Questione di testa. Scomponibile
Di recente abbiamo parlato delle bielle con testa in un sol pezzo, impiegate con gli alberi a gomiti scomponibili, costituiti da più parti unite per forzamento (o mediante viti).
In campo moto però sono state sempre impiegate, anche se in misura di gran lunga minore, le bielle con testa scomponibile, cioè dotata di un cappello che veniva fissato per mezzo di viti. Questa soluzione consente di montare le bielle stesse sugli alberi in un sol pezzo. Si tratta di una soluzione tipica della scuola automobilistica, ovvero di un settore nel quale la scena è sempre stata dominata dai motori policilindrici e nel quale i costruttori hanno sempre puntato alla razionalità costruttiva, con volumi produttivi assai elevati, alla durata e al contenimento dei costi di fabbricazione.
Logico quindi che abbiano fin dall’inizio puntato su motori a quattro, sei o otto cilindri, con alberi a gomiti in un sol pezzo lavoranti su bronzine. Per le moto la situazione era diversa, dato che nella maggior parte dei casi erano azionate da motori monocilindrici; c’erano anche diversi bicilindrici, ma nella maggior parte dei casi, fino agli ultimi anni Trenta, erano a V e quindi avevano alberi analoghi a quelli dei mono, come struttura. Si preferiva quindi adottare in entrambi i casi un albero a gomito composito, munito di bielle con testa in un sol pezzo e lavorante su cuscinetti a rotolamento.
Negli anni Dieci e Venti le moto a quattro cilindri (in linea longitudinale) non mancavano, in paesi come gli USA, il Belgio (FN) e la Danimarca (Nimbus). Come ovvio, in questi casi la situazione cambiava e lo schema che si preferiva adottare prevedeva un albero a gomiti in un sol pezzo e bielle munite di capello, con testa lavorante su bronzine. Pure per il banco si preferiva utilizzare queste ultime, ma non mancano alcuni esempi di impiego di cuscinetti a rotolamento.
Dunque la soluzione “canonica” per le moto era costituita da un albero composito con bielle monolitiche. Le eccezioni erano poche ma decisamente notevoli, come le Zundapp bicilindriche boxer, costruite dai primi anni Trenta alla metà degli anni Cinquanta in numerosi modelli successivi, che utilizzavano un albero a gomiti monolitico e bielle munite di cappello che lavoravano non su bronzine ma su rullini, con gabbia divisa in due parti. Una soluzione analoga veniva adottata dalle nostre Guzzi monocilindriche, che però impiegavano rullini sciolti e non ingabbiati.
Alla fine degli anni Trenta è iniziata l’epopea dei classici motori inglesi a due cilindri paralleli, con la comparsa della 5T Speed Twin della Triumph, subito seguita dalla T100. Dopo la guerra ad esse si sono rapidamente aggiunti i modelli di analoga architettura della BSA, della Norton, della Matchless-AJS, della Royal Enfield e della Ariel. Questi bicilindrici hanno vissuto la loro epoca d’oro negli anni Cinquanta e nel decennio successivo. Non tutti questi motori inglesi avevano l’albero a gomiti monolitico; alcuni Triumph e tutti i Norton impiegavano alberi in due parti, che si univano mediante viti a un grosso volano centrale. I cuscinetti di banco erano in genere a rotolamento.
Una caratteristica dei bicilindrici inglesi era costituita dall’impiego di bielle forgiate in lega di alluminio al rame (ne venivano infatti utilizzate due che oggi farebbero parte della serie 2000). La soluzione è rimasta tipica dei costruttori d’oltremanica e quando essi sono scomparsi dalla scena è finita nel dimenticatoio. È interessante osservare che alcune di queste bielle erano dotate di un cappello acciaio al fine di limitare la variazione dimensionale dell’occhio della testa a caldo; la minore dilatazione del cappello stesso infatti contrastava quella, assai superiore, del corpo in lega di alluminio.
A “lanciare” davvero le bielle con testa in due parti, di schietta scuola automobilistica, sono stati, verso la fine degli anni Sessanta, costruttori come la Guzzi (con il suo V7, la cui commercializzazione è iniziata nel 1967), la BMW (con la serie /5, comparsa nel 1969) e la Honda (con la CB 750 Four, entrata in produzione nel 1969).
Per la sua 3 ½, bicilindrica a V di 72° la cui commercializzazione è iniziata al termine del 1972, la Morini ha adottato una soluzione “mista” in quanto a cuscinetti: quelli di banco erano infatti a rotolamento mentre quelli di biella erano a strisciamento, ossia erano costituiti da bronzine. L’albero a gomito era in un sol pezzo mentre le bielle erano munite di cappello. Questa soluzione è stata impiegata anche dalla Ducati sui suoi nuovi bicilindrici della serie Pantah, con distribuzione comandata da cinghie dentate, presentata alla fine del 1977 ed entrata in produzione quasi due anni dopo.
I primi quadricilindrici in linea (con distribuzione bialbero e prestazioni elevatissime per l’epoca) costruiti dalla Kawasaki e dalla Suzuki erano dotati di alberi a gomiti compositi che lavoravano interamente su cuscinetti volventi. La scelta, raffinata ma complessa e costosa, era dovuta al fatto che queste due case avevano sempre prodotto motori a due tempi, che impiegavano appunto imbiellaggi di tal genere. I progettisti avevano cioè adottato una soluzione che conoscevano assai bene e una tecnologia costruttiva nella quale avevano grande esperienza. In seguito però sono entrambi passati agli alberi monolitici con bielle dotate di cappello e lavoranti su bronzine. Questo schema si è rapidamente generalizzato e oggi viene adottato anche sulla maggior parte dei bicilindrici, oltre che su tutti i motori con un maggior numero di cilindri. E pure sui monocilindrici alcuni costruttori stanno iniziando ad impiegarlo, seguendo la strada indicata già attorno alla metà degli anni Ottanta dalla Gilera...
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totoro, Roma (RM)Se ricordo bene il 4 cilindri suzuki gsx 750 16v di fine anni 70 aveva l'abero monolitico e le bielle su bronzine mentre il 1100 della stessa serie aveva le bielle su cuscinetti e quindi albero "scomponibile"