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Royal Enfield nuova? Ah no... è la Hanway G30

- La lista di modelli clone si allunga con la nuova Hanway G30, una adventure molto ispirata nella linea alla Royal Enfield Himalayan. Per la serie, meglio copiare che sbagliare

Chissà se Royal Enfield farà causa alla Hanway. Ne avrebbe probabilmente diritto visto che la nuova Hanway G30 è quasi il clone di un suo modello di successo.

Copie più o meno spudorate di moto e scooter di successo da parte di fabbricanti asiatici non sono certo una novità. Del resto vale la regola che piuttosto di sbagliare è più semplice copiare qualcosa che già funziona e viene acquistato.
Qualcosa che ha saputo affermarsi e fa tendenza nel proprio segmento. Un altro caso simile è quello della "Africa Twin" 500, ovvero la Hengjian Dahaidao, visto di recente.

E' così anche per la G30, una 250 costruita dalla cinese Hanway. Per realizzarla è stato preso il motore monocilindrico raffreddato a liquido di 249 cc e 26 cavalli a 9.000 giri - già adottato da alcuni modelli Hanway - e attorno è stata disegnata l'estetica di una piccola adventure che pare aver preso a prestito alcuni ricambi della marca indiana.
E persino alcune misure sono identiche all'Himalayan, come l'interasse o l'altezza della sella, e così la misura delle ruote da 19 e 17 pollici. Che in questo caso sono però con raggi fissati ai bordi dei cerchi per poter ricevere le gomme senza camera d'aria.

Inoltre la forcella è una unità a steli rovesciati invece che tradizionale e con soffietti in gomma.

Anche la strumentazione della G30 cambia, perché è una TFT a colori. Guarda caso del tutto simile a quella delle KTM 390 Duke e Adventure. E ispirato alla tecnica KTM è pure il disegno del forcellone in lega di alluminio fusa con nervature esterne a vista.

La Himalayan del 2021
La Himalayan del 2021

Insomma non si tratta di un vero clone, perché Hanway ha usato tante componenti della sua produzione in un mix tecnico e stilistico alternativo a Royal Enfield. Dove si è sbilanciata è invece nel colpo d'occhio, nell'impronta estetica generale, rifacendosi nettamente alle forme della Himalayan.

E con prezzo decisamente più allettantee una dotazione sulla carta non inferiore.

  • Marco458
    Marco458, Faenza (RA)

    Scusate l'ignoranza. Parlate di prezzo più basso, ma non vedo scritto l'ammontare da alcuna parte nell'articolo. Me lo sono perso io ?
  • DettoFatto
    DettoFatto, Lodi (LO)

    Qualche piccola osservazione per rettificare due errori di ragionamento e due falsi storici dei commenti precedenti.

    Primo: un torto non ne giustifica un altro, dunque il fatto che qualcuno copiasse a scuola non implica che sia giusto copiare.
    Se ti beccava a copiare, la maestra ti invalidava il compito, e lo faceva per un ovvio scopo educativo - se copi, vuol dire che non hai imparato una fava.

    Potremmo ricordare con un sorriso che "tanto lo facevamo comunque".
    Sì, però lo facevamo di nascosto, giusto?
    Beh questi no.
    C'è differenza.

    Secondo: qui stiamo parlando della copia di un monocilindrico indiano senza particolari doti.
    Copiare questa moto vuol dire essere totalmente privi di idee.
    Vuol dire anche copiare dal compagno che a fatica arriva alla sufficienza, ossia essere copioni e pure un poco fessi, a mio avviso.

    Terzo errore: la Cina non è un Paese emergente, dunque non copia "per necessità", copia solo perché tra le varie manchevolezze di quella che è a tutti gli effetti una dittatura (fatto, non opinione dello scrivente) vi è anche la mancanza del rispetto per il diritto d'autore e la proprietà intellettuale - cose che, se esiste appunto un ramo del Diritto che li tutela, è perché hanno un oggettivo valore.

    Quarto errore: il Giappone è la nazione dove - grazie però agli americani che ve l'hanno introdotta, perché volevano che il Giappone tornasse ad essere una superpotenza - si è sviluppata nel secondo dopoguerra la gestione scientifica della Qualità, che ancora oggi ammiriamo come elemento distintivo dell'industria giapponese.

    Ora, concludo dicendo, come ho già osservato altre volte, che chi ha la fortuna di essere in pensione non ha più da preoccuparsi di quisquilie come il vedere copiato il frutto del proprio lavoro, ergo è più facile "sermoneggiare" (un pelo a vanvera peraltro, ma va bene, siamo al bar).

    Chi invece ancora lavora, fosse pure in un miserrimo ufficio (dove comunque si danno "gli obiettivi" ai lavoratori e li si mette in competizione per un tozzo di pane) sa bene quanto possa essere doloroso (oltre che dannoso) essere defraudati della paternità dei propri sforzi.
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