hanno abbandonato. Grazie Cobra di esistere, se non c’eri te la nostra vittoria sarebbe rimasta per sempre intrappolata tra le pieghe di un errore umano!
Un colpaccio, ma non abbiamo mosso la classifica. La nostra gara era già segnata dai pesanti esiti della prima tappa. Sala resta al comando e a farsi sotto è Ronni Giarelli, guida di velluto e, a onor del vero, “navigato” dalla precisione di Bonati, con cui viaggia in coppia e che gli sta addosso come la scimmietta di Jack Sparrow.
Il giorno dopo, terza tappa, secondo anello di Gran Canaria. Altri 150 chilometri di curve e altimetrie variabili, in un contesto paesaggistico da rimanere a bocca aperta (pronti a ingoiare, quindi, intere formazioni di moscerini). Il tratto cronometrato e controllato è più lungo, quasi il doppio. 40 chilometri. Credendo di essere ormai padroni della situazione ci riproviamo, ma sbagliamo qualcosa, non so, e piombiamo di nuovo nel mucchio. Sala e Guercini fanno squadra, fortissimi, ma disgraziatamente alla R90S di Paolo si rompe il cavo del contachilometri. Giarelli sale in cattedra, riesce a far decollare la sua Enfield e vince la tappa davanti a Sala e Jimenez, Masetti ci salva l’onore al 4° posto, io chiudo la top ten. Sala le ha prese un’altra volta, ma resta incollato alla leadership.
Si va all’ultima tappa e il trofeo Queens’ Cavalcade sarà assegnato sul filo di lana. Ma la vittoria va costruita, con cura certosina e giocando con nervi di ghiaccio sul valore aggiunto di un perfetto controllo della gara. Un ex regolarista lo sa, e Sala esce finalmente allo scoperto. Sorridente e spietato gioca al gatto con il topo. Come Ogier e la VW nei momenti chiave del WRC. Non a caso mi dicono che controlla due o tre banche, ovviamente non la MPS.
L’ultima frazione è il Tour di Fuerteventura, con una prova di ben 47 chilometri alla media di 50 km/H. Adrenalina sul filo del rasoio dei limiti di velocità negli attraversamenti dei centri abitati, frustrazione sui lunghi rettilinei aperti di "Fuerte". Come il primo giorno, mi sono perso ad ammirare il paesaggio, molto tempo alle dune di Corralejo, e sono già fuori gioco. Non fraintendete, il road book è perfetto, non a caso il tracciato, la tabella dei tempi e il “libro della strada” sono opera di Valerio Barsella. Sono io che sono distratto. Al controllo di partenza trovo Fernando Jimenez, alla guida di una BMW R65 del 1979 perfettamente restaurata. Fernando è, alle Canarie, un’autorità assoluta e rappresenta canariasenmoto.com, il sito di riferimento che conta un plebiscito di consensi. Sta per partire, Sironi è già al conto alla rovescia, blocco Fernando e gli chiedo: “Scusa, sai dove posso trovare una coltivazione della famosa Aloe Vera delle Canarie?” Mi guarda come per dire: “Sei scemo?” e parte. Ma una manciata di secondi l’ha persa, e la concentrazione! Mi fermo a Betancuria, preziosa ex capitale, rischio di rimanere senza benzina, cambio rotta, muovo verso Antigua, vedo e divoro tutta la Fuerteventura che posso. Il tour è magico, e ovviamente dimentico gara e CO d’imbarco a Marro Jable. Arrivo al pelo. Presieduti da Franco Acerbis, che ha raggiunto la carovana della Queens’ Cavalcade, i concorrenti hanno spolverato una betoniera di spezzatino e un pontile di papas arrugadas. Ha vinto Sala, davanti a Giarelli e a Raffaello Matraia, aria compassata da bonvivant, moglie e una Harley che avrebbe suscitato l’invidia di Peter Fonda. Forte, un vero personaggio. Si sale sul vaporetto, si passa di nuovo a Gran Canaria e si torna al Santa Catalina, award site dell’Evento.
Cena di gala. Finalmente premiazioni. La serata monta come la mayonnaise. La tensione è palpabile. Ma prima che tutto abbia inizio accade un fatto curioso. Con il Trofeo in vista la testa è già da un’altra parte, ma lo stomaco, che non apprezza l’arte del bronzo, resta a tavola. Dove arrivano, nell’ordine, una velina di soppressata di polpo e gamberi, con una cucchiaiata di sorbetto ai frutti di bosco, e una installazione di carne, in un cuscino di… frutti di bosco. Tentativo atlantico di nouvelle cuisine, delirio gastronomico nato negli anni ’70 e, da noi, morto il giorno dopo. Alt. È troppo. Non tutti l’hanno visto, ma Papi si alza da tavola, va in cucina e ne torna con un ghigno soddisfatto e lo scalpo dello chef! Si va ai premi.
Sin dai preliminari è chiaro: ha vinto lui. Un po’ di suspense. Alvaro Trujillo è terzo. Ronni Giarelli è secondo assoluto, ma primo della Classe C davanti a Sosa e Matraia. Silenzio assoluto. Penso che un premio speciale dovrebbe andare a Mustapha Samaya, che per tutto l’evento ha sparato la sua simpatia e musica a palla dalla sua Harley Davidson FL3 Special Edition, solo cento al mondo. È appena fuori dei dieci. Mi piacerebbe un award anche per la Guzzi post–atomica di Jacopo del Secco, ma la sua bambina aveva la febbre e il fiorentino autore di Motart ha partecipato solo alla prima tappa, e un premio lo merita d’ufficio lo svizzero Colombo, anzi no, la sua stupenda compagna. Lo dico solennemente invece: l’oscar della Queens dovrebbe andare alla dedizione e alla perseveranza di Gaio Giannelli, che non solo ci ha portato lo show della sua stupenda Ducati Furicone del 1983, ma si è distrutto i polsi sui 1.000 chilometri fatti sui tronchetti della sua creatura, in perfetto, inossidabile, olimpico silenzio.
Eccoci, tensione massima. Il vincitore è… Stefano Sala, primo assoluto e primo anche della “B” davanti a Trujillo e Guercini. Regolarità spaventosa, il Trofeo è suo, l’ha ampiamente meritato.
Succede un altro fatto curioso. Mi aspetto che “qualcuno” abbia da ridire, noi stessi avevamo pensato, pur sapendo di arrampicarci sugli specchi, di deferire Sala alla Federazione depositando a Ginevra un reclamo per non conforme impianto frenante anteriore della sua BMW. Ma è successo qualcosa. Quando Sala alza il Trofeo al cielo tutti noi lo acclamiamo, in piedi e mano sul cuore, come vincitore ma ancor di più come espressione dell’eccellenza del Gruppo. Sala è la sostanza e l’enzima della Queens Cavalcade, il catalizzatore della trasformazione che opera sui suoi Partecipanti. A Papi vengono i lucciconi - forse la fame? - ringrazia il suo piccolo, fortissimo staff, le sue “ragazze”, Barbara, Camilla, Monica, Patrizia, rimanda alla prossima edizione. Dove? “Nel 2017 in Italia, forse con una “eliminatoria” alle Canarie, ma l’anno successivo certamente ancora alle Isole-Paradiso!”
Rientrano tutti. Ed è subito “rivincita”. Siccome sono tutti di palato intransigente e di appetiti capricciosi, il luogo della sfida, in attesa che il Chelotti apra la sua a Pietrasanta, è il Pozzo di Bugia, l’antica trattoria di Gaio vanto toscano di Querceta. C’è anche Marco Marchi, che con Morena è dovuto rientrare dalle Canarie che la Gara era appena iniziata. Non c’è Stoner, troppo inaffidabile, e non ci sono neanche io, ma per un buon motivo. Resto ancora due giorni alle Canarie e ne approfitto per rifare tutta la prima tappa (vedete il diario di viaggio) Teide compreso, convinto che da turista assoluto sia meglio, più libero. Forse, ma dopo un po’ mi mancano la Gara, e soprattutto il Gruppo!
Foto: Rinaldo Serra